Test parlamentare Mogherini bocciata

giovedì 20 marzo 2014


Martedì 18 marzo il ministro Federica Mogherini ha fatto ritorno in Parlamento per l’audizione davanti alle commissioni “Esteri” riunite di Camera e Senato. All’ordine del giorno vi era la presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero. La prima volta della Mogherini era stata il 4 marzo per riferire sugli sviluppi della crisi ucraina. In quella occasione non brillò particolarmente. La sensazione che ne traemmo fu negativa. La nuova audizione ci ha rafforzato nel convincimento che proprio non ci siamo. La relazione del ministro, svolta a braccio in 37 minuti, è apparsa lacunosa nei contenuti, superficiale nelle analisi e claudicante sulle prospettive di periodo.

Ma procediamo con ordine. L’incipit è stato la crisi ucraina. Sull’argomento, al netto dei luoghi comuni, sono emersi solo due spunti interessanti. Il primo: la conferma che non sarà la Nato, che la Russia avverte come minaccia, il soggetto idoneo a promuovere il negoziato per la soluzione della vicenda. Il secondo: la decisione in ordine al G8 ha riguardato solo una temporanea sospensione del partner russo, non la sua espulsione dal pié di lista dei Paesi membri. Bisogna riconoscere che la differenza non è di poco conto. Una cosa è dire: fermiamoci un attimo, troviamo un’intesa e poi ripartiamo; altra cosa è sostenere: cara Russia, ti abbiamo estromesso dal giro e fin quando non vieni a miti consigli ne resterai esclusa. L’intenzione è buona ma cozza con la realtà, visto che Obama intende convocare per la prossima settimana a L’Aia un G7 d’urgenza, facendo intendere che per lui il partner moscovita è già fuori.

La Mogherini non ha però emesso un fiato su come l’Italia intenda difendere i propri interessi nazionali nella partita ucraina. Soltanto un auspicio che l’Unione Europea resti compatta al momento delle scelte concrete. Cosa che appare molto improbabile. La Mogherini ha poi spiegato che la priorità per il nostro Paese sarà il Mediterraneo. Siamo tornati agli albori della scoperta dell’acqua calda. Sulla questione Libia il ministro non è andato oltre una laconica dichiarazione in stile comunicato stampa che suona pressappoco così: “Siamo impegnati a sostenere lo sforzo di transizione del Paese verso la democrazia. È necessario che le istituzioni locali facciano la loro parte. Allo stesso modo la comunità internazionale farà la sua”. Silenzio sul come s’intenda sostenere la transizione, con quali forze, con quali mezzi. Soprattutto, nulla si è detto delle possibili contromisure da attivare nel caso, più che probabile, che lo sforzo dei movimenti moderati e democratici fallisca. Non si hanno idee chiare su come sia possibile evitare che la Libia finisca nel caos e nell’anarchia. Il rischio è di ritrovarsi una nuova Somalia, però collocata all’imbocco del canale di Sicilia.

Anche il Libano, dove da otto anni opera un nostro contingente, ha avuto l’onore di una citazione. Ciò che è emerso è che proporremo di tenere in Italia una conferenza internazionale per discutere del futuro di quel Paese. Altro tè e pasticcini. Non una parola invece sul destino della nostra missione, che opera in condizioni di rischio elevato a pochi chilometri dal fronte della guerra civile siriana. Si è parlato di centralità dell’Africa e, a proposito dell’Egitto, la Mogherini ha rinviato a un successivo approfondimento perché in quella realtà “c’è qualche problema”. Meno male che se n’è accorta. Non una riga sugli esiti catastrofici delle cosiddette “Primavere Arabe”, non un sussurro sull’Islamismo radicale e jihadista che prolifera poco oltre le porte di casa nostra. Il fatto più sconcertante ha riguardato il silenzio tombale sulla vicenda del negoziato israelo-palestinese. Ora, è noto che, per la stabilità dell’intera area, rilevi non poco il destino di quel tentativo di pace. Sappiamo che la trattativa si è arenata sul punto centrale del contenzioso che oppone Israele al mondo arabo: il suo riconoscimento come Stato sovrano ebraico. Su questa specifica questione rischia di andare in frantumi il sogno di un medioriente aperto al diritto degli ebrei ad avere, in quell’area, il proprio focolare nazionale. Sarebbe stato interessante conoscere il punto di vista del Governo su questo fondamentale aspetto di politica estera. Anche perché la questione si lega al modo con cui l’Unione Europea intende continuare a gestire le relazioni con lo Stato d’Israele. Negli ultimi tempi il doppiopesismo, sbilanciato a favore dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), ha fatto da padrone nelle scelte e nelle prese di posizione dei vertici di Bruxelles, e nei comportamenti della signora Ashton. L’Italia ha un tradizionale rapporto di amicizia con Israele. Adesso che quel Paese è impegnato a ricevere la sua dose quotidiana di missili, lanciati dalla Striscia di Gaza saldamente nelle mani dei terroristi islamici, sarebbe stato un bel gesto dire qualche timida parola di solidarietà per i bombardati. Invece, nulla. Encefalogramma piatto.

