La “vena madre” degli italoamericani

giovedì 3 aprile 2014


Alcuni anni fa un meraviglioso documentario, “Bitter bread” (Pane Amaro), ha descritto la storia dell’emigrazione italiana verso la costa orientale degli Stati Uniti. Era una pietra miliare in questo campo e ora i due autori e produttori, Gianfranco Norelli e Suma Kurien, sono tornati con un altro meraviglioso documentario, questa volta sull’emigrazione italiana verso la costa occidentale statunitense: “Finding the Mother Lode”. Una serie di proiezioni in California inizierà il 5 aprile presso la University of the Pacific a Stockton, per poi proseguire per tutto il mese. L’elenco delle proiezioni e il link per l’acquisto di questo dvd indipendente su Amazon si possono trovare sul sito Internet www.findingthemotherlode.com.

Gianfranco e Suma, il nuovo documentario si chiama “Finding the Mother Lode”. Ci dite qualcosa in più?

Abbiamo voluto far luce su una parte dell’esperienza dell’emigrazione degli italiani negli Stati Uniti che va un po’ contro lo stereotipo degli italiani concentrati nelle Little Italy, in piccole enclave urbane della costa orientale. Tutto quello che molti conoscono circa gli italiani emigrati è relativo alle abitazioni in cui vivevano, in luoghi molto affollati, quartieri poveri, molto isolati dal resto della società americana circostante. In California abbiamo trovato un’esperienza diversa e il motivo è che in California c’erano molte più opportunità di cui gli italiani si potevano avvantaggiare. Quando gli italiani arrivarono, durante il periodo della corsa all’oro, lo Stato della California era appena stato formato, e quindi era molto in evoluzione: ogni abilità era necessaria e c’erano possibilità di acquistare terreni, a volte anche di ottenere terra senza doverla acquistare. C’erano concessioni di terra destinate a facilitare la creazione di comunità, e così gli italiani trovarono il modo di utilizzare le competenze che già avevano in Italia. Coloro che avevano esperienza come agricoltori furono in grado di trovare il terreno e continuare con l’attività che già svolgevano; quelli che erano pescatori in Italia poterono continuare a pescare; quelli che in patria facevano il vino, riuscirono ad avviare aziende vitivinicole in California. Rispetto all’altra costa, questo permise loro di avere presto successo, di potersi integrare in maniera più semplice e veloce nella società californiana, e di mandare prima i loro figli a scuola. Inoltre, il clima in California era molto simile in Italia, e ciò diede la possibilità agli agricoltori italiani di piantare gli alimenti che sapevano come piantare, a volte addirittura di portare le piante dall’Italia: quindi di trasferire competenze e la conoscenza che avevano già in Italia.

Questo documentario segue quello precedente, un lavoro di grande valore e successo, “Bitter bread”, che racconta la storia degli immigrati italiani sulla costa orientale degli Usa. Oltre a queste che ci avete accennato, quali sono le differenze tra le esperienze raccontate nei due documentari?

