venerdì 3 gennaio 2014
C’è un cinema a Pyongyang. Mentre noi andiamo al cinema per vedere i colossal di produzione hollywoodiana nel periodo delle feste natalizie, i segregati della Corea del Nord devono andare ad assistere alle gesta dei loro leader, alle loro eroine di guerra o dell’atletica, o ad arrabbiarsi a comando contro i cattivi capitalisti americani.
I nomi e l’esistenza stessa dell’industria cinematografica del “regno eremita” sono ignoti alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale, di sicuro nell’Italia dominata da Paolo Sorrentino non ne abbiamo mai sentito parlare. Il velo è stato tolto, in questi giorni, da un servizio della Bbc, ricco di foto, aneddoti e dati. Scopriamo così che il dittatore Kim Il Sung, il “padre” della patria comunista coreana, andasse molto per le spicce per migliorare la qualità della locale cinematografia: gli piaceva il regista sudcoreano Shin Sang-ok, dunque lo fece rapire e lo mise al servizio della macchina della propaganda di regime nel 1978. Il sodalizio durò poco: nel 1986, non appena poté approfittare di una trasferta in Occidente, Shin defezionò.
Nel frattempo, però, dovette regalare ai suoi rapitori alcuni dei migliori film della storia del cinema nordcoreano, film d’azione, in stile John Woo, con mostri (Pulgasari), inseguimenti e grandi botti (Runaway). Pulgasari è un grande esempio di come Godzilla può sposare la causa della rivoluzione comunista: è la storia di un feudatario tirannico che, sentendo nell’aria una rivolta contadina in arrivo, disarma e fa morire di fame il suo popolo. Ma una delle sue vittime, prima di morire, aveva creato un mostro. Che guarda caso prende vita e guida il popolo alla rivolta. La storia, sia la Corea feudale che quella sotto occupazione giapponese (1910-1945) è sempre usata per un unico scopo: far vedere quanto si stesse peggio quando si stava meglio.
Dunque, se ti lamenti perché sotto Kim Jong-un non hai cibo, non puoi leggere libri al di fuori della propaganda di regime, non puoi uscire dalla tua città (figuriamoci dal tuo Paese), non puoi scegliere né la scuola, né il mestiere che vuoi, non puoi professare alcuna religione, ecc… sappi che prima c’erano dei tiranni ancora più cattivi, da cui l’attuale governo, grazie alla sua “rivoluzione” ti ha salvato. Attori americani, più o meno volontariamente presenti sul suolo coreano, sono utilizzati per interpretare il Male: cioè i capitalisti cattivi. Personaggi giapponesi sono il Male assoluto nel passato recente. I personaggi sudcoreani sono invece redimibili: se la trama lo richiede sono sempre pronti a convertirsi alla causa della rivoluzione comunista. Kim Il Sung e Kim Jong-il sono sempre presenti nel pensiero e nei discorsi dei personaggi, ma non sono mai visibili.
Essendo divinità, come tutti gli dei, ci sono, comandano, ma non si vedono. I personaggi dei film dedicano la vita a loro, ricevono telefonate miracolose dal grande leader, o fanno grandi sforzi per vedere almeno da lontano il passaggio della loro auto. Non è chiaramente possibile riprendere la realtà nordcoreana. Nemmeno i pochi documentaristi stranieri accreditati hanno libertà di girare. Ad esempio non possono riprendere le statue dei grandi leader se non sono inquadrate nella loro interezza. Se in un’inquadratura tagli le gambe o la testa a una statua alta 20 metri di Kim Il Sung, subisci un intervento immediato della censura. Visto che il Paese è “moderno”, pare sia vitatissimo filmare un uomo o una donna in bicicletta. Nei film coreani, contrariamente alla realtà, le donne hanno sempre un grande potere.
Sono loro le eroine di tutti i film d’azione, storici e attuali che siano. Non male, per un regime che lascia spazio solo a uomini e dove l’ex fidanzatina dell’attuale dittatore viene fucilata senza processo, per gelosia. In Corea del Nord, come in tutti i regimi comunisti che si rispettino, film non servono a capire la realtà per quella che è. Servono per vedere la realtà per come la deve vedere il popolo, in base alle direttive di un partito che ha il monopolio delle idee che il popolo deve avere. La visione è raramente privata: oltre che al cinema, le pellicole sono proiettate nelle fabbriche e nelle fattorie collettive, rigorosamente alla presenza di un commissario politico. Che interroga il pubblico, alla fine del film: cosa avete capito? Come viene dimostrata la grandezza del Grande Leader? Guai ad alzare il dito per esclamare “la corazzata Potemkin è una boiata pazzesca!”. Lì non si finisce solo in ginocchio sui ceci, come Fantozzi. Si finisce morti, in un campo di concentramento.
di Giorgio Bastiani