Golpe in Libia in corso d’opera

martedì 20 maggio 2014


Per coloro che non se ne fossero accorti, in Libia è in corso un tentativo di golpe. Come altro definire un’iniziativa armata che ha portato, la scorsa domenica, miliziani di un sedicente “esercito libero” a dare l’assalto al palazzo dove ha sede il Congresso Nazionale Generale, alias il Parlamento libico? Nell’attacco sono rimasti uccisi due combattenti e 55 sono stati feriti. L’azione ha condotto al rapimento di 7 deputati.

Sebbene davanti ai teleschermi si sia presentato il colonnello Mokhtar Fernana che avrebbe annunciato alla popolazione l’avvenuta sospensione dell’organo parlamentare, fonti di intelligence fanno risalire l’iniziativa al generale Khalifa Haftar che, da alcuni giorni, sta guidando una propria milizia personale all’assalto delle basi degli islamisti radicali e jihadisti di Ansar Al-Sharia, in Cirenaica. L’obiettivo del generale, in sé lodevole, è quello di sdradicare dal territorio libico la presenza qaedista che starebbe danneggiando notevolmente gli interessi della popolazione autoctona, annichilendo ogni suo tentativo di ripresa economica e sociale e di apertura alle relazioni con altri Paesi. La forza di Haftar, partito con 200 uomini, due aerei e un elicottero, starebbe crescendo con il trascorrere delle ore. Già nell’attacco al parlamento, Haftar ha goduto dell’appoggio di reparti dell’esercito regolare. Non a caso l’attuale ministro della giustizia libico, Salah Al-Marghani, ha tentato, con scarso successo, di separare, nella ricostruzione degli scontri, i fatti di Cirenaica dall’assalto al Parlamento, allo scopo di tenere il resto dell’esercito regolare lontano e distinto dal putsch in corso nella capitale Tripoli.

Alla distanza, la posizione di Haftar sembra destinata a rafforzarsi grazie all’arrivo, dal Sud del Paese, delle forze della potente milizia di Zintan le quali sarebbero pronte a schierarsi al fianco del vecchio generale per completare l’opera di pulizia della Libia dalla presenza degli jihadisti. A loro fianco anche le tribù di Aghedabia e Qaaqaa, per quella che chiamano “Operazione dignità della Libia”.

Il generale Haftar, dal canto suo, ha voluto sgombrare il campo da possibili equivoci sulle sue reali intenzioni. Ha più volte ribadito che l’iniziativa non risponde a un’ambizione personale di conquista del potere, ma è interamente rivolta al bene della Libia. L’obiettivo dell’autoproclamato “Esercito nazionale Libico” sarebbe di difendere il popolo dai terroristi. Per raggiungerlo Haftar si è dichiarato pronto a non mollare, fino all’ultimo. Ma chi c’è dietro questo anziano pensionato che decide all’improvviso di mettersi a capeggiare una rivolta armata? Il fatto che, a seguito della rottura con Al Qadhdhāfi, abbia vissuto a lungo negli Stati Uniti, in un’abitazione non distante da Langley, in Virginia, alimenta il sospetto che Haftar sia un uomo della Cia, l’intelligence statunitense. E se così fosse? Tanto meglio. Qualcuno doveva pur accorgersi di quanto la situazione in Libia fosse divenuta insostenibile. Ora si tratta di compredere quale atteggiamento le milizie di Haftar vogliano tenere rispetto al governo messo in piedi appena due settimane or sono. Infatti, il 4 maggio è stato eletto, non senza contestazioni e accuse di brogli, Ahmed Omar Mitig, nuovo primo ministro in sostituzione del dimissionario Al Thani. Mitig, giovane imprenditore di Misurata, ha annunciato l’intenzione di formare un governo d’emergenza per avviare un processo di riconciliazione nazionale.

