Ma dove osa la Corea del Nord?

martedì 1 aprile 2014


Scambio di colpi d’artiglieria al confine fra la Corea del Sud e del Nord. Durante le grandi manovre del regime comunista, che si svolgono contemporaneamente a manovre congiunte di Usa e Corea del Sud, alcuni colpi sono stati sparati dall’altra parte del confine, in una zona di acque territoriali contesa. Probabilmente si è trattato di un’azione deliberata contro bersagli innocui, non lontani da quell’isola di Yeonpyeong che nel 2010 era stata bombardata dal Nord (due militari e due civili sudcoreani erano morti sotto la grandinata di colpi). In quest’ultima circostanza, non si sono registrate vittime, anche se un isolotto sudcoreano è stato completamente evacuato.

Che si sia trattato di una provocazione deliberata e non di qualche artigliere che ha sbagliato la mira, è deducibile da due fattori: tutto il tratto di mare fino all’area che fronteggia l’aeroporto internazionale di Inchon (Seoul) è rivendicato dal Nord e considerato già come parte delle proprie acque territoriali; il periodo è contraddistinto da una preoccupante escalation di dichiarazioni bellicose e azioni provocatorie militari di Pyongyang.

Sorvolando sul primo fattore, che riguarda una disputa marittima e territoriale vecchia di 64 anni, il secondo è molto più preoccupante: anche se pochi, ancora, ne parlano e solo la stampa sudcoreana e statunitense lo sta rilevando puntualmente, sta iniziando una seconda escalation in Corea. Dopo la crisi nucleare del 2013, potrebbe essere arrivato il turno di quella del 2014. La settimana scorsa la Corea del Nord, contravvenendo alle risoluzioni Onu che mettono al bando i test missilistici, ha lanciato alcuni Nodong a medio raggio. Poi è stata la volta delle grandi manovre, a ridosso del confine del Sud. E infine è arrivata la minaccia più grave: è stato annunciato un nuovo test nucleare e questa volta, stando alle agenzie di informazione nordcoreane, sarà “speciale”, diverso da tutti gli altri. Che cosa si intenderà mai per “speciale”? Volendo escludere una prova “dal vivo”, cioè il lancio di una testata nucleare reale su un bersaglio reale, in Corea del Sud o Giappone, i nordcoreani potrebbero semplicemente voler comunicare che intendono testate una nuova arma atomica. O vogliono fare un test in superficie, il primo al mondo nell’ultimo mezzo secolo? Le frontiere della comunicazione nordcoreana sono impenetrabili e incomprensibili. E il significato di questo “test speciale” lo sapremo a cose già compiute. Ma è proprio questo il brutto.

In un periodo come questo, tutti gli sforzi dunque statunitensi sono volti a contenere la rinnovata minaccia russa in Europa, scongiurando, prima di tutto, una possibile invasione dell’Ucraina orientale o un intervento in Moldavia. Dunque, vi sarebbe poco spazio e poca attenzione (e poca pazienza residua) per far fronte a una nuova crisi internazionale, magari pure nucleare, anche in Asia orientale. La Cina dà segni di insofferenza nei confronti del suo alleato “regno eremita” e sta invitando Pyongyang alla calma. Ma è però sempre la Cina che ha tutto l’interesse a tenerlo in vita e a rifornirlo di tutto il necessario, se non altro perché serve a Pechino come regime cuscinetto.

Proprio la crisi in Ucraina sta probabilmente incoraggiando la Corea del Nord a lanciare la sua nuova sfida e, magari, ad andare oltre ai limiti fin qui raggiunti. Il regime di Pyongyang, storicamente, ha sempre contato sull’appoggio alternato di Cina e Urss. Ha sempre contato sulle crisi fra queste due potenze totalitarie e gli Usa, per ottenere aiuti dagli altri regimi comunisti. Anche dopo la fine dell’Urss, questa logica non è del tutto cambiata: in periodi di crisi fra Cina e Usa, la Corea del Nord sa di ottenere un sostegno più generoso dalla Cina. Ora è un periodo di tensione fra Russia e Usa, dunque il dittatore Kim Jong-un sa che, almeno, i russi non gli metteranno troppo i bastoni fra le ruote. Inoltre, un regime totalitario è sempre un predatore che tende ad attaccare una preda quando la vede debole. Gli Usa, francamente, non stanno dando una gran prova di forza e prestigio in Ucraina, promettendo aiuto a uno Stato e lasciandogli perdere una regione nelle mani di un invasore, dimostrano di non prendere in considerazione alcun intervento (non si intende militare, ma almeno economico). E quindi: perché non provare a fare un passo oltre il confine?


di Stefano Magni