Manifestare per Israele non è “fascismo”

sabato 26 luglio 2014


“Sono unilateralmente contro il terrorismo. E quindi sono unilateralmente contro Hamas” – dichiara Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno e attuale presidente della Lombardia. La folla di qualche centinaio di persone si è radunata il 24 luglio, sotto un sole improvviso (dopo due giorni di pioggia ininterrotta) nella piccola piazza San Carlo, in centro a Milano, a due passi dal Duomo.

Ci sono le bandiere israeliane, le maglie e gli abiti delle ragazze sono bianco-blu, i colori dello Stato ebraico e tanti volti noti quali Daniela Santanchè, Alessandro Sallusti, Guido Podestà, l’ex vicesindaco Riccardo De Corato, il già citato Roberto Maroni in prima fila alle spalle dei relatori. Se i centri sociali sapessero, farebbero un macello. Gli organizzatori, della Comunità Ebraica e dell’Associazione Amici di Israele, hanno però tenuto la notizia sotto embargo fino all’ultimo giorno. Nessuna massa anti-israeliana ha avuto il tempo materiale per organizzarsi, solo una quindicina di contro-manifestanti con bandiere palestinesi, molto fiato in gola e tanta rabbia in corpo. Hanno urlato “assassini” quasi tutto il tempo. Un po’ di polizia c’era, giusto per dividere la piccola folla bianco-blu dall’inevitabile presenza di contro-manifestanti palestinesi. E Vittorio Emanuele, la via dello “struscio” festivo e dei turisti si è trasformata in un piccolo fossato mediorientale: di qua Israele, di là la Palestina, in mezzo gli ignari passanti (assediati dai volantini) e ai bordi i poliziotti.

“Il problema di questo conflitto è Hamas, non sono i palestinesi – dice Walker Megnagi, presidente della Comunità Ebraica rivolto ai contro-manifestanti, oltre che al pubblico filo-israeliano - questa e' una manifestazione pacifica, perché vogliamo che Israele esista, che il popolo israeliano esista in pace col popolo palestinese”. Ruggero Gabbai, del Partito Democratico, fa parte della maggioranza di sinistra del Comune di Milano. A un ignaro apparirebbe come un corpo estraneo in una battaglia, quella per Israele, che parrebbe appannaggio della sola destra. Sfatando, con la sua stessa presenza, questi luoghi comuni, Gabbai porta “ … i saluti del sindaco Giuliano Pisapia e del vicesindaco Lucia De Cesaris. Non è facile essere in politica in questo momento, perché sono sempre gli altri a ricordati che prima sei ebreo e non è sempre importante a che partito appartieni, è importante però che ci siano degli ebrei come Emanuele Fiano, Daniele Nahum e il sottoscritto che non abbassano mai la testa alle provocazioni di questi giorni dentro e fuori dalle aule istituzionali”. Ai “compagni” che sono sempre in prima linea contro Israele, ma sempre assenti quando scoppiano guerre in Siria e in Iraq: “Voglio solo dire un’ultima cosa ai falsi pacifisti che tacciono quando in Siria ci sono 2700 profughi palestinesi e centosessantamila civili ammazzati nella guerra civile – conclude Gabbai – a loro dico: che se Hamas gettasse le armi oggi in questo momento no ci sarebbe più la guerra ma se le armi le gettasse Israele non ci sarebbe più lo stato ebraico. Nonostante ciò raccolgo lo slogan dell’Hashomer Hatzair (movimento giovanile sionista socialista, ndr) che recita: ‘Non esiste via per la pace. La pace è la via’”.

Sembrerebbero considerazioni ovvie. Hamas è iscritta nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Non solo da Israele, ma anche dall’Unione Europea: dunque anche dall’Italia. Fra l’altro fu proprio l’Italia, la cui politica estera allora era guidata dal ministro Franco Frattini, a insistere perché venisse inserita. Hamas ha chiaramente sparato i primi colpi del conflitto, con i suoi continui e intensi lanci di razzi sul territorio israeliano, oltre che con l’assassinio di tre ignari ragazzi israeliani perpetrato da suoi militanti. Eppure, una manifestazione come quella di Milano è un fatto raro. Perché il clima che circonda il conflitto mediorientale è quello di una condanna corale a Israele e alla sua risposta (che è pur sempre una risposta) militare su Gaza. Lo condanna Navi Pillay, del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, che lavora per equiparare i raid aerei israeliani su Gaza a un “crimine di guerra”. E gli intellettuali seguono di conseguenza. È già tristemente nota, anche in Israele, la dichiarazione del filosofo Gianni Vattimo: “Andrei a Gaza – aveva detto ai microfoni de La Zanzara (su Radio 24) – a combattere a fianco di Hamas, direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza”. E non aveva risparmiato neppure strali contro gli ebrei italiani: “Gli ebrei italiani dalla parte di Israele sono gli ex fascisti, che adesso sono dalla parte dell’America. La comunità ebraica italiana è rappresentata da quell’ossimoro che è Pacifici, ma ci sono molti ebrei d’accordo con me. Li c’è uno stato nazista che cerca di sopprimere un altro popolo. E io ce l’ho con lo stato di Israele, non con gli ebrei”. Vattimo, insomma, vede la gente fascista. Ma gli ebrei che sono dalla sua parte, effettivamente, non mancano.

Noa, la cantante icona del pacifismo israeliano, pur sotto la pioggia di razzi, è giunta a dire che il governo Netanyahu (democraticamente eletto e intento a proteggere al meglio i suoi cittadini) sia peggiore di Abu Mazen (leader mai eletto dell’Autorità Palestinese). Dal suo punto di vista, Netanyahu: “ … ha fatto ogni cosa in suo potere per reprimere ogni intervento di riconciliazione. Ha indebolito ed insultato Abu Mazen, leader della più moderata OLP, che ha più volte ribadito di essere interessato alla pace. Quando Abu Mazen ha fatto quelle dichiarazioni sull'Olocausto, chiamandolo la più immane tragedia nella storia umana, lo hanno deriso e liquidato senza dargli peso. Non hanno rispettato gli accordi che essi stessi hanno firmato”. Peccato, però, che la pioggia di razzi contro i civili israeliani sia partita proprio dopo la costituzione di un governo di unità nazionale che include sia il “moderato” Abu Mazen, sia Hamas.

C’è un implicito embargo economico anche dietro alla decisione delle compagnie aeree statunitensi ed europee di sospendere tutti i voli per Tel Aviv. “Fermati i missili, non i voli” si leggeva sui cartelli dei manifestanti a Milano: l’economia israeliana, turismo e commercio, rischiano di essere strangolati, di cedere al ricatto violento degli integralisti islamici di Gaza. Però, manifestare per Israele, chiedere di fermare i razzi, esprimere solidarietà nei confronti di una nazione attaccata da un’organizzazione da tutti ritenuta terrorista, nella neolingua politicamente corretta, è un atto di “fascismo”.


di Stefano Magni