La Lettonia si merita l’euro

venerdì 3 gennaio 2014


Sottovalutata, snobbata, ignorata, sconosciuta, ma adesso è la 18ma nazione dell’eurozona: dal 1 gennaio la Lettonia ha l’euro. “Sai che festa!”, diremmo noi, che ormai attribuiamo alla moneta unica tutti i mali che stiamo soffrendo. Ma i lettoni che festeggiano in piazza a Riga, sotto le mura del palazzo d’avanguardia socialista reale che ospita il Museo della Doppia Occupazione (nazista e comunista, ndr), hanno tutte le ragioni di essere felici. Prima di tutto per quella seconda occupazione (quella sovietica) che è finita appena 22 anni fa e rischia sempre di tornare, non solo nella memoria della generazione che la visse, ma anche di quella che adesso è giovane. La vicina Mosca, più ostile che mai, rischia infatti di usare la forte minoranza russofona come grimaldello per far saltare l’indipendenza del Paese.

Anche con l’aiuto di qualche collaboratore nostrano, come Giulietto Chiesa, che, nel nome di uno spirito internazionalista mai morto, si candidò nel 2009 per il partito russo lettone. I russi rimasti in Lettonia dopo l’indipendenza dall’Urss sono tantissimi, un quarto della popolazione. Nella capitale, Riga, sono un terzo, c’è chi dice siano ormai la metà. Dal 1991 ad oggi non hanno ancora trovato un modus vivendi stabile: erano padroni in casa altrui, ora devono adeguarsi alle regole della casa e gridano alla discriminazione. Nonostante tutto, non è mai scoppiata una guerra civile, nemmeno negli instabili e pericolosi anni ’90. Così come non è mai scoppiata la guerra tra Russia e Nato, da quando la Lettonia indipendente ha iniziato ad aderire prima all’Alleanza Atlantica e poi all’Ue. Da provincia sovietica, è diventata una parte integrante del sistema delle democrazie occidentali.

L’euro, in un momento di revival russo, è una sicura ancora a questo nostro sistema. Contrariamente all’Ucraina, che si è fatta fagocitare di nuovo nell’orbita del Cremlino, ora la Lettonia potrà scambiare ancor più liberamente merci, capitali e persone usando la moneta unica del resto dell’Europa centrale e occidentale, quindi usando lo stesso “linguaggio” valutario. Nella partita Ue-Russia, questo è un punto segnato da Bruxelles. A prescindere dai vantaggi geopolitici di cui l’Ue può godere grazie l’ingresso della Lettonia nell’eurozona, l’introduzione dell’euro è il simbolo di un successo economico lettone, spesso sottovalutato, bistrattato o negato da economisti di sinistra come Paul Krugman. La Lettonia, così come le altre repubbliche baltiche e molte democrazie ex comuniste, ha applicato sul serio il concetto di “austerità”, non alzando le tasse, ma tagliando la spesa pubblica.

Per capire le dimensioni di questo successo occorre ricordare due date: il 1991 e il 2008. Nel 1991 la Lettonia dichiarò l’indipendenza uscendo dall’Urss a pezzi, con la sua società devastata da mezzo secolo di occupazione sovietica, l’economia pianificata e ancora dipendente da Mosca, nessuna idea di cosa fosse un sistema di prezzi, la proprietà privata non garantita da alcuna legge. La lenta marcia della Lettonia fino all’adesione all’Ue, nel 2004, è già una storia di rinascita, di ricostruzione da zero di un’economia di mercato e di tutto il sistema giuridico in grado di farla funzionare. La seconda data, il 2008, è quella della crisi finanziaria mondiale. La Lettonia, ancora fragile nelle sue istituzioni bancarie, ha subito un tracollo senza paragoni in Occidente: un quarto del Pil bruciato in pochi mesi. Con una mazzata simile pochi si sarebbero ripresi.

Eppure i governi che si sono succeduti a Riga ce l’hanno fatta in appena cinque anni. Oggi la disoccupazione è ancora molto alta (16%), ma la produzione è tornata ai livelli pre-crisi. Non è stata ri-nazionalizzata l’economia, come Krugman suggerisce, ma, al contrario, è stata tagliata la spesa pubblica. Soprattutto l’ultimo anno è stato caratterizzato da una forte “cura dimagrante” dello Stato che ha portato la spesa al di sotto del 40% del Pil (da noi supera il 50%) e il debito pubblico al 40% del Pil (da noi è il 133%). Conti in regola che hanno permesso di abbassare le tasse fino al 25% per gli individui e al 15% per le imprese, aliquota unica in entrambi i casi, con gran gioia di investitori locali e stranieri. L’euro, insomma, se lo sono meritati.

La valuta comune sarà una maledizione per loro così come sembra esserlo per noi? Non è affatto detto. La retorica dei nostri politici (soprattutto quelli di centrodestra e i grillini) ignora un dato di fatto fondamentale: quando l’Italia entrò nell’eurozona non aveva i conti in regola. Fu Romano Prodi a ottenere l’accesso, a condizioni che apparivano favorevoli, con la remota speranza di ricevere aiuti in cambio di un aggiustamento dei nostri conti. In realtà nessun membro dell’Ue può economicamente permettersi di aiutare i Paesi che hanno i conti in rosso. E l’Italia non ha fatto nulla per cercare di sanare la propria situazione contabile nel decennio successivo. Il risultato è che l’euro, per noi, è diventato una maledizione perché non abbiamo fatto nulla per poterlo reggere. E così il nostro debito si è rivalutato, il potere d’acquisto è diminuito e la produzione è entrata in crisi. La Lettonia, al contrario, ha fatto di tutto per stare dentro i parametri fissati (non a caso) per poter reggere la moneta unica. Se manterranno questa disciplina, non avranno problemi. Una ragione in più per festeggiare.


di Stefano Magni