Dave Brat, la vera anima del Gop

giovedì 12 giugno 2014


Primarie repubblicane della Virginia. Due contendenti. Da una parte Eric Cantor, campione dell’establishment di partito, super-finanziato, con un milione di dollari speso per la sua campagna elettorale. Dall’altra: Dave Brat, professore di economia, autore di uno studio su Ayn Rand (madrina del moderno individualismo americano), esponente del movimento anti-statalista Tea Party, 100mila dollari a disposizione per una campagna porta a porta. Ha vinto lo sfidante: Dave Brat ha battuto Eric Cantor con il 56% dei voti contro 44%. È una sonora sconfitta per i dirigenti del Grand Old Party di cui parla tutta la stampa, persino quella italiana, solitamente disattenta a quel che avviene in casa repubblicana.

Perché Dave Brat ha vinto? La spiegazione può sembrare troppo semplice per i palati fini della politologia, ma è l’unica plausibile: è un vero conservatore. Basta leggere la home page del suo sito per capirlo, nella sezione “in cosa crediamo”: “Che il sistema di libero mercato sia il migliore, sia nella soddisfazione dei bisogni che nella realizzazione della giustizia economica. Che a ciascun individuo spettino uguali diritti, giustizia e opportunità e si assumano le loro responsabilità quali cittadini di una società libera. Che la responsabilità fiscale e i limiti posti alla spesa debbano essere principi validi ad ogni livello di governo. Che la pace sia preservata meglio attraverso una forte difesa nazionale. Che la fede in Dio, riconosciuta dai nostri padri fondatori, sia essenziale per la preservazione della fibra morale di questa nazione”. “… Sfortunatamente – aggiunge Dave Brat – il nostro attuale rappresentante, Eric Cantor, non è riuscito a conservare questo credo ed è quindi giunto il momento di cambiare”. E gli elettori repubblicani virginiani hanno cambiato.

Che vi fosse disaffezione nell’aria, proprio in Virginia, si era capito sin dalle ultime elezioni presidenziali del 2012. Ai Repubblicani erano venuti a mancare almeno 2 milioni di voti, di elettori che avevano preferito l’astensione. In questo storico commonwealth della costa atlantica, una delle più antiche organizzazioni politiche del Nord America, si era già allora diffusa una forte disaffezione per Mitt Romney, candidato di establishment, lontano dal Tea Party, non abbastanza “caldo” sui valori fondamentali dei conservatori. A questa disaffezione generale si sono aggiunti, come macigni: il compromesso accettato dai repubblicani sull’aumento del debito pubblico, la debole risposta della destra istituzionale agli scandali Irs (vessazione dei membri del Tea Party da parte dell’agenzia delle entrate americana) e sostanziale condivisione con i democratici della linea di difesa della National Security Agency, dopo lo scandalo dello spionaggio a danno di privati e governi amici. Brat si è rivolto soprattutto agli indignati di tutti questi scandali, sempre più numerosi. Nel suo programma lo dice chiaro e tondo: lo scandalo Nsa è una violazione del 4° Emendamento della Costituzione (protezione dalla perquisizione della polizia di una persona non regolarmente indagata dalla magistratura); lo scandalo Irs è una violazione del 1° Emendamento (libertà di espressione); la detenzione a tempo indeterminato di cittadini americani, cosa divenuta ormai comune sotto l’amministrazione Obama, è una violazione del 5° Emendamento (equo processo). I Repubblicani dell’establishment sono scesi a compromessi con questi principi. E sono stati puniti.

C’è anche una causa economica ben individuabile: il debito. È soprattutto di questo che i conservatori della base si preoccupano. Dave Brat puntava il dito sui 17mila miliardi di dollari di debito ufficiale, arrivati fino a questo livello anche grazie al voto repubblicano di compromesso sul “tetto del debito”. Ma anche sulla bomba ad orologeria costituita dai 127mila miliardi di passivi non coperti. Una bomba la cui presenza è stata accettata, evidentemente, anche dai Repubblicani presenti al Congresso. Spetta dunque agli “irresponsabili” del Tea Party il compito di riportare ordine e disciplina fiscale.


di Stefano Magni