Coloro che arrivarono sulla costa est dovettero affrontare condizioni molto più difficili: il clima era molto diverso, non ospitale per i tipi di piante – piante mediterranee – usati nelle aziende agricole in Italia. Sulla costa est gli italiani trovarono una situazione già abbastanza strutturata, con una gerarchia sociale ben consolidata, perché vennero dopo molte altre ondate di immigrati del Nord-Europa, già ormai stabiliti nella società americana. Così, quando arrivarono gli italiani sulla costa orientale, anche se molti di loro in Italia erano contadini si trovarono a scavare fossati o a costruire la metropolitana di New York, e non poterono mettere a frutto le esatte competenze che avevano. Questa è la differenza più importante, ma non l’unica. Anche cosa accadde alle generazioni successive è diverso, perché gli italiani sulla east coast ebbero accesso più tardi all’istruzione per i loro figli, non ci furono avvocati e membri del Congresso fino a un periodo molto successivo alla costa occidentale, dove il primo deputato di origine italiana fu eletto già nel 1891. Il suo nome era Anthony Caminetti: noi lo ricordiamo come esempio di questo all’inizio del documentario. Era nato in California, figlio di un immigrato siciliano nella zona della corsa all’oro, e dopo essere diventato un avvocato piuttosto prominente nella comunità italoamericana in California, si candidò e fu eletto al Congresso di Washington nel 1891. È interessante notare che più tardi fu nominato Commissario federale all’immigrazione, per tutto il Paese, e in realtà la sua politica fu di limitare l’immigrazione, soprattutto quella cinese. Un’altra differenza con la costa est è che la California non era allora molto popolata: anzi, stava cercando di attrarre immigrazione per popolare lo Stato, e gli immigrati di origine europea erano i preferiti perché ce n’erano già molti provenienti dall’Asia - in gran numero dalla Cina - che erano visti come estranei indesiderati. Così gli italiani erano considerati molto più desiderabili, molto diversamente da ciò che accadeva sull’altra costa. Quindi, ciò che è importante da menzionare è il diverso contesto razziale e sociale sulle due coste. Nella east coast c’era già un gran numero di immigrati europei del nord e dell’est, che si erano già insediati, dominavano la scena di diverse professioni, avevano acquistato terreni e proprietà, erano a volte già divenuti professionisti. Quindi questi immigrati europei erano una parte dell’establishment, quando arrivarono gli italiani, e per questi ultimi gli spazi rimasti furono quelli in fondo alla gerarchia e alla scala sociale. Ne è un esempio la Louisiana, dove gli italiani, e in particolare gli immigrati siciliani, che arrivarono alla fine del 1800, inizialmente trovarono i posti di lavoro abbandonati dagli afro- americani liberati dalla schiavitù: lavoravano nelle piantagioni di cotone e di canna da zucchero, posti di lavoro che altri bianchi si rifiutavano di occupare. Ma i siciliani erano disposti a fare qualsiasi lavoro disponibile, e infatti alcuni erano assunti dai reclutatori americani addirittura in Sicilia. Ora, il fatto che accettarono di fare questi lavori li mise, agli occhi di molti americani, allo stesso livello di quelli che facevano quei lavori prima di essi: gli schiavi. Furono fortemente discriminati, considerati stranieri, e la loro integrazione fu molto difficile. Nel 1891, lo stesso anno in cui abbiamo detto che a Los Angeles veniva eletto al Congresso un italoamericano, a New Orleans veniva massacrati 11 italiani nel più grande linciaggio della storia della costa est. Sulla costa orientale, al contrario, il paesaggio razziale comprendeva un gran numero di messicani, cinesi, giapponesi: gli europei erano la minoranza in molte comunità, tanto che italiani venivano accolti favorevolmente dagli altri europei. Lì furono piuttosto gli asiatici, quelli che soffrirono l’ostilità razziale più degli altri. Un’altra grande differenza è che la criminalità organizzata era molto più diffusa sulla east coast, a Chicago, New York, New Orleans, di quanto sia mai accaduto sulla west coast. Non abbiamo incentrato il documentario su questo specifico argomento, ma molti ci hanno detto la stessa cosa: “Non abbiamo avuto bisogno di padroni, né della mafia per aiutarci ad ottenere la protezione da parte del governo, o per assisterci ad integrarci socialmente o economicamente. Abbiamo potuto fare benissimo da soli!”. Quindi, il fatto che la criminalità organizzata non era diventata molto potente sulla west coast significava anche che non c’era il tipo di pregiudizio contro gli italiani che li colpiva invece nel resto del Paese, dove sono stati molto spesso associati alla mafia. Gli italiani sulla costa occidentale fecero consapevolmente un grande sforzo per assicurarsi che la loro immagine fosse decisamente diversa. Più tardi, nel XX secolo, quando si iniziò a viaggiare più facilmente fra le due coste, arrivarono molti più immigrati ad ovest. Gli italiani che si erano già precedentemente stabiliti a San Francisco erano preoccupati che i nuovi immigrati rimanessero disoccupati, fossero costretti a vagare in giro per le strade, dando una cattiva immagine degli italiani: così, in molti casi cercarono di trovare loro un lavoro nelle aziende nell’interno della California.

Cos’è la “Mother Lode” che dà il titolo al documentario ?

“The Mother Lode” viene tradotto in italiano con “la vena madre”, che sarebbe il filone principale dell’oro e ha quasi un significato mitologico. Trovare la vena madre diventa una metafora dell’avere successo, e per questo l’abbiamo scelto come nostro titolo. All’inizio del film abbiamo intervistato un esperto ingegnere minerario che dice che effettivamente non c’era molto oro, e certamente solo poche delle centinaia di migliaia di persone che andarono alla ricerca dell’oro in California, lo trovarono davvero. L’oro che trovarono gli italiani, la loro “vena madre”, finì per essere l’agricoltura, il commercio, la pesca e la vinificazione: la capacità di utilizzare le competenze che già avevano, perché le opportunità erano tante e permisero loro di prosperare.

Per coloro che leggeranno l’intervista senza aver ancora visto il documentario, si parla anche di storie drammatiche, che riguardano la vita dura - e la morte, nel caso del disastro della miniera di Argonaut - di questi immigrati...

