La Shari'a sbarca in Gran Bretagna

venerdì 28 marzo 2014


Quando qualche anno fa l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, previde l’applicazione della legge islamica per la regolazione di certi rapporti nelle comunità islamiche nel Regno Unito, e suscitò non poco scalpore e una nutrita serie di accese critiche. A distanza di qualche anno le previsioni della massima autorità religiosa anglicana si avviano a divenire realtà grazie a “The Law Society”, i cui solicitors (figure legali indipendenti del sistema giuridico britannico attive soprattutto in materie di dispute civili e nella preparazione dei processi) potranno sostenere volontà islamiche nel diritto ereditario.

In pratica, un musulmano inglese potrà far valere il diritto islamico in materie di eredità che gli consentirebbero sia di non destinare alla propria moglie una parte equanime della propria eredità, sia di escludere da essa i figli illegittimi o adottati, secondo appunto la norma islamica. Tale disposizione riguarderebbe ovviamente solo i sudditi di religione islamica, e già in ambienti non-musulmani e alle camere del regno voci di dissenso si alzano, chi accusando il provvedimento come discriminante, chi rimanendo molto più semplicemente basito. Resta un provvedimento non vincolante e qualsiasi musulmano non volesse beneficiarne non sarebbe obbligato a farlo, ma, come argomenta la baronessa Cox, impegnata in parlamento in una campagna contro la discriminazione delle donne, da questo momento in poi la disparità di trattamento verso il gentil sesso, e i figli illegittimi, diventa possibile in Inghilterra e Galles.

Nonostante esso sia un provvedimento strettamente civile, e riguardi una sezione del diritto familiare, questa è la prima volta che la legge islamica mette il piede all’interno del sistema giuridico britannico, e sarebbe opportuno chiedersi non solo se sia appropriato creare una sorta di diritto parallelo alla Common Law, ma anche se questo non sia l’inizio di una islamizzazione crescente del diritto inglese e gallese. La religione islamica prevede un sistema legale completo e universale, capace di regolamentare la vita, in tutti i suoi aspetti, di tutti i credenti nella fede di Allah, ma anche di regolamentare quella di coloro che hanno altre fedi o che non credono affatto in alcuna divinità. Conseguentemente, i timori di chi pensa a una presenza sempre maggiore di giuristi musulmani nel dibattito legale non è infondata. Sarà tuttavia la storia a fare luce sulla reazione e sulle contromisure che gli inglesi e i gallesi vorranno adottare verso questo fenomeno nuovo nella storia della Gran Bretagna.

Quanto appare invece sufficientemente chiaro è il fallimento della società multiculturale sotto un ombrello legislativo ispirato ai principi dello stato di diritto e di una sistema legale mancante di codificazioni generali e in continuo mutamento. Le comunità islamiche inglesi, i cui membri sono già sudditi della corona da due o tre generazioni, non si riconoscono, e non si vogliono riconoscere in un diritto paritario, ma continuano a rimanere legati alla propria identità religiosa e, di conseguenza, legale.

Uno scenario futuro non improbabile vedrebbe il Regno Unito diviso, legalmente parlando, in due o forse più sistemi legali riconducili alla cultura e identità originaria dei cittadini, scardinando non solo il principio fondamentale dell’uguaglianza dei singoli di fronte alla legge, ma perfino diversificando la legge stessa di fronte al singolo cittadino a seconda di quale credo professi. Il cambiamento sarebbe epocale, e rigetterebbe il Regno Unito, e verosimilmente anche l’Europa continentale, dentro logiche che si credevano oramai facenti parte di un passato concluso con la pace di Vestfalia. Chissà se, e in quale misura, i sudditi di sua maestà sono coscienti dell’importanza di un tale stravolgimento.


di Nicola Seu