Presidenziali Ucraina, vittoria di Porošenko

mercoledì 28 maggio 2014


Petro Porošenko, il magnate dell’industria del cioccolato, ha vinto la sfida per le presidenziali in Ucraina. Benché non sia stato ancora ufficializzato - si dovrà attendere il 4 giugno la conclusione formale delle operazioni di scrutinio - il risultato gli è già favorevole. L’uomo nuovo di Kiev ha accumulato un sufficiente margine di consensi rispetto agli altri candidati in corsa. Il successo di Porošenko è strettamente connesso al fallimento del messaggio di Yulia Timoshenko. Non ha fatto breccia la sua linea dura. Il distacco dal vincitore è consideravole, oltre 40 punti percentuali. La “pasionaria” di piazza Majdan ha mostrato di avere qualche problema di comprensione dei meccanismi della rappresentanza elettiva visto che ha dichiarato che il suo partito “Patria” non riconoscerà altro risultato valido se non la sua elezione. In realtà, l’astio di Yulia Timoshenko è motivato dalla difficoltà a comprendere del perché, dopo la protesta di piazza svolta nel segno della lotta agli oligarchi che avrebbero distrutto l’economia nazionale, gli ucraini si affidino proprio a uno di loro per guidare nuovamente il Paese. Nel caso di ripresa delle contestazioni di piazza, la Timoshenko potrebbe contare sul sostegno degli ultranazionalisti di “ Settore Destro” i quali respingono ogni ipotesi di apertura di dialogo con il vicino russo.

Nato a Bolgrad, nel sud-ovest del Paese, nella regione di Odessa-Oblast’, il quarantanovenne neopresidente, nel discorso della vittoria, ha delineato il nuovo corso della politica ucraina. In primo luogo, Porošenko ha inteso prendere una posizione sostanzialmente equilibrata rispetto alla crisi che ha travolto il Paese. Porošenko intende tenere unita l’Ucraina, senza tuttavia giungere alla rottura con Mosca. Inoltre, è sua intenzione proseguire nel processo di integrazione con l’Unione Europea. Al momento, meno chiaro appare il suo punto di vista rispetto alla questione dell’adesione alla Nato. Sul fronte interno, il neoeletto non ha mostrato incertezze. È sua intenzione riportare la zona orientale filorussa sotto il controllo del governo centrale di Kiev. Con le buone o le cattive. In segno di concessione alla parte più oltranzista della destra animatrice delle giornate di piazza Majdan, Porošenko, che di quella lotta è stato tra i primi sostenitori, ha ribadito che non riconoscerà mai la separazione della Crimea dal resto del Paese. È suo diritto/dovere farlo, ma agli osservatori non è sfuggita la scarsa convinzione con la quale il nuovo presidente ha rivendicato i diritti ucraini sulla penisola del mar Nero. Comunque, a scanso di equivoci, il Cremlino, attraverso il proprio portavoce, ha fatto sapere al neopresidente che la questione Crimea non è all’ordine del giorno.

Il profilo pragmatico mostrato da Porošenko consente di ritenere possibile, nel volgere di pochi giorni, un suo confronto diretto con le autorità di Mosca, le quali, a loro volta, hanno mostrato ampia apertura di credito al nuovo inquilino di via Bankovskaya. In particolare, il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, si è detto pronto a incontrarlo a condizione, però, che si tratti di un dialogo diretto, senza intermediari indesiderati. L’allusione, non troppo velata, è all’inappropriato protagonismo mostrato di recente dal governo polacco nella gestione della crisi ucraina. E non solo. Il macigno che al momento rende complicate le comunicazioni sull’asse Kiev-Mosca resta il pagamento della bolletta del gas. Kiev continua a tergiversare, forse in attesa della montagna di capitali promessi dall’amministrazione Obama e dalla Commissione di Bruxelles. E Mosca inizia a perdere la pazienza. Nonostante ciò resta sul tavolo l’offerta di Gazprom che si dice disponibile a rivedere in modo significativo i prezzi praticati se Kiev provvederà a saldare il debito entro la settimana. In evidente difficoltà il governo di Arseniy Yatsenyuk, il quale dovrebbe essere riconfermato nell’incarico di primo ministro dal nuovo presidente, cerca di “buttarla in caciara”, come si dice dalle nostre parti. L’ultima idea è stata quella di chiedere alle autorità russe un risarcimento di circa 1 miliardo di dollari per il presunto utilizzo di 2 milardi di metri cubi di gas nella penisola di Crimea, appartenuti alla società ucraina Naftogaz. Sulla vicenda il premier ucraino ha minacciato di ricorrere a un arbitrato internazionale.

