Accordo inconcludente per il budget Usa

venerdì 20 dicembre 2013


Mercoledì sera, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un budget di compromesso fra le proposte repubblicane e quelle democratiche. L’amministrazione Obama puntava, da subito, a innalzare il tetto legale del debito pubblico, che è già ai massimi storici dopo aver superato i 16mila miliardi di dollari. I repubblicani, impuntandosi, sono riusciti a fermare o per lo meno dilazionare l’innalzamento del tetto legale. La discussione è rimandata alla prossima primavera. In cambio hanno garantito il finanziamento al governo federale fino al 2015, dunque sarà coperto il periodo, particolarmente delicato, delle prossime elezioni di medio termine (novembre 2014) e non vi saranno altri shutdown. Mentre non verranno estese le coperture assicurative per i disoccupati, come chiedevano i democratici.

I repubblicani hanno nominato Paul Ryan e i democratici Patty Murray. I due deputati hanno annunciato l’accordo di massima per la tregua temporanea. Il governo federale sarà provvisto di un budget di 1012 miliardi di dollari, una cifra mediana fra i 967 miliardi chiesti dai repubblicani e i 1058 voluti dai democratici. Saranno in gran parte annullati gli effetti dei tagli lineari automatici (“sequester”) a beneficio del Pentagono, difeso dai repubblicani. Si alzeranno le tariffe per i passeggeri che prendono gli aerei, con gran gioia delle compagnie aeree. Si compiranno altri tagli al programma Medicare (assistenza sanitaria agli anziani) e verranno ridotti i benefit inclusi nelle pensioni dei funzionari pubblici, compresi i militari che smettono di lavorare prima del compimento del loro 62esimo anno di età.

Visto così, l’accordo non è il massimo della vita. Serve a tenere in vita il governo federale, a porre fine a una lunga crisi politica (che potrebbe spaventare i mercati) e a rimandare tutte le discussioni sugli aspetti più urgenti a dopo le vacanze di Natale. In effetti, è proprio questo il tallone d’Achille dell’accordo: è inconcludente. Non prende in considerazione l’aspetto fondamentale che è il gigantesco debito pubblico statunitense, in continua e rapidissima crescita, soprattutto da quando c’è Obama alla Casa Bianca. Se i repubblicani, la prossima primavera, si impunteranno ancora, come suggeriscono i deputati e i senatori più conservatori, si aprirà una nuova crisi politica e saremo punto e a capo. La reazione più probabile dell’opposizione sarà quella di accettare un altro scambio: lasciare che i democratici alzino il tetto del debito e rimandare l’applicazione dell’Obamacare, la riforma della sanità, che tra l’altro sta già promettendo molto male visti i primi deludenti risultati.

Questa è la soluzione politica più ragionevole. Ma sarà anche la soluzione economica più sostenibile. Un “estremista”, come il senatore Rand Paul (repubblicano, vicino al Tea Party) suona l’allarme: “Io penso che (i miei colleghi, ndr) voteranno per l’innalzamento del tetto del debito e cercheranno di vincere le elezioni sull’Obamacare. Ma così non faranno niente di utile per evitare al Paese la bancarotta”. Il problema è proprio vedere quanto il sistema economico statunitense riesca a reggere un debito pubblico che ha già raggiunto il 105% (stimato) del Pil, il dato più alto dal 1945. Ma allora c’era la guerra mondiale. Strano che ci voglia un “estremista” per ricordarcelo. Di solito, chi mira al pareggio di bilancio si definisce “prudente”.


di Stefano Magni