Buongiorno Italia, Tony Pasquale on air

venerdì 14 marzo 2014


La radio è un’amica da portare con sé ovunque: ci tiene compagnia, ci informa, ci diverte, ci rasserena. Per la comunità italoamericana ha svolto per molto tempo anche la funzione di mantenere vivo il legame con l’Italia. L’ospite della nostra intervista di oggi è Tony Pasquale, che da tanti anni è una presenza amica tramite la radio per tantissimi italoamericani, specialmente di età più avanzata. E anche noi, che italoamericani non siamo, lo consideriamo un amico.

Tony, tu trasmetti per ICN Radio, che è la radio italiana in America con più successo. Dove siete e quali Stati raggiungete? Qual è la storia di questa radio?

Radio ICN (Italian Communication Network) è la radio italiana di New York, ma anche degli Stati Uniti, a cui ora si può accedere da qualsiasi parte del mondo in streaming collegandosi al sito internet www.icnradio.com. Nasce circa 33 anni fa a Middle Village nel Queens, fondata da Sal Palmieri, che è stata ed è tutt’ora una persona molto attiva nella comunità italiana in modo particolare attraverso la radiofonia. I programmi di Radio ICN sono solo in italiano e vengono oggi trasmessi solo tramite internet: possono essere ascoltati con un apparecchio radio - che noi vendiamo - capace di cogliere il segnale direttamente da internet tramite wi-fi. Otre a questi apparecchi i programmi possono essere seguiti anche dallo smartphone, dal tablet, dal pc, da qualsiasi dispositivo che possiede una connessione dati, ora persino in macchina tramite bluetooth. È stata una scelta fatta sei mesi fa, quella di rimanere una radio internet, proprio perché siamo convinti che questa sia la direzione futura. Prima di divenire una web-radio, ICN si poteva ascoltare a New York, nel New Jersey, in parte del Connecticut e arrivava anche in alcuni punti della Pennsylvania del nord: ma era un raggio piuttosto limitato rispetto alla richiesta da parte degli ascoltatori, che era molto alta. Subito prima della trasformazione in web-radio facevamo in media intorno ai 200mila fedelissimi ascoltatori al giorno.

Avete tanti tipi di programmi diversi?

Sì, il palinsesto di Radio ICN è composto per circa il 30/40% da programmi Rai, compresi i telegiornali in diretta, le partite di calcio ma anche alcuni programmi di cronaca o di informazione. Esistono inoltre dei produttori privati, come me, ognuno dei quali gestisce un suo programma durante un orario stabilito e ogni programma è basato su quanto il produttore desidera fare: naturalmente sempre sotto il controllo e la vigilanza della direzione e di quelle che sono le regole di radio ICN. Il direttore attuale è Massimo Jaus, che è anche il vicedirettore di America Oggi; il vicedirettore della radio è Massimo Bongrazio, e poi ci siamo noi, i produttori. Radio ICN è fisicamente all’interno della redazione di America Oggi.

Parlaci del tuo programma, che raggiunge ogni giorno moltissimi ascoltatori.

Siamo al decimo anno. Nasce come “Pomeriggio con te”, che all’epoca andava in onda tre giorni alla settimana per un’ora e mezza di trasmissione il lunedì, il venerdì e il sabato. Allora era principalmente una competizione di musica italiana un po’ di tutti i tempi, con un’attenzione particolare a quella degli anni Sessanta/Settanta, seguita con più piacere probabilmente perché i nostri ascoltatori sono in media cinquantenni, sessantenni, settantenni. Poi, circa cinque anni fa, ho cambiato il mio programma dandogli una visione un po’ diversa, per cui ora si compone di musica (30%), informazione (30%) e interviste a diversi personaggi (40%); la trasmissione va in onda negli stessi giorni di prima e si chiama “Ciao Tony, international talk-show”.

Parlaci un po’ di te e del tuo rapporto con la radio.

Io sono nato in provincia di Salerno, a Monte San Giacomo nella Valle di Diana. Siamo “emigrati” – anche se non mi piace molto usare questo termine – nel settembre del 1968 dopo sette giorni di mare sulla Michelangelo da Napoli, approdando a New York e poi andando a vivere in una cittadina molto bella che si chiama Hoboken nel New Jersey, la famosa città di Frank Sinatra, probabilmente la città che gode del più bel panorama di Manhattan. Io avevo 13 anni, il richiamo italiano all’epoca era fortissimo, la voglia di sentire la propria lingua in radio, e non era così semplice come può essere oggi. All’epoca c’era una radio adattata solo per la ricezione di Radio ICN, perché trasmettevamo su frequenze diverse da quelle comuni delle altre radio: ricordo bene quando i miei genitori comprarono la prima di queste radio, questa cassetta piccolina con su scritto Radio ICN. Successivamente il sistema si è evoluto, con la creazione di un ricevitore che poteva essere inserito in qualsiasi altra radio permettendo così la ricezione di radio ICN, insieme alla altre frequenze radio.