Ci furono due ondate di immigrati. Nella prima ondata ci furono coloro che arrivarono all’inizio della corsa all’oro, nel 1848-1849: venivano da tutto il mondo e furono chiamati “Forty-Niners”. Gli italiani che ne fecero parte trovarono molto poco oro, ma ebbero successo dando vita ad aziende agricole e imprese. C’era un detto a quel tempo: “Italians did not mine the mines, they mined the miners”, che significa che la loro fortuna e il loro successo non vennero dal fatto di aver trovato l’oro, ma di vendere ai minatori tutto il necessario, dagli strumenti per il trasporto alle case fino al cibo. Ci fu poi una seconda ondata di immigrati, all’inizio del 1900, fatta per lo più da uomini soli, che non ebbe il successo dei pionieri prima descritti: così questi giovani finirono per lavorare nelle miniere, dove svolgevano i lavori più duri, fino a mille metri sotto terra. Nel disastro della miniera di Argonaut, circa 48 minatori rimasero intrappolati molto in profondità in un’esplosione di gas e non poterono essere salvati in tempo: quando furono raggiunti, sul muro che li aveva intrappolati fu trovata una scritta che diceva che il gas stava diventando sempre più forte. La metà di quei minatori erano immigrati italiani. In molti casi, questi immigrati erano sconosciuti alla comunità, perché erano manovali temporanei, che si spostavano da una miniera all’altra; spesso non parlavano nemmeno l’inglese, non avevano alcun collegamento con la comunità, e quando morivano erano spesso sepolti in tombe comuni, senza che si potessero riportare nemmeno i loro nomi.

C’è una differenza tra chi arrivò a San Francisco e chi a Los Angeles?

Beh, a San Francisco ci fu un’emigrazione precedente di un gran numero di italiani, e anche di molti imprenditori che iniziarono a fare impresa, furono anche create banche. San Francisco è diventato quello che fu solito chiamare “the model colony” (la colonia modello), una comunità che aveva anche l’arte, le librerie, i negozi italiani, una vita intellettuale: la comunità italiana diede vita al teatro dell’opera di San Francisco. In generale, gli italiani a San Francisco furono in grado di essere economicamente di successo e socialmente prominenti e riconosciuti. A Los Angeles, invece, la comunità era molto più piccola e meno concentrata geograficamente: gli italiani finirono per trasferirsi in zone che circondano la città, dove ebbero successo nell'agricoltura, nel commercio e nell’impresa, ma rimanendo sparsi e non concentrati in una zona come accadde invece a San Francisco. Alcuni dei primi immigrati italiani a Los Angeles poi si sposarono con membri di ricche famiglie messicane che erano nella California del sud da prima dell’annessione negli Stati Uniti. Molti di loro addirittura finirono per adottare versioni spagnole dei loro nomi.

Quali sono i luoghi importanti della storia degli immigrati italiani in California?

Alcuni dei più importanti primi insediamenti italiani sono San Francisco, Sonoma Valley e Napa Valley. L’industria del vino in California non è stata avviata solo dagli italiani: c’erano altre cantine di tedeschi, ungheresi e francesi... ma la campagna intorno a Sonoma, come la conosciamo oggi, è molto simile alla Toscana a causa dei cipressi, degli ulivi, delle vigne: creazione di tanti piccoli agricoltori italiani che lì stabilirono i loro vigneti. Inoltre, le aziende italiane furono in grado di sopravvivere bene anche al proibizionismo: le cantine che rimasero in piedi e poi tornarono a crescere erano in gran parte italiane.

Esistevano Little Italy a Los Angeles e a San Francisco?

A San Francisco, il centro della vita italiana era la chiesa di San Pietro e Paolo. Il North Beach aveva anche tre quotidiani italiani (il più importante dei quali era “L’Italia”), molte imprese italiane con due grandi comunità, all’inizio, i siciliani e genovesi. I siciliani erano per lo più pescatori; anche i genovesi iniziarono con la pesca ma poi svilupparono con grande successo un’altra attività economica, la raccolta dei rifiuti, finendo per essere soprannominati “scavengers” (gli spazzini). Questi scavengers (rumentai, in dialetto genovese), si resero conto che avrebbero potuto fare molti soldi attraverso la raccolta di rifiuti, la riscossione di contributi ai loro clienti e anche il riciclaggio di tutto, dalla carta al vetro, dal metallo ai bottoni... furono in grado di rivendere tutto quello che si può immaginare. Così iniziarono questa attività, creando una cooperativa che inizialmente aveva 150 membri per poi crescere lentamente fino a ottenere una concessione cittadina, che diede loro il monopolio nella raccolta rifiuti. Quindi il valore della loro attività crebbe enormemente, e dopo aver lavorato 30/40 anni poterono andare in pensione molto ricchi: nel documentario abbiamo la storia di una famiglia che da cinque generazioni è impegnata nel business della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti... l’uomo che abbiamo intervistato ci ha detto: “Sì, siamo stati di gran lunga i primi riciclatori”.

C’è un personaggio o una storia, sconosciuta ai più, che ritenete sia importante ricordare?

