Le impiccagioni dei dissidenti in Iran

mercoledì 4 giugno 2014


Appena metti il naso fuori dai mass media ufficiali e segui le notizie dell’Iran ti salta agli occhi la macabra ed incessante pratica della pena di morte. Proprio qualche giorno fa, il 1° giugno, il regime disumano dei mullà ha impiccato Gholamreza Khosravi, quarantanove anni, con l’accusa di essere simpatizzante dei Mojahedin del popolo. La magistratura della teocrazia al potere in Iran ha accusato Gholamreza di “aver fatto guerra a Dio attraverso il sostegno attivo agli obiettivi dei Mojahedin del popolo”, di “aver inviato informazioni ai loro mezzi di comunicazione e di “aver finanziato e organizzato i loro simpatizzanti”.

L’accanimento verso chi ha simpatie per un movimento politico che vuole mettere in discussione il principio religioso del potere e l’integralismo islamico è evidente a tutti. O almeno credo! I dissidenti politici in Iran vengono impiccati con l’accusa di moharebeh, che significa essere in guerra contro Dio, mentre è palese la guerra del regime contro i suoi cittadini. Gholamreza aveva partecipato, poco più che ragazzino, alla poderosa rivoluzione antimonarchica del ‘79 che voleva realizzare i sogni di libertà e democrazia degli iraniani. A sedici anni viene messo in carcere con l’accusa di essere simpatizzante dei Mojahedin del popolo. Ma è fortunato perché esce vivo dal carcere dove ha pur subito le più atroci torture, mentre decine di migliaia di ragazzi più o meno suoi coetanei vengono fucilati. È fortunato, perché centinaia di migliaia di altri ragazzi, ancora più giovani di lui vengono fatti passare sui campi minati per ripulirli e aprire una via sicura alle truppe per la conquista di Karbala, la città santa per gli sciiti, e da lì prendere poi Gerusalemme. È fortunato, ma sino ad un certo punto, quando esce dal carcere vivo nel 1986 e partecipa al concorso per frequentare l’università. Mentre migliaia di basiji e pasdaran entrano nelle università grazie alla loro devozione al regime, a Gholamreza invece è impedito a causa della sue opinioni politiche. Gli chiedono di arruolarsi nei servizi per avere l’accesso agli studi ma Gholamreza non accetta. Dopo anni di duro lavoro diventa un saldatore specializzato. Nell’inverno 2007 viene nuovamente arrestato sul luogo di lavoro e condannato a 6 anni con l’accusa di aver dato contribuiti in denaro ai Mojahedin del popolo. Passa molti mesi in cella di isolamento e nell’autunno 2010 viene trasferito nel famigerato carcere di Evin a Teheran. Anche qui passa 9 mesi in cella di isolamento con l’accusa di moharebeh.

La colpa di essere in “guerra contro Dio” nella Repubblica islamica dell’Iran è punita con la pena di morte. È fortunato il prigioniero politico Gholamreza, gli aguzzini del regime gli offrono a questo punto il solito salvacondotto: pentirsi e partecipare allo show televivo delle menzogne contro i Mojahedin del popolo. Rifiuta. Quando il 17 aprile di quest’anno centinaia di agenti dei servizi di regime hanno sferrato un violentissimo attacco nella sezione 350 del carcere di Evin, hanno trovato una decisa resistenza da parte dei prigionieri politici tra cui Gholamreza, che ha mostrato una volontà d’acciaio di fronte alla loro inaudita arroganza. Ferito gravemente e gettato ancora in cella di isolamento, Gholamreza quello stesso giorno è stato minacciato di impiccagione dal generale dei pasdaran Reza Saraj, che è stato di parola. Gli uomini del regime teocratico iraniano, a qualsiasi fazione appartengano, su alcuni argomenti si trovano sempre d’accordo.

Gholamreza è stato ucciso il 1° giugno. Gli aguzzini del regime hanno fornito false informazioni ai familiari che chiedevano della sua sorte e, alla fine, li hanno minacciati, se avessero pianto il loro caro che è stato seppellito a mezzanotte dello stesso giorno in un cimitero di Esfahan, a 440 km da Teheran.

Dall’insediamento di Rouhani, il “moderato” presidente dei mullà, in Iran hanno impiccato almeno 700 persone. Nel secondo mese dell’anno iranico, mese di ordibehesht (21 aprile – 21 maggio) sono state impiccate 102 persone. La morsa letale della morte in Iran non s’allenta. Il tentennante negoziato sul nucleare semina discordia tra le fazioni del regime che si ricompattano sulla repressione dei cittadini. Nella spietata guerra del regime iraniano che insanguina l’Iran, l’Iraq e la Siria, e non solo, l’Occidente sembra la bella addormentata nel bosco.

L’inviato speciale del Sole 24 Ore ammonisce che nel 2009 il regime iraniano se l’è cavata con soli 100-150 morti e ha spento la rivolta nel Paese. Rimprovera duramente l’Italia, il sistema Italia, di non essere capace di partecipare a dovere al banchetto in corso in Iran. Mentre scrivo, mi giunge la terribile notizia che 8 prigionieri politici, compagni di Gholamreza della stessa sezione 350 del carcere di Evin, sono stati tradotti nel carcere di Ghohar-dasht dove è stato impiccato Gholamreza. Avrà mai fine il dolore di questo antico popolo?


di Esmail Mohades