La vicenda marò: siamo alle solite

mercoledì 26 febbraio 2014


Ancora una volta ci becchiamo dall’India una lezione da manuale di tattica. La risposta del governo di Delhi c’è stata: i marò italiani non vanno processati secondo le disposizioni del “SUA Act”, cioè la legge indiana sulla repressione del terrorismo e della pirateria in mare. La Corte Suprema ne ha preso atto, visto che non più tardi della scorsa settimana era stata sua l’iniziativa di rilanciare la patata bollente proprio nel campo della politica. Ora, però, la stessa Corte deve rispondere alla richiesta dell’accusa che intende processare i nostri militari concedendo alla Nia, la sezione antiterrorismo della polizia indiana, l’onere di formulare i capi d’imputazione. La difesa di Latorre e Girone si è opposta con forza a questa possibilità. La Corte Suprema ha assegnato alle parti ulteriori quindici giorni per presentare le proprie tesi. Si tornerà in aula tra due settimane.

Qualcuno forse pensava che la vicenda dei marò non avrebbe preso una strada processuale lunga e tortuosa? Noi, no. È bene che anche il nuovo Premier, con la sua squadretta di “dilettanti allo sbaraglio” se ne renda conto al più presto. Soprattutto qualcuno più smaliziato, che gravita dalle parti della Farnesina, spieghi ai nuovi inquilini dei palazzi di Governo che c’è un sottile filo trasparente che lega in modo perverso e disumano la vicenda giudiziaria dei marò al garbuglio del contratto di vendita all’India di dodici elicotteri costruiti dall’Agusta-Westland.

Come si ricorderà, grazie alla nostra magistratura inquirente e al segreto istruttorio di pulcinella che si pratica da noi, tutto il mondo ha saputo che l’attribuzione alla società del gruppo Finmeccanica della commessa per gli elicotteri destinati alla forza aerea indiana è stata agevolata dal pagamento di ben 51 milioni di euro in mazzette. Il denaro è uscito dalle casse del gruppo Finmeccanica. Ora bisogna stabilire in quali tasche sia finito. Se corruzione c’è stata è evidente che da qualche parte devono esserci anche i corrotti ed è inevitabile che lo sguardo si volga verso quelli che portano il turbante. Il governo indiano, per salvare la faccia, ha provveduto, col pretesto della violazione della condotta etica, a rescindere il contratto provocando un danno commerciale alla Agusta-Westland di circa 556 milioni di euro. Lo ha fatto nonostante che tre elicotteri AW101 siano già stati consegnati e siano in servizio e altri tre siano parcheggiati in attesa di essere spediti al destinatario, mentre i restanti sei della commessa siano in fase di assemblaggio. Per parte sua la società del gruppo Finmeccanica si è rivolta alla giustizia indiana ottenendo il congelamento della risoluzione contrattuale e, contestualmente, l’apertura di una procedura di arbitrato. La speranza è che si possa salvare ancora la situazione dalla catastrofe economica.

Tuttavia, il processo per corruzione contro i destituiti vertici Finmeccanica è in corso a Busto Arsizio e da un momento all’altro potrebbero venire fuori, dalle carte del pubblico ministero Eugenio Fusco o dalle dichiarazioni dei testimoni, i nomi dei politici di Delhi beccati con le mani nella marmellata. Per questa ragione gli indiani, che conoscono la tradizione anglosassone dei Lloyds, hanno pensato bene di procurarsi una polizza d’assicurazione sulla vita perché è sempre bene garantirsi contro gli incidenti di percorso che potrebbero verificarsi in futuro. Particolare trascurabile: la loro polizza salvavita si chiama “Latorre & Girone”. Ciò spiegherebbe la singolare circostanza che vede viaggiare in parallelo la vicenda processuale dei nostri marò e quella degli elicotteri venduti con la stecca.

È chiaro adesso del perché questo can-can rischi di durare un bel pezzo? L’unico rimedio per una ferita che va facendosi purulenta si trova nella farmacia di Palazzo Chigi. Si tratta del coraggio che devono avere le autorità italiane nel decidere una buona volta di smettere di ascoltare le sirene della comunità imprenditoriale nostrana che, seguendo il vangelo della globalizzazione, ha trasferito nel Paese del mahatma Gandhi i propri impianti produttivi e adesso pretende che l’Italia se ne resti ferma e buona per non intralciare lo scorrere fluente dei loro interessi di bottega. E deve pure, il neonato Governo, sottrarsi ai ricatti della controparte indiana che sta usando i nostri ragazzi come scudi umani per proteggersi dalle inevitabili ricadute di uno scandalo internazionale causato dagli illeciti maneggi di alcuni loro leader politici.

Allora, si affrettino Renzi e la sua allegra brigata a piantare una grana come si deve alle Nazioni Unite e presso gli alleati europei e della Nato, contro il comportamento minatorio dell’India. La situazione così com’è non è più sostenibile. Lo diciamo da parecchio tempo. Si spera che questi nuovi governanti, che sono molto più giovani di quelli che c’erano prima, abbiano un udito migliore.


di Cristofaro Sola