Arabia Saudita/Iran, luci su “Ginevra Due”

giovedì 23 gennaio 2014


Ieri (22, ndr) è iniziato, fra ritiri non annunciati e polemiche dell’ultimo momento, il vertice di Ginevra 2 sulla crisi Siriana. Sembra quasi una bella notizia, ma se si pensa che è più di un anno che la Conferenza subisce rinvii su rinvii e che se ci si è arrivati lo si devo solo allo strenue lavoro diplomatico, strano a dirsi, della Russia, ci si rende anche conto che molto non ci si può attendere in termini di risultati concreti, dal punto di vista politico, dai contendenti di questa inumana guerra civile.

Esistono però concrete indicazioni che Ginevra 2 porti a un “cessate il fuoco” per consentire corridoi umanitari in soccorso della popolazione che da oltre tre anni è sotto la più acerba e distruttiva tipologia di guerra che possa esistere: la così detta “guerra civile”, che ahimè di civile purtroppo non ha proprio niente. È una guerra fratricida, dove antichi rancori, magari di ordine tribale o religioso, prendono il sopravvento anche sulle motivazioni ideologiche e politiche che ci possano essere all’origine del conflitto. Proprio per questo motivo, il pessimismo regna sovrano sulle possibilità che con Ginevra 2 si arrivi a una soluzione politica del conflitto. La prima delle due fazioni che cederà, si troverà automaticamente “perdente” rispetto all’altra, senza possibilità di trattare.

Dunque, è quanto mai irrealizzabile! Ma sono i numeri della tragedia umanitaria che sono sotto i riflettori: 150 mila morti, 4 milioni di “sfollati interni”, 2 milioni e mezzo di profughi all’estero (Turchia – Iraq – Libano – Giordania), più della metà della popolazione con difficoltà di reperire beni alimentari, quanto un minimo di combustibile per il riscaldamento. L’aspetto “umanitario” sarà dunque dominante nei prossimi giorni. Insieme a questa situazione, non è da sottovalutare il “terzo fronte” interno al conflitto siriano.

Oltre alla guerra “civile” tra le forze regolari di Al Assad e quelle dell’Opposizione, nel corso dell’ultimo anno è emerso il problema delle forze Jihadiste, circa 25mila uomini (principalmente libici, tunisini, egiziani, sauditi, ma anche europei) armati di tutto punto, che combattono per la creazione di uno Stato Islamico: un Califfato che, con ogni probabilità è divenuto un imperativo di Al Qaeda nell’intera area.

Esistono, infatti, già fondati motivi per ritenere che Al Qaeda stia trasformando parti del territorio siriano in basi operative per azioni in tutto il Medio Oriente, come testimoniano i recenti tragici episodi in Iraq e Libano. Sembra quindi che la Conferenza Internazionale verterà su due argomenti principali: l’emergenza umanitaria e l’anti-terrorismo. Non si possono, però, sottovalutare i cambiamenti geostrategici subentrati nel corso degli ultimi tre anni nell’intera area del Mediterraneo allargato (incluso il Golfo).

Se già durante il periodo della guerra fredda l’intero Medio Oriente era considerato difficilmente controllabile anche dalle allora superpotenze (Urss e Stati Uniti si limitavano a tentare d’influenzare a proprio favore le imprevedibili quanto indefinite politiche dei Paesi del Golfo), ancora più complessa e indeterminata è divenuta l’intera area con il crollo dell’Urss.

Lo strapotere degli Usa, che in tutta l’area sembrava perfettamente in grado di poter effettivamente determinarne gli sviluppi (invasione dell’Iraq e apertura dei colloqui di pace a Oslo), è durato non più di un decennio. Poi gli Usa hanno dovuto brutalmente affrontare la realtà dell’11 settembre e del disastro iracheno della gestione Bush, che ha mostrato tutte le difficoltà e le debolezze dell’apparente egemonia americana in Medio Oriente.

Il diplomatico, quanto debole di contenuti strategici, discorso di apertura integrale ai “fratelli del mondo Musulmano” fatto da Obama nel febbraio 2009, seguito di poco dall’incongruente ritiro dall’Iraq – che ha sostanzialmente consegnato Baghdad alla sfera d’influenza iraniana – e l’incapacità di gestire la Primavera Araba unitamente alla velata volontà a generare nuove potenze regionali nell’area (Arabia Saudita e Qatar), ha segnato il nuovo corso della politica strategica degli Usa del “Stay Behind”, evidenziandone a livello internazionale definitivamente l’inarrestabile declino.

Oggi, nella sostanza, con il conflitto siriano gli Stati Uniti sul piano diplomatico si trovano di fronte a nuove potenze internazionali come la Russia (e la silenziosa Cina), mentre chi veramente manovra i fronti interni del conflitto sono le nuove potenze regionali. Ma è ben noto che nell’intera area del Medio Oriente l’ostilità tra Arabia Saudita e Iran si è di giorno in giorno sempre più rinvigorita, a dimostrazione dell’inutilità delle sanzioni Onu tanto volute dagli Usa, con l’Iran che guadagna in attendibilità e attivismo diplomatico a livello internazionale. Finché l’Arabia Saudita continuerà a sponsorizzare la fine del regime di Assad e quindi cercherà di togliere all’Iran il suo alleato più importante, e unico sbocco diretto sul Mediterraneo, difficilmente il conflitto in Siria potrà cessare.

Ecco quindi che s’intravede un ritorno al “bipolarismo”, con la variante che al posto delle grandi potenze (Usa E Urss), questa volta gli attori principali sono le potenze regionali, tra cui spiccano l’Arabia Saudita e il Qatar da un lato e l’Iran dall’altro, con il terzo incomodo dell’incontrollabile terrorismo Jihadista. La soluzione della tragedia siriana, dunque, è da ricercarsi solo ed esclusivamente nell’area mediorientale. E probabilmente, a guardar bene sempre nel profondo sud della penisola Arabica, anche per il fronte Qaedista potrebbero essere individuate le fonti finanziarie che gli consentono ancora oggi tali dispendiose, in finanze e vite umane, attività terroristiche e di guerra jihadista. Soluzioni? Non credo, dunque, che ne avremo di evidenti da Ginevra Due.


di Fabio Ghia