La Russia continua a incombere su Kiev

mercoledì 21 maggio 2014


Ai confini orientali dell’Ucraina è piombato un clima di calma apparente, da alcuni giorni a questa parte. Nel corso del fine settimana, le forze armate russe schierate nella regione (circa 45mila uomini, con equipaggiamento da guerra) hanno terminato, o sospeso, le manovre di addestramento, ma si sono avvicinate ulteriormente ai confini dell’Ucraina. Lunedì il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato ufficialmente che le manovre sono finite e che le truppe russe hanno avuto l’ordine di ritirarsi nelle loro caserme. Il problema è che, all’annuncio del presidente, non è seguita alcuna manovra di rientro, come rileva la Nato per bocca del suo stesso segretario generale Anders Fogh Rasmussen. Le truppe russe continuano ad essere dispiegate dove sono fin dall’inizio di marzo.

Il Cremlino avrebbe, dunque, diffuso per la quarta volta in due mesi un’informazione falsa. A fine febbraio e inizio marzo, mentre iniziava il trasferimento delle unità di ben due armate russe ai confini ucraini, Mosca negava che fosse in corso alcuna concentrazione di truppe. Lo ha negato anche a fronte delle foto satellitari mostrate in pubblico dalla Nato. Ad aprile è stato annunciato un primo ritiro a cui non è seguita alcuna azione pratica. Idem all’inizio di maggio. Questo è il terzo ritiro annunciato e non effettuato. A questo atteggiamento si deve anche aggiungere il comportamento tenuto dall’élite russa durante e dopo l’annessione della Crimea. Durante: Mosca ha dichiarato di non aver nulla a che fare con i separatisti locali e di non conoscere l’identità degli uomini armati e ben equipaggiati che occupavano tutti i punti strategici della penisola. Dopo: nella sua conferenza stampa annuale, Putin ha ammesso di aver impiegato truppe russe per l’annessione della Crimea, aggiungendo di non averne pianificato in anticipo le mosse. Si sarebbe trattato di una misura di emergenza, decisa all’ultimo, per far fronte alla crisi ucraina. Delle due l’una: o ha mentito ancora (se l’operazione era pianificata in anticipo), oppure è a capo di un’imprevedibile e inaffidabile grande potenza nucleare che decide, da un giorno con l’altro, di occupare una regione di una nazione vicina. E questo è ancora più allarmante. Il problema non riguarda solo Putin, ma anche il premier Dmitri Medvedev, solitamente considerato il più pragmatico dei due. In un’intervista rilasciata ieri all’agenzia russa Novosti, in cui dichiara, senza mezzi termini, di non essere obbligato a garantire la sicurezza dei confini ucraini. Dunque il memorandum di Budapest del 1994, con cui Mosca se ne era fatta garante, è d’ora in poi da considerarsi come un pezzo di carta straccia.

Che diano seguito o meno a queste minacce, i russi stanno comunque esercitando una pressione fortissima sull’Ucraina, in vista del voto del 25 maggio. Le truppe tuttora schierate alle frontiere, potrebbero mettere ko il Paese in pochi giorni, dividendolo in due con un’offensiva lungo il Dniepr, e/o occupando con un blitz le regioni orientali di Donetsk e Luhansk. La presenza di tre divisioni d’assalto aereo e numerose unità di forze speciali (Spetnatz) dimostrano la prontezza ad effettuare una guerra-lampo in caso di necessità, in ogni momento. Nel frattempo, la propaganda russa martella i suoi telespettatori con notizie scientemente esagerate su scontri in corso in territorio ucraino. E non sempre questa ciambella viene col buco. Il noto anchorman Dmitri Kiselijov ha usato immagini di repertorio della guerriglia nel Caucaso settentrionale per mostrare al pubblico la presunta ferocia dei “nazisti” ucraini. Scoperto nel giro di poche ore, ha dovuto ammettere l’errore (e scaricare la colpa su anonimi stagisti).

Qualcosa si muove anche sul fronte ucraino, intanto. Stanco della presenza di milizie russe e pro-russe nella “sua” regione, il magnate Rinat Akhmetov, del Donetsk, ha mobilitato i suoi operai e i tassisti in uno sciopero generale e in grandi manifestazioni contro gli occupanti. Si tratta di una sua prima presa di posizione. Considerando che, finora, era considerato quantomeno tiepido nei confronti del governo provvisorio di Kiev, è certamente uno sviluppo importante. Anche coloro che sono considerati gli alleati naturali dei russi, insomma, iniziano a mostrarsi insofferenti. Al voto del 25 maggio (sempre che si riesca a votare) si vedrà realmente quanti amano Putin più che il governo provvisorio.


di Stefano Magni