Una visita diplomatica dai contorni grotteschi

mercoledì 29 gennaio 2014


Sembra uno scherzo ma non lo è. Si è conclusa la visita indiana dei parlamentari italiani. Roba da non credere. Si sono fatti carico di un bel po’ di ore di volo per raggiungere Nuova Delhi, hanno incontrato i nostri marò a cui hanno portato la solidarietà del popolo italiano, con due anni di ritardo, hanno incontrato alcuni diplomatici occidentali, tra i quali l’ambasciatrice Usa Nancy Powell che, diplomaticamente, non ha mancato di offrire la sua personale vicinanza all’Italia per la spiacevole posizione in cui viene a trovarsi nell’“affaire Marò”, e poi. E poi basta. La visita è finita lì, perché sono andati a bussare alle porte dei palazzi istituzionali indiani nella speranza di essere ricevuti da uno straccio di rappresentanza ufficiale e, invece, hanno trovato chiuso per festività.

Complimenti! Astuti come volpi questi nostri politici che, dopo aver atteso due anni, finalmente decidono un passo ufficiale senza però prima concordare un calendario di incontri con i propri omologhi indiani. Avrebbero potuto rivolgersi anche a una normale agenzia di viaggi che li avrebbe avvertiti circa le giornate nelle quali gli indiani non lavorano e fanno festa. La verità è che questa vicenda assume ogni giorno di più i connotati della farsa. Lo abbiamo già scritto e non intendiamo ripeterci sul giudizio pessimo per l’operato dei nostri governi nella vicenda “Enrica Lexie”. Ormai in Italia tutti sanno cosa andrebbe fatto per aiutare i nostri ragazzi sequestrati in India a venirne fuori con dignità.

Seppure lo si chiede a un bambino per strada, anche lui ti risponde che con quattro o cinque mosse al massimo la partita potrebbe risolversi in favore degli italiani, della verità e del buon senso. Ma nessuno a quanto pare vuol spiegare alla nazione del perché nulla si è fatto e, peggio, nulla si continua a fare se non fingere. Già, perché cosa è stata la missione dei parlamentari italiani in India se non una macraba finzione? Si avverte il legittimo sospetto che il viaggio sia stato un modo per precostituire uno scenario grazie al quale continuare a trarre un profitto d’immagine da parte del personale politico, a cinico discapito della reale condizione di Latorre e Girone. Cerchiamo di esser chiari.

Da qualche tempo la politica italiana, grazie allo strumento di amplificazione offerto dai media, sta molto insistendo sul pericolo, in verità concreto, che la Corte di giustizia indiana, pur di mantenere la propria giurisdizione sul caso, decida per l’applicazione della cosiddetta “Sua Act”, la legge indiana che colpisce le attività di pirateria e terrorismo internazionale. La norma prevede come massima sanzione la pena capitale. Ora, se i nostri due marò venissero riconosciuti responsabili della farneticante accusa di attività omicidiaria svolta a scopi di terrorismo, sarebbero condannati a morte. Per il Governo italiano questa decisione rappresenterebbe la peggiore grana che ci si potesse attendere dallo sviluppo della vicenda.

E i nostri politici, lo hanno dimostrato in tutti i modi, a questo punto di rottura con l’India proprio non vogliono arrivare. D’altro canto, anche l’India non ha alcun interesse a portare lo scontro all’estremo limite con un Paese con il quale intrattiene relazioni economiche consolidate. Inoltre, non intende procurarsi fastidi che potrebbero interferire con le proprie ambizioni più volte manifestate in seno alla Comunità Internazionale. Quest’ultima, a sua volta, rimasta silenziosa finora sulla sorte dei marò, potrebbe usare invece l’esito processuale come arma per condizionare le pretese del governo di Delhi ad assumere un ruolo da protagonista di primaria grandezza sullo scenario internazionale. Come? Ad esempio ostruendo l’iter di assegnazione di un posto alla Repubblica dell’India di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Per questa ragione è improbabile che gli indiani desiderino fare dei due marò i martiri di un comportamento barbarico. Alle autorità di Delhi i nostri ragazzi servono vivi da colpevoli e, come tali, meritevoli di un’esemplare condanna a una pena detentiva. Ed è proprio qui che lo sporco gioco indiano incrocia l’altrettanto sudicio comportamento italiano. Si fa un gran parlare di pena di morte cosicché, una volta scongiurato il pericolo della sentenza capitale, qualsiasi cosa accada, magari una sentenza che affibbia ai due poveracci una condanna a vent’anni di reclusione, sarà presentata come un successo della politica italiana e del garantismo dello stato di diritto indiano.

Si dirà: “Li volevano appendere a un cappio, grazie al nostro intervento si beccano solo un po’ di anni di galera. Sono giovani, si rifaranno una vita e poi, il nuovo fronte su cui ci impegneremo sarà quello di convincere gli indiani a consegnarceli perché scontino in Italia la prigionia. Facciamoli tornare, poi si sa in Italia è tutto più semplice. Un po’ di mesi dietro le sbarre, giusto il tempo necessario a che si spengano i riflettori sulla vicenda, e poi i due torneranno liberi che è ciò che più conta”. Bello schifo! Se questa per voi è la soluzione c’è da andare proprio fieri a dirsi italiani. Non fingete di non comprendere, carissimi nostri amati politici: questa non è affatto la soluzione giusta per quei due ragazzi e per tutti noi italiani.

Questo è il solito arrangiamento a cui una, non so quanto immeritata reputazione, ci ha inchiodato nella considerazione degli altri Paesi: “Sono italiani, si piegano”. È questo che meritiamo? È questo che meritano i nostri ragazzi che si sono limitati a fare il loro dovere di soldati? Avviso ai naviganti: attenzione a dare per scontato che poi alla fine tutti saranno d’accordo a combinare la pastetta. Proprio i due marò, i diretti interessati, sembra che non ci stiano a soluzioni sottobanco. Le agenzie hanno riferito che, al termine dell’incontro con la rappresentanza parlamentare, i due abbiano manifestato il desiderio di fare ritorno a casa “con onore”. Chiaro il messaggio? Questi due giovani marinai parlano di qualcosa che in Patria pare essere divenuta merce esaurita. Parlano di onore. Se ne tenga conto una volta tanto. E salvare la pelle potrebbe non bastare se non si salva anche la faccia. La pelle è la loro, ma la faccia resta la nostra. La faccia degli italiani.


di Cristofaro Sola