La guerra di Obama contro i suoi generali

venerdì 10 gennaio 2014


“Barack Obama non crede nella sua stessa strategia nella guerra al terrorismo”. A dire il vero chiunque può rendersi conto di questa semplice constatazione. L’amministrazione democratica è ormai celebre per i suoi tentennamenti e per le sue giravolte: più truppe in Afghanistan… anzi no, ritiriamole tutte; interveniamo in Libia… anzi no, appoggiamo gli europei mentre ci chiamiamo fuori; interveniamo in Siria… anzi no, trattiamo. Ma a spiccare questa diagnosi è un uomo che è stato molto vicino al presidente: Robert Gates. Le sue memorie non hanno mancato di far scandalo nel mondo. I sostenitori di Obama non hanno perso l’occasione per rispondere, sostenendo il loro presidente.

Il problema di Gates è che è troppo esperto, autorevole e bipartisan per essere controbattuto facilmente. La sua lunghissima esperienza di consigliere per la sicurezza nazionale, poi vicedirettore e direttore della Cia risale all’epoca del presidente Richard Nixon (1974) e si conclude con Bill Clinton (1993). Sei presidenti, sette differenti amministrazioni, cinque repubblicane e due democratiche, un quarantennio in cui la Cia ha gestito l’ultima fase (caldissima) della Guerra Fredda, la fine del blocco socialista, la Guerra del Golfo e l’inizio della guerra al terrorismo. C’è chi le relazioni internazionali le studia e chi le ha vissute. Beh, Gates le ha vissute, da protagonista. Segretario alla Difesa durante la seconda amministrazione Bush, è l’unico ministro repubblicano (“tecnico”, a dire il vero) ad essere chiamato anche da Obama, proprio per completare il delicato lavoro iniziato dai predecessori.

Nel suo precedente libro autobiografico, “Fuori dall’ombra”, sulla sua lunga carriera nella Cia, svelava molti dei segreti della Guerra Fredda, compreso l’appoggio segreto alla guerriglia in Afghanistan, il rischio di guerra nucleare nel 1983, la genesi dello scandalo Iran-Contras del 1987. In queste memorie (“Dovere, memorie di un Segretario di guerra), invece, svela episodi certamente meno storici, meno memorabili, meno edificanti, ma non meno interessanti per capire con che leadership americana abbiamo a che fare. Benché premi l’“infaticabile” Hillary Clinton (probabile candidata democratica nel 2016), la bacchetta per il suo voto contrario all’invio di rinforzi in Iraq (2007) “per motivi puramente elettorali”. Una grande delusione. Gates massacra anche l’attuale vicepresidente Joe Biden: “Ha sbagliato ogni singola scelta di politica estera e sicurezza nazionale negli ultimi quattro decenni”. Ottimo a sapersi. Ma il peggio, comunque, è il rapporto di freddezza e sfiducia che persiste fra Casa Bianca e vertici militari. Obama, in particolar modo, non si fida dei suoi generali.

Lo dimostra l’episodio del 2011, in cui bombardò di domande sull’Afghanistan l’allora comandante in capo statunitense, il generale Petraeus, accusandolo implicitamente di forzare la mano al governo per avere altri rinforzi sul campo. “Nel momento in cui mi sono seduto lì (assieme al presidente e al generale, ndr), io pensai: il presidente non si fida del suo generale, non può sopportare Karzai (il presidente afgano, ndr), non crede nella sua stessa strategia e non considera la guerra come un affare suo. Tutto quel che gli interessa è andarsene”. Poche ed eloquenti parole di Gates. E ce n’eravamo accorti anche noi.


di Stefano Magni