La radio ha un passato di grandissima utilità per gli italoamericani e la loro volontà di mantenersi legati alle loro tradizioni. È cambiato questo ruolo, oggi che le nuove tecnologie rendono il mondo più piccolo?

Bè, soprattutto prima che esistesse Rai Italia, il rapporto con Radio ICN non era solo una questione di ascolto della radio, ma un vero e proprio forte legame con la comunità. Ad esempio, quando avevamo dei problemi tecnici che ostacolavano la messa in onda, le persone impazzivano, e a dire il vero lo fanno ancora oggi… era ed è ancora proprio un fattore di appartenenza. La radio ti fa sentire in Italia, ascoltare quell’informazione che parla del tuo Paese… Radio ICN è diventata una vera e propria amica per la comunità, e sono cresciute insieme. La musica, ad esempio, ha contribuito molto a questo: con i ricordi che tornavano alla mente ascoltando una canzone, riascoltando le sue parole… e quindi c’era un rapporto fortissimo che è rimasto, nonostante la comunità si sia poi espansa negli anni un po’ ovunque, mentre prima eravamo tutti più uniti anche geograficamente. Era come avere un piccolo pezzo di Italia a New York, negli Stati Uniti. Nel 1968, quando siamo arrivati noi, per vedere una partita di calcio si andava nei cinema, dove veniva trasmessa tramite il satellite, con un segnale piuttosto disturbato dell’immagine: ma non esistevano alternative. Poco alla volta l’informazione ha trovato altre vie: quando nacque “America Oggi” riscosse un grandissimo successo. Poi arrivò la Rai e da lì cambiò tutto, perché la televisione ha chiaramente un impatto molto forte sul pubblico; nonostante ciò, la radio è stata e rimane sempre qualcosa di diverso, un rapporto diretto, quasi affettivo: la radio ti dà voce, è una vera e propria amica a casa tua. La televisione, pur avendo forse un successo maggiore per quanto riguarda lo scopo informativo, risulta però un canale più freddo e formale.

Tony, sei stato in Italia per conto della radio, hai partecipato al grande rito del Festival di Sanremo. Qui in Italia la formula di Sanremo sembra un po’ vecchia, almeno al sottoscritto non piace e in molti pensano che debba essere cambiata. Anche perché ormai la “canzone italiana” è solo una piccola parte di una intera settimana di televisione. Invece sappiamo che per gli italoamericani Sanremo è ancora molto importante. Ci spieghi perché?

Perché per noi Sanremo non è solo musica. La prima volta che sono andato a Sanremo e ho visto l’Ariston, in un certo senso è stato come riscoprire me stesso. Per una persona che vive fuori dall’Italia è il massimo: quando non puoi avere qualcosa la desideri di più. Immagina di girare per New York, e di poter ascoltare il Festival di Sanremo in macchina o ovunque tu sia, in diretta! È un’emozione straordinaria: motivo per cui all’estero probabilmente Sanremo è anche più seguito che in Italia, sicuramente con più affetto. Noi trasmettiamo il Festival da circa quindici anni, in diretta e per intero. Considerando che tra noi italoamericani c’è chi in Italia ci torna molto poco, dare loro l’occasione di ascoltare il Festival di Sanremo in diretta vuol dire regalare davvero una grande emozione.

Quindi il fatto che non ci siano solo canzoni, ma anche altri contenuti, mentre magari per noi è un difetto, invece per voi è un pregio?

Non è esattamente un pregio, semplicemente viene visto in un modo diverso. In Italia se non si ha voglia di vedere Sanremo si può tranquillamente cambiare canale; in America invece l’alternativa è ascoltare un canale americano. Ma non è solo questo, sarebbe riduttivo dire che la “causa” sia la mancanza di alternative. L’italiano all’estero tiene sempre in maniera particolare all’Italia, sia nel bene che nel male.

Sanremo quindi per voi è un’istituzione...

