E se gli ebrei vanno a vivere in Palestina?

martedì 11 febbraio 2014


Di recente in Israele è scoppiato un bel trambusto per una questione del tutto teorica: agli israeliani che ora vivono in Cisgiordania potrebbe essere concesso di vivere sotto il governo palestinese? Questo dibattito ha focalizzato utilmente l’attenzione su una delle questioni più delicate e profonde del conflitto arabo-israeliano, e pertanto merita una certa attenzione.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è stato il primo a lanciare un sasso nello stagno, il 24 gennaio, dichiarando di non voler “rimuovere alcun insediamento (ebraico, ndr) in Cisgiordania. Non intendo spostare alcun israeliano”. Commentando questa dichiarazione, un anonimo funzionario del gabinetto del premier ha spiegato che “proprio come Israele ha una minoranza araba, il primo ministro non vede perché la Palestina non possa avere una minoranza ebraica. Gli ebrei che vivono in Cisgiordania dovrebbero poter scegliere se rimanere o no”. Questo collaboratore ha definito tale proposito come una posizione assunta da “lunga data” da Netanyahu.

Qualcuno nell’ala nazionalista si è infuriato. Il leader di Habayit Hayehudi Naftali Bennett, ministro dell’attuale governo, ha stroncato le parole del premier perché rispecchiano “un’irrazionalità dei valori” e una “follia sul piano etico”. Secondo Bennett, i sionisti “non hanno fatto ritorno nella terra di Israele dopo duemila anni col desiderio di vivere sotto il governo di Mahmoud Abbas. Chiunque sostenga l’idea di una presenza ebraica in Israele sotto il governo palestinese mina la nostra capacità di stabilirci a Tel Aviv”.

Altri sono d’accordo: “Non abbandoneremo gli insediamenti dietro le linee nemiche”, ha detto il viceministro della Difesa, Danny Danon. Tali idee violano “l’ethos sionista”, ha osservato il viceministro degli Esteri, Ze'ev Elkin. “Assurdo” è stato l’aggettivo scelto dal viceministro Ofir Akunis, alleato del premier. Quando un altro funzionario anonimo del gabinetto del primo ministro ha lasciato intendere che i membri del governo possono dare le dimissioni in caso di disaccordo col premier, Bennett ha rincarato la dose, ricordando gli omicidi degli ebrei per mano dei palestinesi e arguendo che “la sovranità è l’essenza del sionismo. Senza sovranità non c’è sionismo”.

Il gabinetto del premier ha poi replicato chiedendo le scuse o le dimissioni di Bennett, e quest’ultimo ha risposto dicendo: “Non era mia intenzione offendere il primo ministro”, rivendicando però il diritto di “criticarlo quando la situazione lo richiede. Questo è il mio compito”. L’incidente si è concluso tirando fuori vecchie interviste, a dimostrazione che in passato Netanyahu e il partito di Bennett avevano espresso e condiviso il punto di vista dell’altro, e ingarbugliando così le cose.

Che conclusione trarre da questa settimana di dibattito? Chi ha ragione e chi ha torto? Pur condividendo le opinioni di Bennett e dei suoi alleati, stavolta Netanyahu ha ragione, e per molti motivi.

La vergogna, il trauma e la futilità della rimozione di 8000 israeliani da Gaza voluta nel 2005 dall’allora premier Ariel Sharon – una mossa senza precedenti per una democrazia – sottolinea la necessità per il governo israeliano di stabilire il principio inviolabile secondo il quale mai più esso rimuoverà i propri cittadini da un territorio. L’esperienza di Gaza ha dimostrato come sarebbe più disastroso reiterare questo processo in Cisgiordania, dove la popolazione israeliana è quaranta volte più numerosa. Che Netanyahu abbia fortemente contestato la decisione di Sharon (rassegnando all’epoca le dimissioni dal governo in segno di protesta) evidenzia la sua encomiabile coerenza. In secondo luogo, perché mai il governo di Israele dovrebbe esaudire il desiderio dei palestinesi di una Cisgiordania Judenrein?

In terzo luogo, permettere agli ebrei di vivere sotto l’Autorità palestinese è una soluzione del tutto pratica. La bandiera israeliana non può seguire ogni ebreo e renderlo un’isola di sovranità sionista. Molti ebrei di tutto il mondo e anche alcuni in Medio Oriente vivono fuori dai confini dello Stato di Israele. E perché non in Cisgiordania? In quarto luogo, la dichiarazione del gabinetto del premier straccia astutamente la campagna di delegittimazione lanciata contro gli ebrei che risiedono in Cisgiordania. Se gli ebrei possono vivere in Cisgiordania sotto il governo palestinese, essi non possono più essere considerati un ostacolo alla risoluzione del conflitto arabo-israeliano, privando così di qualsiasi rilevanza l’intera questione degli “insediamenti”.

E infine, questa posizione di Netanyahu cambia i termini del dibattito. Permette a Gerusalemme di sostenere che la vera risoluzione del conflitto richiede che gli israeliani siano in grado di risiedere pacificamente in uno Stato palestinese. Il conflitto avrà veramente fine, come da oltre dieci anni sostengo, “quando gli ebrei che vivono a Hebron avranno bisogno di poca sicurezza come gli arabi che vivono a Nazareth”. Una tale prospettiva ovviamente è molto remota, ma accettare il principio che gli ebrei vivano in “Palestina”, permette ai sionisti di accettare in linea teorica la soluzione a due Stati, ritardando legittimamente la sua attuazione per generazioni, forse per sempre. Bennett e i suoi sostenitori dovrebbero calmarsi e apprezzare il diplomatico colpo di genio di Netanyahu.

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Daniel Pipes