Pensiamo che Amedeo P. Giannini, che creò la Bank of Italy, sia il personaggio giusto. Poche persone lo conoscono davvero, al di fuori della comunità italoamericana, e certamente pochi in Italia sanno chi fu. La sua Bank of Italy divenne poi Bank of America. Attraverso il suo lavoro fu in grado di avere un impatto su molti altri italiani nella comunità: diede prestiti senza richiedere garanzie, la Bank of Italy fu la prima ad iniziare a dare prestiti agli agricoltori e agli immigrati senza soldi. Mise in piedi una campagna di marketing molto mirata, promuovendo il risparmio in banca come un modo importante di crescere economicamente per le famiglie italiane. Inviò giovani italiani a visitare le famiglie e a convincerle a mettere i soldi in banca. Ma ebbe anche l’intelligenza di prestare denaro agli agricoltori, e abbiamo incontrato molti agricoltori e proprietari di cantine che ci hanno riportato le memorie di chi disse loro quanto sia stato cruciale per l’inizio del loro business l’opera di Giannini. Nel documentario si parla di un uomo il cui padre aveva bisogno di denaro per portare il raccolto al mercato, e fu aiutato finanziariamente da A.P. Giannini. Era un visionario che capì la situazione delle famiglie di agricoltori e immigrati, e fece la differenza per molti di loro, capendo che essi rappresentavano anche un mercato importante per far crescere il suo stesso business. Vale la pena ricordare da dove iniziò. All’inizio era un venditore di verdura che si stancò e iniziò a lavorare in banca, scoprendo che la comunità bancaria era molto chiusa ai nuovi immigrati perché il settore bancario, prima della sua Bank of Italy, prestava soldi solo a chi poteva dare solide garanzie di poter restituire i prestiti. Quindi si prestavano soldi solo a chi era già ricco. Giannini si rese conto che a chiedere prestiti erano anche persone che lavoravano molto duramente, con una grande etica del lavoro. Quindi iniziò a prestare denaro agli immigrati italiani e poi ampliò la sua attività ai portoghesi e ai cinesi, e così la sua attività crebbe molto. Era un innovatore, un visionario, un uomo d’affari creativo. Questo permise agli italiani in California di poter dare un acconto per comprare un pezzo di terra e sviluppare una fattoria, o per iniziare un piccolo negozio, e da lì ebbero grande successo.

Certamente da menzionare è anche la storia degli italiani in California dopo Pearl Harbor.

Questa è una storia molto importante. Dopo l’attacco di Pearl Harbor, il governo americano era molto preoccupato che ci potesse essere un altro attacco sulla west coast, e quindi si insospettì circa la possibilità che le persone lì emigrate da Paesi che erano diventati nemici come l’Italia, il Giappone e la Germania, avrebbero potuto aiutare il nemico durante questa ipotetica invasione. A quel tempo, 600mila immigrati italiani che non erano ancora diventati cittadini americani furono dichiarati “enemy aliens” (stranieri nemici), insieme a tutti gli immigrati giapponesi e tedeschi. Questo portò ad una serie di restrizioni e controlli: non potevano circolare nelle strade di notte senza un permesso che dovevano esibire quando la polizia lo richiedesse, una serie di restrizioni resero la loro vita più difficile, e in California fu anche peggio. Più di 10mila italiani che vivevano sulla costa furono costretti a trasferirsi verso l’interno dello Stato: i più duramente colpiti da questo provvedimento furono i pescatori. Ad esempio, il padre del campione di baseball Joe Di Maggio era un pescatore: la sua barca fu confiscata e la sua famiglia fu costretta ad allontanarsi dalla costa. Così tante persone soffrirono a causa di questo trasferimento: inoltre, circa 400 persone di origine italiana furono effettivamente internati nei campi di prigionia lontano dalla California. Il più grande di questi campi era Fort Missoula, nel Montana, dove furono inviati gli italiani che avevano avuto qualche connessione con organizzazioni favorevoli al fascismo, e quindi considerati pericolosi. Ma questo non durò più di sette mesi, dopodiché, quando nel corso della guerra l’Italia cessò di essere un nemico, il Governo americano revocò le restrizioni contro gli italiani. Una delle cose di cui parliamo nel documentario è l’impatto che tutta la designazione di enemy aliens ebbe sulla comunità italiana; perché c’era un senso di stigma, di paura di mostrare la loro cultura italiana. C’erano negozi a San Francisco con manifesti che dicevano: “In questo negozio non si parla italiano” o “Non parlare la lingua del nemico”. Inoltre, il Senato della California creò una commissione per investigare sugli italiani, essendo essi accusati di avere simpatia per il nemico e quindi essendo visti come fascisti: un’esperienza molto umiliante per molte persone, inclusi molti membri potenti e di spicco della comunità, come Angelo Rossi che, dopo essere stato il sindaco di San Francisco per dieci anni, fu accusato di essere fascista e pianse per questa enorme umiliazione.


di Umberto Mucci