Assolutamente sì e noi siamo molto più arrabbiati di voi quando vediamo qualcosa che non va, che non ci piace! Siamo molto più critici proprio perché siamo più legati alle origini. Quest’anno è palese che qualcosa non sia andato bene, visti i dati d’ascolto: e noi siamo i primi ad essere amareggiati. Il Festival di Sanremo per noi è una composizione della nostra italianità, un mix di stile e cultura e tradizione, com’era soprattutto nel passato. Certo, tutto va modernizzato e cambiato, però secondo me bisogna sempre dare spazio alla tradizione se si vuole migliorare il presente. A mio avviso oggi il Festival risente troppo dell’influsso della modernità, dando meno spazio alla musica del passato. Una canzone che partecipa ai moderni Festival di Sanremo dopo pochi giorni non la ricordi più, mentre nel passato le canzoni hanno avuto un successo tale da renderle eterne.

Si può dire che forse il momento di difficoltà di Sanremo, nella percezione degli italoamericani, è una metafora del momento di difficoltà del nostro Paese?

Sicuramente rispecchia anche questo, in generale penso di sì. Ma anche e forse principalmente per questo bisogna dare più attenzione a questi eventi che rispecchiano la nostra cultura. L’intervento di Maurizio Crozza a mio avviso è stato meraviglioso, è riuscito a mettere da parte la satira politica e ha parlato solo ed esclusivamente della bella Italia, della grande Italia, di quello che l’Italia è: anche nella cattiveria, nella bruttezza il punto di riferimento è la grandezza di questa nazione. Tutto quello che ha detto è vero e tangibile – date e luoghi di imprese da noi sostenute – e su questo bisognerebbe secondo me concentrarsi, sull’immagine positiva: una finestra come Sanremo deve essere usata in questo modo, vista la sua importanza.

Tu hai una grande esperienza nel parlare con la comunità italoamericana, ascoltarne il pensiero, comunicare con tanti di loro. Quali sono i contenuti che maggiormente interessano alla comunità, come si fa a coinvolgerli nella comunicazione e a stabilire un dialogo?

La comunità vuole essere informata. Sai qual è la cosa più importante adesso? È la nostra lingua, che stiamo tanto faticando a mantenere tra i nostri giovani. Abbiamo una copertura Rai buonissima, riceviamo anche qualcosa di altre tv, c’è la radio 24 ore al giorno sette giorni la settimana, c’è il quotidiano. Ma dobbiamo difendere e trasmettere la nostra bella lingua.

Internet in teoria somma tutte le cose che hai citato...

Sì, ma il problema di internet è che per le persone di una certa età è un po’ meno immediato e semplice: parlo della gente abituata a leggere il giornale cartaceo, ad accendere la radio e ascoltare i telegiornali in diretta, a guardare la televisione: i metodi di comunicazione per questa gente sono e rimangono quelli. ICN la ascoltano tramite internet, ma quasi tutti attraverso l’apparecchio radio che si collega al wi-fi. Basta accenderlo e spegnerlo, e oggi il segnale è molto migliore di un tempo.

Secondo te, per esempio, perché non c’è un canale televisivo sull’Italia fatto negli Stati Uniti? L’unico programma televisivo fatto in Italia e dedicato agli italiani all’estero è “Community”: il resto sono contenuti prodotti per i palinsesti italiani e poi trasmessi anche all’estero. C’è quindi un canale che trasmette agli italiani all’estero cose prodotte per gli italiani in Italia, più quella trasmissione che ora per fortuna hanno ripreso a trasmettere. Ma secondo te c’è spazio per un canale televisivo sull’Italia negli Stati Uniti?

Sì, certo. Ci sono stati diversi canali privati che hanno provato a fare trasmissioni per gli italiani all’estero su altre piattaforme, non abbinate alla Rai. Però non ha funzionato: i nostri sponsor non sono molti, è difficile trovare dei sostenitori per questo genere di iniziative, qualcuno che ci creda fortemente, che abbia davvero a cuore questo problema di creare una vera e propria nostra identità televisiva. Con la Rai, prima con “Sportello Italia” condotto da Francesca Alderisi e ora con “Community” di Benedetta Rinaldi, si trattavano e si trattano diversi argomenti di grande interesse per gli italiani all’estero. Sarebbe una cosa fantastica avere un canale dedicato, ma secondo me non c’è perché non ci sono i sostenitori. Un canale televisivo ha costi elevati, per cui la motivazione dovrebbe essere forte. Noi per ora facciamo del nostro meglio con la radio.


di Umberto Mucci