Khodorkovskij libero, ma la Russia no

sabato 21 dicembre 2013


Mikhail Khodorkovskij è tornato in libertà. È l’uomo che ha cambiato la Russia, suo malgrado. Alcuni antagonisti dell’era Putin, come l’ex ministro Boris Nemtsov, fissano in quel momento, in quel 25 ottobre 2003 in cui Khodorkovskij venne arrestato, il giorno in cui la Russia cessò completamente di essere un Paese in transizione verso la democrazia e diventò definitivamente una dittatura. Se alcuni storici contestano, a ragion veduta, che prima del 2003 la Russia fosse una democrazia nascente, è assolutamente certo che, dopo quella data, non la sia. Cosa successe il 25 ottobre 2003? Mikhail Khodorkovskij era uno degli uomini più ricchi del mondo.

Era alla testa della Yukos, la prima compagnia petrolifera russa. quel giorno le teste di cuoio russe fecero irruzione nell’aeroporto di Novosibirsk (in Siberia), salirono a bordo del suo aereo e lo arrestarono, con un’operazione molto teatrale filmata e trasmessa dalle Tv russe. Le accuse che gli vennero imputate erano quasi tutti i reati che si possono commettere nell’attività economica: appropriazione indebita, riciclaggio, frode fiscale, tutti legati al periodo dei primi anni ’90, quando i più furbi dei dirigenti del partito e nuovi arrivati si impossessarono del patrimonio statale sovietico in dismissione. Nel momento in cui mancavano leggi, Khodorkovskij, alla testa della banca Menatep, si sarebbe impossessato illegalmente di alcune imprese statali, gettando le basi del suo impero petrolifero. L’accusa suonò strana ai russi stessi.

La Corte Europea dei Diritti Umani non ritenne illegittima o politicamente orientata la sentenza in sé, ma contestò l’arresto, che fu effettuato in modo illegale e tuttora puzza di persecuzione. Il peggio arrivò negli anni successivi. Quando l’ex magnate aveva scontato gran parte della sua pena, nel 2010 arrivò la seconda sentenza che prolungò la sua carcerazione di altri 7 anni. Una sentenza più che ambigua: il magnate avrebbe trafugato petrolio dalla sua stessa azienda. La propaganda di Putin, condivisa anche dalla destra più conservatrice qui in Italia, giudica il caso Khodorkovkij come la fine della “congiura dei boiardi” e l’affermazione del nuovo zar di Russia.

Secondo questa visione delle cose (che è poi la stessa del Cremlino) Putin, arrestando Khodorkovskij avrebbe posto fine all’ingerenza dei “poteri forti” (finanziari, americani, massonici e naturalmente ebraici) che avrebbero voluto fare a pezzi la Russia svendendola un tanto al chilo. Proprio la narrativa putiniana è la dimostrazione che l’arresto del magnate fu un atto politico. E un atto politico fondamentale nella storia contemporanea russa. Cosa finì e cosa iniziò in quel lontano giorno di dieci anni fa? Finì ogni opposizione seria a Putin. Il magnate Khodorkovskij, contrariamente ad altri oligarchi che si limitavano a far la bella vita o a comprare squadre di calcio, era un convinto filantropo liberale. Non solo metteva in piedi scuole, orfanatrofi, centri culturali e corsi di formazione, ma era sua ferma intenzione far crescere una nuova classe dirigente, educando le generazioni più giovani a un nuovo modo di far politica.

Il suo stesso impero petrolifero (e il greggio, assieme al gas, è uno dei due beni fondamentali della Russia) costituiva un esempio di economia di mercato, interamente privata, lontana dalle vecchie logiche sovietiche. Fino al 2003 la Russia si è trovata a un bivio. Avrebbe potuto prendere la via della liberalizzazione della sua economia e democratizzazione politica. Parole apparentemente vuote, ma che in concreto significano: proprietà privata, libertà di creare e avviare nuove imprese, competizione fra privati anche nei settori strategici, possibilità di finanziare e far crescere media e partiti alternativi al punto di vista del governo.

E, nel lungo periodo: crescita di un ceto medio di professionisti e imprenditori, libere elezioni, pluralismo culturale, libertà religiosa e politica, federalismo. L’altra via, invece, era quella della nazionalizzazione e dell’involuzione autoritaria. Nel momento in cui tutte le aziende e tutti i media sono nelle mani dello Stato, nessuno dispone più delle risorse culturali e finanziarie per sfidare gli uomini al potere. Con l’arresto di Khodorkovskij, la Russia ha preso questa seconda strada. Perché Putin lo ha graziato? Per conquistarsi la fiducia dell’opinione pubblica occidentale, in vista delle Olimpiadi. Ben sapendo, però, che la Russia di Khodorkovskij è morta e non risorgerà.

E dunque la liberazione del suo ex arci-nemico non comporta rischi. In Russia non esiste più alcuno spazio di manovra per le opposizioni politiche, tantomeno per l’impresa privata. L’ultimo treno è stato perso dai dissidenti con le grandi manifestazioni seguite alle scorse elezioni della Duma. Chiusa anche quella finestra di opportunità, Khodorkovskij può anche tornare libero. Solo per entrare in un museo: esposto come ultimo reperto di una Russia che sperava di diventare un Paese libero.


di Stefano Magni