martedì 27 maggio 2014
In Libia è caos, istituzionale e sociale. Un caos che immerge le sue radici nella folle volontà delle democrazie occidentali di abbattere con la forza i governi militari preesistenti e lasciare al contempo mano libera alle frange estremiste, consegnando nelle loro mani Paesi allo stremo dopo decenni di dittatura.
Dopo l’Egitto, a cui è bastato qualche mese di Morsi per richiamare con oceaniche manifestazioni di piazza Al-Sisi e, con ogni probabilità, portarlo alla presidenza fra qualche settimana, oggi torna d’attualità la Libia dopo mesi di oblio e silenzio. Anche qui la contrapposizione, in piena tradizione del quadrante nordafricano orientale, è fra militari impersonati dalla figura del generale Haftar e milizie estremiste di matrice islamica, prima fra tutte Ansar Al Sharia, vicina ad Al Qaeda, che ha già fatto sapere come si stia preparando a contrastare un eventuale colpo di mano del generale.
Tripoli è ancora calma e gli scontri si verificano nelle zone periferiche del Paese; ma questo non toglie che occorra, in previsione di un inasprimento del clima, pensare ad un veloce ritorno dei nostri concittadini presenti in Libia e ad una messa in sicurezza del personale diplomatico. Qualcuno a Washington, forse, non ha convenienza nel ricordare quel che accadde all’ambasciatore Stevens a Bengasi, massacrato nella sede dell’ambasciata americana in circostanze su cui nessuno ha voluto far chiarezza.
La primavera araba ha fallito anche a Tripoli, dove per primi a festeggiare la caduta di Gheddafi arrivarono Sarkozy e Cameron, felici di aver spinto con le proprie mani il popolo libico nel baratro dell’estremismo, in balìa della sorte e delle milizie integraliste dominatrici incontrastate della Libia. Lo ripeto per chi non lo sapesse, non amo particolarmente i regimi militari ma odio quelli estremisti e se per portare al governo una classe dirigente democratica, e laica, occorre un periodo di transizione “sotto tutela”, ben venga. Del resto, il silenzio tombale che trasuda dalle cancellerie di Londra, Washington e Parigi sta a testimoniare l’imbarazzo e il timore crescente di chi aveva armato dei mercenari al fine di abbattere ed eliminare Gheddafi, e tutti i suoi segreti, e che oggi si ritrova totalmente osteggiato dal popolo libico, voglioso di riprendersi la sua rivoluzione, come hanno fatto gli egiziani.
Certo gli estremisti non rimangono a guardare e hanno già richiamato in patria Abdelhakim Belhadj, colui che guidò l’assalto a Tripoli nel 2011, con il chiaro intento di affidargli di nuovo la guida delle milizie. Anche se senza il foraggio dei sauditi la cosa si complica. Intanto Haftar ha sospeso il Parlamento e chiesto che si vari una Costituzione per dare il via alle elezioni, al fine di “ripulire la Libia dagli estremisti”. Compito che si spera porti a termine in maniera efficace, così da ridare finalmente ai libici il dominio sulla propria terra, martoriata da decenni di dittatura e da tre anni di caos e di continua paura della presa del potere dell’integralismo, pupillo degli Stati Uniti e dei loro vassalli francesi e inglesi.
di Souad Sbai