La Nigeria si trova sulla linea di fuoco

giovedì 22 maggio 2014


Nella sua lucida visione della guerra che sarebbe arrivata, il politologo Samuel Huntington, nel suo “Lo scontro di civiltà” aveva individuato una “linea di faglia” in Africa che separa l’area del Sahara da quella del Sub-Sahara, tagliando in due numerosi Stati post-coloniali. Non si tratta solo di due realtà geografiche diverse, ma soprattutto di due differenti civiltà. A Nord della linea predomina l’Islam, a Sud una cultura animista e un Cristianesimo in piena espansione. La più famosa di queste realtà divise è il Sudan. Il conflitto si è “risolto” con la divisione anche politica del Paese in due nuovi Stati separati. Ma al centro dell’attenzione, soprattutto negli ultimi 4 anni, è la Nigeria. L’enorme federazione di stati, popolata da 150 milioni di persone, uno dei primi produttori di petrolio al mondo, è già, di fatto, divisa in due distinte realtà, con un Nord islamico e governato dalla legge coranica e un Sud animista e cristiano, tribale e formalmente democratico. Il paese che era noto alla cronaca nera internazionale solo per la guerriglia petrolifera del Mend, sul delta del fiume Niger, dal 2010 è diventato tristemente famoso anche per la diffusione di un movimento dichiaratamente talebano, Boko Haram.

Il movimento terrorista è diventato una moda e un “trend topic” sui social network, da quando ha rapito 200 studentesse da un istituto di Chibok. Duecento ragazze che vengono sequestrate sono una notizia esplosiva. Ancor più esplosiva è stata la successiva rivendicazione del sequestro di massa in un video di Boko Haram: Abubakar Shekau il leader dei terroristi islamici, ha annunciato la sua chiara intenzione di vendere i suoi ostaggi. Ha reso chiaro quale sia l’interno religioso del suo gesto: le donne devono essere sottratte allo studio e date (vendute) ai mariti. Senza timor del ridicolo, Shekau ha anche annunciato, successivamente, di voler rapire 200 ragazzi, maschi, da maritare alle prigioniere. In un altro video ha mostrato le studentesse in niqab (velo islamico) e le ha dichiarate “libere”, perché convertite all’islam. Mentre si cercano le ragazze, anche con l’aiuto di corpi di polizia occidentali, la vicenda delle ragazze rapite è diventata un “trend topic” su tutti i social network. Anche sponsor del calibro di Papa Francesco, una first lady come Michelle Obama, un capo di governo come David Cameron, attori, attrici, cantanti, artisti, personaggi dello sport, hanno pensato bene di farsi selfie con lo slogan #Bring Back Our Girls (“riportate le nostre ragazze”). Da poche e disperate manifestazioni in Nigeria, insomma, la protesta si è fatta internazionale.

Pochi, tuttavia, hanno calcolato l’effetto boomerang di questa campagna. Come tutti i movimenti jihadisti, anche Boko Haram cerca il suo “11 settembre”, l’attentato mega-terrorista con cui catturare l’attenzione dei media mondiali. Il rapimento di massa ha ottenuto il suo scopo. Una volta accertato che i fari del mondo erano puntati sulla Nigeria, Boko Haram ha sferrato la sua vera offensiva. 5 maggio: 300 morti nel villaggio di Gamborou Ngala, nello stato del Borno. Altri due attacchi nello stesso stato si sono registrati il 14 e 15 maggio. 18 maggio: 4 morti (3 uomini e una bambina) per una bomba a Kano. L’altro ieri, a Jos, due autobombe hanno ucciso 118 persone. Piazzate in luoghi affollati, sono state fatte detonare a mezzora di distanza l’una dall’altra, così da uccidere anche i soccorsi. Fino a ieri: un attacco a un villaggio vicino a Chibok, Alagarno, ha causato l’uccisione di almeno 17 civili. Chibok e Alagarno si trovano in aree talmente infiltrate di terroristi che l’esercito si rifiuta di andarci, lasciando indifesa la popolazione.

Il presidente Goodluck Jonathan (cristiano), condannando la catena di attentati, si è detto disposto ad accettare un aiuto internazionale: una forza multinazionale africana dispiegata attorno al Lago Chad, area operativa di Boko Haram. Forse l’attenzione internazionale catturata da Boko Haram spingerà anche qualche governo occidentale a intervenire seriamente. Finora, però, l’attenzione mediatica ha fatto solo danni. Né ci si deve illudere che la liberazione delle ragazze porti alla fine di Boko Haram. O che anche la sconfitta di quest’ultimo porti alla fine della tensione. Il Paese è e resta diviso in due realtà differenti. Mantenendolo unito si rischia lo scoppio periodico di crisi: quando tocca a un cristiano governare (come in questo caso) sarà la guerriglia islamica a dare filo da torcere alla popolazione. Se vince un rappresentante del Nord, sarà la guerriglia sul delta del Niger ad avviare la sua escalation. Senza contare, poi, che movimento così massimalisti come Boko Haram non si accontenterebbero neppure di un’ipotetica divisione del Paese: mirano a conquistarlo tutto, per sottometterlo alla versione talebana della legge coranica. E non accettano compromessi.


di Stefano Magni