Il rispetto dei diritti si ottiene con il Diritto

mercoledì 9 luglio 2014


Scriveva Tacito: “L’accettazione della realtà non è rassegnazione, ma capacità di mediazione tra gioia e dolore, stimolo alla ricerca del senso della vita e della libertà del Diritto”. E meditando su queste poche righe ci si deve convincere che non può esistere nessuna Babele etica, morale e religiosa, anche se in molti si adoperano alla sua realizzazione per far prevalere l’intolleranza e il predominio dell’uno sull’altro.

Quando parliamo di libertà e di diritti senza avere “cognizione di causa o di conoscenza” di quello di cui discutiamo, realizziamo un “bislacco concetto” che innesta quel meccanismo perverso che riesce ad attanagliare le nostre società moderne nella morsa di un pluralismo pruriginoso. Di fatto, contribuiamo all’intronizzazione di un relativismo generalizzato e al trionfo del mito di Babele. Il pluralismo si snoda su due fronti, l’uno si contrappone all’altro. Quello cattivo è l’ideologia del pluralismo che dispera di ogni verità e di ogni gerarchia di valori. Quello buono è il pluralismo che testimonia semplicemente una cultura necessariamente plurale e fa della diversità una possibilità per la conquista progressiva della verità. Sarebbe più semplice parlare del pluralismo buono, poiché si onora della logica della ragione, tuttavia è necessario e doveroso in virtù dell’etica concentrare le proprie forze e parlare di cattivo pluralismo e di diritti umani.

Leggevo qualche settimana fa della campagna di un’associazione che si occupa di diritti umani, che con un pontificale accusatorio si scagliava contro il nostro Paese e contro il Marocco accusandoli di far parte di una cinquina di Stati che applicano la tortura e la pena di morte (esclusa l’Italia, ndr). La tortura, la pena di morte? Dati alla mano ritengo che l’Italia è fuori dall’Inquisizione e dai roghi di Campo de’ Fiori da almeno cinquecento anni e in Marocco sono lontani i tempi di Driss Basri, ex ministro dell’interno e responsabile della politica repressiva degli ultimi trent’anni. Non voglio fare nessuna esaltazione sulle doti dei singoli Stati per la tutela dei diritti umani, ma bisogna essere realisti e analizzare fatti e eventi solo dopo aver avuto esperienze dirette. Soprattutto con dati alla mano.

Dal 1 luglio 2011, data dell’approvazione della riforma costituzionale voluta da Mohammed VI e legittimata dal referendum popolare con il 98 per cento dei suffragi, viene affermato il principio dei diritti delle donne e delle minoranze e “stabilito il diritto alla vita come principio fondamentale”. Qualcuno potrà obiettare che “tra il dire e il fare...”, ma dati alla mano dal 23 luglio 1999, data dell’ascesa al trono, Re Mohammed VI non ha mai firmato un decreto di esecuzione di pena capitale; anzi, da allora molte decine di prigionieri nel braccio della morte hanno ricevuto la commutazione della condanna capitale in ergastolo, un ulteriore segnale nella direzione dell’abolizione della pena capitale nel Paese, in forza dell’articolo 20 della Costituzione del 2011 che stabilisce: “Il diritto alla vita è il diritto primario di ogni essere umano. La legge tutela questo diritto”. Come potrebbe essere il contrario visto che una monarchia per diritto divino e osservante dei precetti della religione possa contraddirsi non applicando quella misericordia, quella pietà e quella compassione che esorta ad evitare la violenza, l’ingiustizia e la crudeltà che è proprio di Dio e di conseguente del sovrano suo discendente diretto?

I fatti confermano questa tendenza anche alla luce della Revisione periodica universale del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Naturalmente rimane molto da fare, come togliere definitivamente il velo su quanto potrebbe succedere a Temara e a Kenitra. Sicuramente il sovrano marocchino e il Parlamento riusciranno a porre argine alle voci e usare i giusti deterrenti per combattere la piaga del non rispetto dei diritti. Sono sicuro che con l’intelligenza riusciranno, anche, a porre un argine contro ogni terrorismo e ogni fanatismo religioso e trovare la quadra di una tolleranza giusta e di una civile convivenza attraverso un traguardo di partenza che deve trasformarsi in quello di arrivo con le regole certe del “Diritto” e con il rispetto certo dei diritti.


di Beppe Cipolla