Hamid Chabat: l’opposizione che vince

mercoledì 25 giugno 2014


Se pensate, soprattutto in politica, che “quella del fare” sia un luogo comune in tutto il pianeta, per favore cambiate opinione. Mi hanno sempre insegnato che prima di parlare bisogna conoscere personalmente e studiare, per poi eventualmente dare un giudizio sulla questione della quale si vuole discutere.

L’occasione di conoscere per poi scrivere è offerta da un incontro, durante una visita in Marocco con una delegazione italiana per proporre la promozione di iniziative culturali, educative, didattiche e mediche, con un personaggio di spessore politico e umano non indifferente, Hamid Chabat, leader del partito Istiqlal, (in arabo Hizb al-Istiqlal, “Partito dell’Indipendenza”) fondato nel 1937 da Allal al Fassi. Un pezzo di storia del Marocco moderno.

Perché il Marocco e perché proprio Chabat? Perché dopo il fallimento delle “Primavere arabe” il Marocco rappresenta un importante capitale politica e sociale per l’intero Mediterraneo. Una testa di ponte, alla quale l’Italia dovrebbe guardare con maggiore attenzione, per instaurare dei rapporti di interscambio virtuosi atti a creare una “Casa comune” delle realtà del Mediterraneo, luogo di dialogo e di vicinanza tra i popoli. Un mare di pace, lontano dal terrorismo, dalla violenza e anche dalle immigrazioni clandestine.

L’appuntamento con Chabat è nel quartier generale del partito, a Rabat, e la prima impressione del posto è quella di entrare in una roccaforte di uno dei tanti posti nella Striscia di Gaza. All’interno, però, non ci sono uomini armati sulle torrette, né filo spinato né controlli esasperati, ma la felice sintesi di un posto ecumenico dove s’incontrano politica, cultura e diplomazia. All’occhio risalta subito un piccolo luogo di culto ben curato e un grande salone destinato alle riunioni del partito. Delle scale, abbellite da tante foto che raccontano la storia del partito, permettono di accedere agli uffici di Chabat. Insieme a Souad Sbai e ad altri cinque componenti della delegazione ci accompagna Hamed El Kadiri, un giovane (per spirito e idee) senatore del Regno, uomo che ha attraversato con illuminata saggezza le varie fasi storiche del nuovo Marocco.

Se vi fosse mai capitato di essere ricevuti da un segretario politico di un grande partito italiano o europeo, sicuramente sareste stati costretti ad una lunga anticamera. Qui non esiste. Chabat arriva in un attimo. Capelli brizzolati a spazzola, baffi spioventi. Il sindaco di Fès è un personaggio che va subito al sodo: un “uomo del fare”. Esordisce subito con “noi siamo l’opposizione che vince”. Cosa? Opposizione che vince? Sì, proprio così. Chabat è uomo attento ai problemi del suo Paese e non vuole seguire la scia del fallimento delle “primavere”. Dopo essere diventato segretario di Istiqlal, per contenere alcune pretese radicali islamiste del Governo di Abdelilah Benkirane, leader del Partito della Giustizia e lo Sviluppo, ha deciso di uscire dall’Esecutivo del quale il suo partito faceva parte.

“L’ho fatto per il bene di tutti – prosegue Chabat – perché s’infliggono gravi danni al Paese governando senza saper gestire la crisi economica, non facendo nulla per la diminuzione della crescita e non salvaguardando le finanze pubbliche”. Criticando il Governo, ha rincarato la dose dicendo che “non si può essere dei semplici impiegati che non hanno alcuna autonomia decisionale. Certi ministri non fanno capo a nessuno e non rendono conto a nessuno”.

Poche parole, un programma. Poche parole e tanto coraggio da parte di chi ha vinto le elezioni ma vuole stare all’opposizione per creare nuove prospettive per il futuro del suo Paese. Il discorso diventa più interessante quando si torna a parlare della “Primavera araba”, che a suo parere ha destabilizzato il Nord Africa con una crescente ondata di instabilità a livello economico, sociale e politico. In Marocco, il governo con un partito islamista (votato democraticamente) non consente di avere i presupposti per instaurare una democrazia di stampo occidentale. Una cosa è sicura: ogni rivoluzione o cambio repentino non permette la creazione di stabili e durature infrastrutture affinché si possa sviluppare qualcosa di nuovo (in questo caso la democrazia). Certo, il caso marocchino si distacca notevolmente da quello che è successo nel Nord Africa, perché a Rabat esiste una grande volontà di modernizzarsi. Ogni Paese e ogni cultura hanno bisogno di prendere in considerazione il contesto nel quale si vive, senza tentare di emulare altri Paesi.

Non per essere partigiani, sostengo che quanto sentito da Chabat rientra nei normali canoni del dibattito politico, perché è proprio vero che il tentativo di islamizzazione attraverso la primavera araba è un fallimento non solo politico ma anche sociale. Secondo un’analisi della rivista francese Jeuneafrique, “gli islamici al governo sono lontani dal mantenere le promesse fatte all’elettorato. Il partito del premier Benkirane aveva promesso una crescita del 7 per cento per il 2012, che invece è stata del 3 per cento. Aveva promesso che il deficit di bilancio sarebbe rimasto al 3 per cento mentre gli investimenti sarebbero aumentati del 12,8 percento ma così non è stato”. La rivista ricorda inoltre che gli islamici durante la campagna elettorale avevano promesso di ridurre il livello di povertà, facendo promesse in campo economico molto difficili da mantenere, considerando la crisi dell’Eurozona che condiziona l’economia marocchina con una disoccupazione giovanile del 15 per cento.

E allora? La conclusione è evidente: Chabat ha instaurato un nuovo corso attraverso l’unico fenomeno di rigetto del vecchio sistema di potere e dei suoi fiancheggiatori, invertendo di fatto l’inerziale e automatico sistema di potere, traghettando, con la sua scelta di essere “opposizione che vince”, la politica del Marocco dalla condanna consociativa ad una realtà d’aggregazione affidabile e capace di guardare avanti.

L’incontro è finito, un fumante tè forte dei sapori di quella terra ci saluta, una foto, un abbraccio mentre il “Muʾadhdhin” dal minareto intona l’adhān, che serve a ricordare di effettuare validamente Salāt. Rimango convinto che bisogna “conoscere per deliberare”, attraverso il massimo rispetto per le opinioni altrui fuggendo dai proclami di restaurazione che accompagnano la doppiezza politica.


di Beppe Cipolla