La resa dei conti per l’Ucraina

mercoledì 16 aprile 2014


È iniziata ieri l’operazione militare ucraina per sgomberare le città delle regioni orientali occupate da milizie irregolari russe e pro-russe. La scelta militare del presidente ad interim Turchynov è frutto di esasperazione, può precipitare una situazione tesa in una guerra civile vera e propria e può anche far saltare i colloqui di Ginevra Usa-Ue-Russia previsti per il prossimo giovedì. Se la situazione dovesse degenerare fino alla guerra, o all’invasione dell’Ucraina orientale da parte della Russia, la repressione militare di Kiev sarà ricordata dagli storici come un’avventatezza, pari a quella commessa dal presidente Saakashvili nel 2008, quando invase l’Ossezia del Sud. Ma può essere giudicata così duramente? Gli storici, però, hanno la memoria corta sulla Georgia e molti giornalisti (storici del presente) hanno o vogliono avere la vista ancora più corta in Ucraina.

Sulla Georgia, gli storici non vogliono ricordare lo stillicidio di provocazioni russe contro i georgiani, la loro concentrazione di forze a ridosso dell’Ossezia del Sud e i razzi lanciati da quella regione secessionista contro le città georgiane. L’intervento “imprudente” di Saakashvili fu, insomma, una scelta obbligata. In questi giorni, la scelta di agire militarmente, da parte di Kiev, è stata altrettanto forzata. Difficile vedere come agire altrimenti. È necessario ricordare come si sia giunti a questo punto. Già dall’inizio di marzo, durante l’occupazione della Crimea e il referendum che ne ha sancito l’annessione alla Federazione Russa, l’esercito moscovita ha iniziato a concentrare forze sui confini orientali ucraini, come è ampiamente documentato da foto satellitari diffuse dalla Nato. Alla concentrazione di forze regolari è seguita la penetrazione nei confini orientali di irregolari e truppe speciali.

La scorsa settimana, queste ultime hanno preso il controllo di almeno 10 città e cittadine dell’Est, in particolar modo nella regione di Donetsk, che si è proclamata “Repubblica Popolare” e chiede l’annessione a Mosca. Quelli che vengono superficialmente chiamati “pro-russi”, sono solo in parte cittadini ucraini di etnia o lingua russa che sostengono la politica di Putin. Le forze più organizzate sono costituite da militari e forze speciali di Mosca. Una prima prova, già abbastanza eclatante, are costituita dalla loro provenienza: venivano sbarcati da automezzi con targa russa, neppure camuffata e nemmeno nascosta agli occhi dei fotografi e dei servizi ucraini. Una seconda prova, ancor eloquente, è costituita dai dialoghi intercettati fra i militari dispiegati sul posto e il loro comando a Mosca.

Ieri, per esempio, sono state pubblicate (anche in versione italiana, da quotidiani italiani come La Stampa) le intercettazioni presso Sloviansk, una cittadina dell’Est ucraino, dopo una sparatoria avvenuta domenica attorno a un check point improvvisato, in cui è rimasto ferito il capo dell’anti-terrorismo ucraino. Dall’intercettazione è possibile capire come i miliziani irregolari prendano direttamente ordini da Mosca, salutino militarmente i loro superiori e chiedano rinforzi e istruzioni dalla Russia. Non si tratta dunque di manifestazioni “pro-russe” nell’Est, come già scritto sulle colonne di questo giornale, ma di un’invasione non dichiarata, esattamente come in Crimea.

Con la Crimea già persa e l’Est invaso, il governo di Kiev aveva solo due scelte: presentarsi al negoziato di Ginevra con un territorio mutilato e una Russia in grado di dimostrare il proprio controllo militare dell’area, oppure cercare almeno di salvare l’Est. Si poteva agire con metodi non militari? Il governo provvisorio di Yatsenyuk ci ha provato. Il premier si è recato personalmente nell’Est, ha promesso di mantenere uno statuto speciale per le regioni orientali russofone (che potranno, prima di tutto, continuare a parlare russo) e infine ha anche promesso di promulgare una legge per un referendum, per trasformare, eventualmente, l’Ucraina da Stato unitario a federazione.

In questa manovra, si può subito notare almeno un grave errore del governo di Kiev: il referendum si sarebbe dovuto tenere regione per regione, mentre l’esecutivo ucraino ne ha promesso uno su scala nazionale, in cui l’Ovest può votare contro l’Est. Yatsenyuk e Turchynov hanno seguito la costituzione, che non prevede referendum regionali. In una situazione così emergenziale, forse, la costituzione si sarebbe potuta emendare? Probabilmente sì, ma correndo il rischio di veder insorgere le regioni centro-occidentale, già esasperate per l’invasione della Crimea e l’inizio di quella dell’Est. Alla fine la situazione è rimasta in stallo per due giorni, ben due deadlines sono passate senza che i russi gettassero le armi (sanno di avere Mosca alle spalle…) e si è arrivati allo scontro militare. D’ora in avanti può succedere qualunque cosa.


di Stefano Magni