L'intuizione e l'inchino della Bonino a Teheran

martedì 24 dicembre 2013


Il regime confessionale al potere in Iran per la sua natura cammina su fragili zampe. Se una di queste viene a mancare, la pressione - per legge fisica - necessariamente si scarica sulle altre. Sin dalla nascita il regime teocratico - che non è figlio dei nostri tempi - per poter governare un popolo che vanta un’antica cultura come quello iraniano, ha dovuto basare la sua propria esistenza sulla guerra con l’Iraq e su una feroce repressione interna. Quando, ad esempio, nel 1988 dovette accettare la risoluzione 598 del Consiglio di sicurezza dell’Onu e firmare il cessate il fuoco con l’Iraq, per la sua sopravvivenza e bloccare la rabbia popolare contro una guerra catastrofica per la popolazione che il regime aveva voluto proseguire a tutti i costi, eliminò più di 30mila prigionieri politici in poche settimane. I democratici governanti occidentali non hanno battuto ciglia.

Al regime islamico l’idea di produrre armi nucleari nacque proprio in quel periodo insieme al desiderio e alla necessità di costruire una sorta di unione sovietica islamica come condizione necessaria per la propria sopravvivenza. Solo espandendo la sua influenza negli Stati vicini con la creazione di regimi teocratici simili e con la minaccia nucleare, il regime iraniano avrebbe potuto ridurre all’obbedienza, con l’indottrinamento e con la repressione, la sua popolazione. Con la complicità dell’Occidente questo disegno è riuscito in parte in Iraq, Siria e Libano. Guardando alla feroce oppressione e all’altissimo numero di impiccagioni, che si sono intensificate dall’insediamento di Rouhani, e puntualmente denunciate da “Nessuno tocchi Caino” – associazione vicina ai Radicali italiani – si capisce come il regime non sia stato mai accettato dalla popolazione iraniana e per questo non si sia mai sentito stabile.

Paradossalmente questa stabilità inesistente gli viene riconosciuta dai Paesi occidentali, ovviamente non senza un tornaconto. L’ultimo invaghito della dittatura teocratica è la ministra degli Esteri italiana che, con il velo obbligatorio sulla testa, nella sua visita a Teheran osanna le libertà delle donne iraniane. La ministra, presa dal timore che il suo viaggio possa essere percepito come una semplice formale visita politica, dichiara subito: “A Teheran ci sarà anche spazio per discutere di rapporti economici e commerciali soprattutto in vista di un alleggerimento delle sanzioni dopo l’accordo di Ginevra. L’auspicio è che quando l’intesa sarà in vigore, fra sei mesi, si aprano spazi per le imprese italiane nel settore dei metalli e della tecnologia. D’altronde l’Iran ha nell’Italia il suo primo sbocco commerciale fra i Paesi dell’Ue e il secondo esportatore europeo dopo la Germania, rimanendo comunque il primo partner commerciale in ambito europeo”.

Ma la ministra, con i suoi precedenti di paladina dei diritti, deve sapere che quel suo magari divertito foulard sul capo diventerà il bastone sulle teste di milioni di iraniane che rifiutano l’obbligatorietà del velo. A meno che non vogliamo dar credito a quelle dichiarazioni e quei reportage che dipingono le donne iraniane come le più libere del mondo, mentre non possono scegliere neanche come vestirsi o viaggiare senza il permesso di un uomo. Anche l’ex ministro degli Esteri D’Alema, in visita a Teheran prima della Bonino, s’era precipitato a precisare: “Le imprese italiane tradizionalmente attive in Iran sono pronte a impegnarsi di nuovo a rilanciare la propria presenza'”. Queste visite erano state precedute da quella del viceministro Lapo Pistelli che, in ottimi rapporti da sempre con gli uomini del regime, s’è precipitato a Teheran non appena due giorni dopo l’insediamento di Rouhani a giuragli fedeltà.

Tredici anni prima era stato il turno di un altro ministro degli Esteri, Lamberto Dini, che in Iran era di casa con le sue frequentissime visite e al di fuori dei protocolli; anch’egli inseguiva la solita intuizione italiana andando ad inchinarsi all’eclatante novità che all’epoca era Khatami. Proprio in quegli anni il regime massacrava gli studenti e galoppava verso la costruzione delle armi atomiche. Quindi l’intuizione italiana, di cui si vanta la Bonino, è datata e soprattutto infondata, lasciando solo trasparire del dilettantismo affaristico. Tutti quegli inchini - che neanche fanno parte della cultura persiana - con la testa coperta sono fuori luogo e sicuramente offensivi per le donne e gli uomini di dignità. La ministra italiana si compiace molto e si sorprende non poco di “aver trovato gli iraniani assai disponibili sulle questioni riguardanti i diritti umani mentre a quanto pare l’Italia potrebbe fornire assistenza giuridica all’Iran sulla Carta dei diritti del cittadino, un’iniziativa varata dal governo di Rouhani”.

La Bonino elogia la Carta di Rouhani - un derivato della Costituzione confessionale del regime islamico - che solo se ne accennasse in una riunione del suo partito, i suoi compagni radicali crederebbero che sia stata folgorata sulla via di Damasco (leggi Teheran). Nel suo ultimo viaggio Lamberto Dini rinfacciava all’Italia di imparare dal regime iraniano su come trattare le donne ed ora la ministra di origine Radicale trova affinità tra le sue vedute e lo Stato teocratico iraniano (il passo da gambero non è male!). Sulla situazione siriana la ministra ha idee ancora più chiare e risolutive, che applicate in Italia suonerebbero così: per risolvere il problema della mafia nominiamo Totò Riina a capo della polizia. Con buona pace della Bonino, il regime teocratico iraniano, da molti anni il primo della classe per il numero delle esecuzioni capitali in relazione alla sua popolazione - dati ufficiali di Nessuno tocchi Caino - non ha proprio la democrazia e i diritti naturali dell’uomo nelle sue corde, essendo la fonte del diritto non il popolo ma il veli-e faghi.

Il rito delle elezioni non è incompatibile con l’assenza di libertà; il complesso sistema del velayat-e faqih sovrintende tutte le istituzioni che solo in apparenza possono vagamente assomigliare ad organismi democratici. La Repubblica islamica è l’antitesi della democrazia, mancando dei principi fondamentali quali la libertà di pensiero, di critica, di dissidenza, di partecipazione, di organizzazione sociale e politica oltre alla coincidenza tra Stato e religione. Spunteranno pure devoti analisti che dipingeranno il regime islamico come tra i più democratici al mondo, ma il foulard della Bonino rimane il documento inequivocabile che spiega tutto.


di Esmail Mohades