Mentre evolve la situazione politica a Kiev, nelle regioni orientali di Donetsk e di Luhansk, si continua a sparare. E a morire. Tra le vittime più recenti anche un giovane fotoreporter italiano, Andy Rocchelli, che era insieme a un suo amico e interprete russo, anch’egli ucciso. Secondo fonti locali sarebbero caduti sotto colpi di mortaio. Rocchelli era a Sloviansk per raccontare una guerra perché non fosse dimenticata. Intanto i separatisti non mollano il campo. Non è un caso se i seggi in quelle zone siano rimasti tutti, o quasi, chiusi. Le popolazioni locali sentono di appartenere alla “nuova Repubblica russa”, nonostante il Cremlino li abbia di fatto abbandonati e la pressione delle forze di sicurezza ucraine stia crescendo. La principale preoccupazione sembra sia quella di non fare dell’est del Paese una “nuova Somalia”. Dopo il macroscopico errore commesso dal fronte degli “occidentali” nel sostenere l’utilità dello svolgimento delle elezioni presidenziali in un clima non ancora pacificato, tocca a Porošenko mettere le cose a posto procedendo con immediatezza alla revisione in senso federale della carta costituzionale. Soltanto la concessione di una larga autonomia dei territori, insieme al riconoscimento del diritto alla difesa delle identità etnico-religiose storicamente presenti in Ucraina, dovrebbe privare il conflitto delle sue armi più pericolose.

Sul fronte internazionale continua la tanto ottusa quanto inutile politica delle sanzioni voluta dagli Usa e dai leader della Ue nel tentativo di frenare la reazione russa. L’ultima trovata ha del grottesco. Adesso anche il Montenegro ha adottato le sanzioni previste in sede G7 contro alcuni rappresentanti dell’economia e della politica russa perché, è la motivazione resa nota dal presidente montenegrino Filip Vujanović, “si sta progettando il più presto possibile l'entrata del Paese nell'Unione Europea e nella Nato”. Quindi, l’adozione delle sanzioni funzionerebbe da passepartout per assicurarsi l’ingresso nella comunità degli Stati europei. Proprio una bella roba! Non c’è che dire. Per quanto riguarda l’Italia, l’attenzione verso i temi di politica internazionale sembrerebbe allentata dall’incedere degli eventi di carattere interno. In realtà così non è. Sotto la superficie le acque sono agitate. Ad esempio la decisione, voluta da Matteo Renzi, di nominare il generale Alberto Mainenti capo dell’Aise - i nostri “007” - potrebbe determinare uno spostamento dell’equilibrio interno ai “Servizi” verso una maggiore sintonia con i partner della Nato. Sul piatto vi sarebbe la decisione di allontanarsi dall’esperienza, fatta negli ultimi anni, di stretta collaborazione con i servizi segreti russi. Per lo scopo, il profilo professionale di Mainenti si presterebbe alla perfezione. Il suo curriculum si è formato all’interno della struttura dei Servizi. È rilevante che abbia fatto parte della strategica VIII Divisione e che abbia intessuto negli anni eccellenti rapporti con i colleghi statunitensi della Cia e israeliani del Mossad e dello Shin Beth. Sebbene vi sia la certezza che il generale Mainenti svolgerà al meglio il suo compito, resta tuttavia preoccupante constatare che questo governo di inetti stia facendo di tutto pur di smantellare quel poco di buono che era stato costruito, a partire dallo “Spirito di Pratica di Mare”. Se questo dovesse confermarsi l’obiettivo di politica estera di Renzi, saremmo di fronte a un’azione irresponsabile posta ai danni degli interessi internazionali del nostro Paese.

Denunciarlo è un dovere, impendirlo sarebbe un servizio reso alla Patria.


di Cristofaro Sola