Alla luce degli ultimi avvenimenti, viene di presumere che anche il tentativo di Mitig, il quinto dopo la caduta di Al Qadhdhāfi, sia destinato a fallire. Questa è l’ora delle armi. L’auspicio è che la situazione evolva verso una soluzione chiarificatrice e in sé definitiva. Il timore è che, invece, si cristallizzi in una sorta di “somalizzazione” della Libia che condurrebbe non ad anni ma a decenni di instabilità e di privazione della sicurezza interna ed esterna al Paese. In attesa che la nebbia si diradi e renda visibile lo scenario, gli Stati limitrofi stanno apprestando le loro misure di sicurezza. La Tunisia ha inviato 5mila soldati per rafforzare le misure “proattive” nelle aree di confine. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno di Tunisi, Lotfi Ben Jeddou, al termine di una riunione d’emergenza del governo tunisino, convocato per la crisi libica.

Per quanto riguarda l’Italia, siamo alle solite. Il vuoto pneumatico. È pazzesco solo pensare che il nostro governo non sia stato convocato d’urgenza per affrontare la crisi, viste le implicazioni dirette che vi sono per la questione degli sbarchi continui di clandestini provenienti dalle coste libiche. Si registra, al momento, una laconica dichiarazione della ministra Mogherini. Laconica e lunare. La giovane rappresentante della nostra politica estera, nel dirsi preoccupata (meno male!) dell’evolversi della situazione a Tripoli ha ribadito la necessità che “la comunità internazionale, dall’Unione Europea all’Onu, deve mobilitare tutti gli strumenti della diplomazia affinché la transizione verso la democrazia si compia con successo, con il coinvolgimento di tutte le parti”. Siamo ancora a questo! Si stanno ammazzando fra di loro. Il Paese è nel caos completo. Tutti contro tutti. E la nostra ministra non trova niente di meglio da dire che auspicare la prosecuzione di una fantomatica “transizione”. Ma dov’è che l’ha vista? Al cinema? Non sarebbe il caso di fare qualche cosina in più? Per esempio, invitare la ministra della Difesa Pinotti, che la scorsa settimana voleva “invadere” l’Ucraina, a predisporre l’invio di una forza d’intervento rapido in Sicilia, a Sigonella o, meglio ancora, a Lampedusa. Il nostro contingente dovrebbe essere pronto a entrare in azione qualora gli eventi dovessero precipitare.

Non sarebbe opportuno chiedere al ministro Alfano di decretare la sospensione provvisoria dell’operazione “Mare Nostrum”, atteso il grande rischio che l’Italia corre di vedersi invasa non più solo da poveri disgraziati in fuga dalla povertà ma anche da pericolosi terroristi spinti in mare dalla pressione delle milizie che fanno capo al generale Haftar? Ancora, la “bellicosa” ministra Pinotti potrebbe decidere per il blocco navale del mare libico, in concorso con le forze Nato, per prevenire l’afflusso di mezzi e armamenti a sostegno delle parti in conflitto e per arrestare l’esodo di masse incontrollabili di individui in fuga.

In concreto, ciò che adesso occorrerebbe fare è di assumere iniziative immediate per porre in sicurezza il nostro confine meridionale. Un governo serve anche a questo. Sebbene sia mortificante farlo, ci vediamo costretti a ricordare ai vari Mogherini, Alfano, Pinotti, e, naturalmente, allo stesso primo ministro Matteo Renzi che non facinorosi elettori di destra ma la Costituzione della Repubblica italiana, tanto invocata dalle anime belle della sinistra pacifista quando fa comodo, proclama all’articolo 52, primo comma: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Quando i Padri costituenti lo scrissero pensarono non soltanto ai singoli italiani, ma anche ai loro rappresentati politici all’interno delle istituzioni repubblicane. Quindi, l’articolo 52, cari signori ministri, vale anche per voi. Non perdetevi in chiacchiere, riponete per un po’ nel cassetto dei ricordi il vostro insopportabile “buonismo” e fate il vostro dovere. Difendete l’Italia! E gli italiani!


di Cristofaro Sola