Sahara marocchino: l’unità nella diversità

giovedì 12 giugno 2014


Non serve il “panico”, tanto meno il riacutizzarsi di nuove e cruente crisi, né l’oblio che la comunità internazionale tende a fare scendere per la risoluzione del conflitto del Sahara marocchino.

La questione dell’ex colonia spagnola affonda le sue radici negli anni Cinquanta del secolo scorso con la scoperta dei giacimenti di fosfati di Bou Craa e s’infiamma con l’insurrezione del 1957 che viene repressa nel sangue dalla Spagna franchista. Nel 1960, con la risoluzione 1514, viene riconosciuto il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Il resto è cronaca.

A distanza di cinquant’anni non serve una nuova “marcia verde” oppure il ricorso alle armi e neanche qualunque forma di repressione, ma una nuova “primavera”, questa sì, che deve far rifiorire l’impegno comune per la risoluzione della questione, che preveda una sorta di “patto originario” basato sui modelli delle autonomie locali europee che consenta l’autodeterminazione del territorio a sud del Marocco sotto l’autorità statale marocchina, con il rispetto dei diritti della regione e di quelli umani.

Mohammed VI è un re troppo intelligente, culturalmente e politicamente avanzato per farsi sfuggire un’occasione simile che porti alla risoluzione del problema. Deve disciplinare la contesa con la promulgazione di uno Statuto speciale (inserito nella Costituzione) che doti questa Regione di un’ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria sempre sotto l’egida del governo centrale di Rabat. Sarebbe una mossa giuridica di portata storica per il Marocco, quanto per la sintesi che contiene di patrimonio storico, di esperienza umana, di delega amministrativa. Tutti aspetti che meritano di essere approfonditi per comprendere le potenzialità che tale strumento, opportunamente utilizzato, può offrire agli amministratori a servizio dello sviluppo della regione del Sahara nordafricano e del Marocco. “Unità nella diversità” per raggiungere obiettivi comuni con una strategia integrata che possa coinvolgere le comunità in un abbraccio comune.

L’autonomismo svuoterebbe, di fatto, le mire separatiste e originerebbe, attraverso un accordo di origine “pattizia” (assimilabile a un trattato fra due entità paritetiche), la convivenza di fatto e di diritto fra il Regno del Marocco e il territorio del Sahara del sud, attraverso una Consulta regionale in cui siano rappresentate le categorie, i partiti e i ceti produttivi della Regione sahariana. Una sorta di “laboratorio politico-istituzionale” capace di proiettare i contendenti verso una pacificazione duratura e una convivenza costruttiva capace solo di affrontare con un circuito virtuoso le sfide del mondo globalizzato.

Senza dubbio l’innesto in presa diretta di questo “circolo virtuoso” smonterebbe il “tiepidismo” internazionale verso la questione, immettendo in circolazione la simpatia di coloro che apprezzano gli sforzi di entrambi le parti per la realizzazione di una positiva soluzione politica consensuale e realista. Il Regno del Marocco deve riaffermare la sua determinazione a continuare nell’impegno di buona fede nel processo di negoziato mirante a trovare una soluzione definitiva all’artificioso conflitto regionale sul Sahara marocchino favorendo la proposta di autonomia, la cui serietà e credibilità verrebbero riconosciute dalla comunità internazionale, mantenendo così la sovranità e l’integrità territoriale del Marocco.

Non serve un altro Sud Sudan, il Marocco si liberi di tanti pessimi avvocati e plauditores interessati ai soli interessi personali e alle ricchezze economiche della Regione e marci spedito verso il punto finale dei negoziati, facendo del “patto originario” il punto di partenza per un processo di democratizzazione credibile che permetterà il riconoscimento internazionale della marocchinità del Sahara, senza incorrere nelle incoerenze strategiche del passato.


di Beppe Cipolla