Le armi tacciono, ma la divisione resta

sabato 22 febbraio 2014


Ucraina, per un po’ le armi tacciono. Forse (il dubbio è d’obbligo) è stato raggiunto un accordo fra opposizione e governo, accettato dal presidente Yanukovich. L’accordo è stato firmato anche dai tre principali leader dell’opposizione, Vitaly Klitschko (nazionalista), Arseniy Yatsenyuk (democratico) and Oleh Tyahnibok (estrema destra). Restano delusi solo gli ultras della protesta che, delegittimando Yanukovich, vorrebbero vederlo dimesso prima di accettare ogni soluzione. Ma le forze politiche parlamentari dell’opposizione dovrebbero riuscire a mantenere la piazza sotto controllo.

I termini di questo cessate-il-fuoco sono molto più favorevoli del previsto dal punto di vista dell’opposizione. Il presidente post-sovietico, infatti, ha accettato di mettersi in discussione e ha annunciato elezioni anticipate. Anche se non ha fissato alcuna data. Inoltre ha accettato di restaurare (entro 48 ore) la costituzione del 2004, che conferisce meno poteri al presidente. E, nel frattempo, ha concesso la formazione di un governo provvisorio di unità nazionale (entro 10 giorni), che include anche i partiti di opposizione. Clausole minori includono: un’inchiesta sulle violenze dei giorni scorsi, il disarmo dell’opposizione e il ritiro delle misure di emergenza.

Ma c’è un altro effetto inaspettato di questa tregua: la Rada (parlamento) ucraina ha infatti votato a maggioranza per la scarcerazione di Yulia Tymoshenko, la storica leader della Rivoluzione Arancione (2004) in carcere dal 2011. La Tymoshenko potrebbe essere libera in una decina di giorni. Ma la vera notizia è che, a votare per la sua scarcerazione, sono stati anche 54 deputati del Partito delle Regioni, quello del presidente Yanukovich.

L’accordo è stato siglato dopo i colloqui con i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Polonia, che hanno agito come mediatori anche a nome dell’Unione Europea. Indubbiamente la pressione diplomatica e la minaccia di sanzioni hanno avuto il loro effetto desiderato. Bruxelles ha praticamente ottenuto tutto quello che chiedeva: la liberazione della Tymoshenko, la cessazione delle ostilità e la fine di un governo che aveva sbarrato la strada all’Accordo di Associazione dell’Ucraina con l’Unione Europea. La grande sconfitta, almeno per ora, appare con tutta evidenza la Russia.

L’Ucraina, come abbiamo visto nei giorni scorsi, era arrivata sull’orlo di una guerra civile. Segnali inquietanti, come la mobilitazione dell’esercito, l’imposizione di uno stato di emergenza e la diffusione di armi fra gli oppositori rischiavano (e rischiano tuttora) di portare la tensione a un punto di non ritorno. A questo si aggiungano anche le iniziative secessioniste della regione occidentale di Lviv, il cui consiglio regionale ha rinnegato l’autorità di Kiev e, dalla parte opposta dello spettro politico, della Crimea, il cui parlamento autonomo ha annunciato una sessione straordinaria per “commentare i fatti di Kiev”, cioè per preparare la strada a un’eventuale secessione. Posto di fronte alla scelta fra una tregua sfavorevole o lo scoppio di una guerra civile, il presidente Yanukovich, benché forte dell’appoggio russo, ha optato per la prima soluzione.

Adesso, però, c’è ancora da attendere quale sarà la reazione della Russia. E i problemi di fondo, a partire dalla permanenza al potere di Yanukovich, rimangono tutti. Senza contare che l’Ucraina occidentale e quella russofona della Crimea e delle regioni orientali sono, attualmente, più divise che mai dopo questi mesi di crisi e queste ultime giornate di sangue. Le tendenze secessioniste, soprattutto in Crimea, possono essere alimentate anche da Mosca, che mantiene nella penisola la sua Flotta del Mar Nero e non intende rinunciarvi. Fonti militari russe del Financial Times affermano che la Russia sia “pronta a combattere una guerra” per “proteggere la Crimea”.


di Stefano Magni