Dopo un passaggio a volo d’uccello sulla situazione afghana, dov’è in corso il ritiro del nostro contingente, e un generico riferimento all’Iran, l’attenzione è stata rivolta alla crisi siriana per la quale il ministro degli Affari Esteri prevede un maggior impegno sul fronte umanitario. Un passaggio della relazione ha riguardato la Cooperazione, che a suo avviso deve essere rafforzata in direzione delle scelte umanitarie. Eccellente proposito. Domanda: perché la Mogherini non ha detto nulla sui fondi donati all’Anp, di cui non è dato conoscere l’impiego? Pensa, il ministro, che anche quest’anno l’onorevole Pistelli faccia il suo bel viaggetto a Ramallah, con in tasca un altro assegnino da 60 milioni di euro per gli amici palestinesi? È questa la cooperazione a cui si pensa?

Infine, vi è stata una parola buona anche per i marò sequestrati in India. Si è detto: faremo. Cosa, non si sa. Speriamo che ce lo spieghi la Pinotti visto che la Mogherini sull’argomento si è arrampicata sugli specchi. Alla fine dell’intervento siamo stati presi da un dubbio atroce: ma la Mogherini la conosce la geografia? Lo sa che l’Europa, la vecchia cara Europa non sta tutta dentro il perimetro della Ue? Ci sono altre zone, in particolare dell’area balcanica, che dovrebbero interessarci molto da vicino. Invece, non abbiamo sentito nulla sul Kosovo, dove abbiamo ancora un contingente impegnato, nulla della Serbia e della sua aspirazione a far parte dell’Ue, nulla sulla Bosnia Erzegovina dove i nostri militari sono ancora sul campo a curare le ferite di un popolo martirizzato, nulla dell’Albania che è legatissima all’Italia, come il Montenegro. Tutte queste realtà strategiche collocate nel cuore del continente, nella chiacchierata della Mogherini hanno fatto la fine delle temperature di Bolzano: non pervenute.

C’è stato dibattito tra i rappresentanti dei gruppi parlamentari in Commissione. Quello che lascia perplessi è che quasi tutti gli interventi, a cominciare dalla “provocazione” offerta in apertura dal presidente Cicchitto, abbiano avuto uno spessore analitico di gran lunga superiore a quello mostrato dal ministro. Ora, il problema non è la qualità personale della dottoressa Mogherini, a cui va tutto il nostro rispetto umano. La questione è capire se l’Italia abbia ancora un suo peso internazionale o se il processo di destrutturazione della sovranità nazionale, a beneficio dell’integrazione europea, sia così avanzato da non richiedere necessariamente forti personalità alla guida della nostra politica estera, essendo essa ridotta al rango di funzione delegata. Tuttavia gli Stati Uniti d’Europa non sono stati ancora proclamati. Quindi bisogna intendersi: noi italiani, in attesa di fare l’Europa unita, questa delega a chi l’abbiamo data? Agli Stati Uniti, come al tempo della Guerra fredda? Ai burocrati di Bruxelles? O forse alla Cancelleria di Berlino?

Va bene la logica del più forte, va bene la “realpolitik”, ma farci asfaltare così! No, proprio non ci sta. Capito Renzi?


di Cristofaro Sola