I Cristiani in Siria a rischio estinzione

martedì 17 dicembre 2013


Un piccolo genocidio rischia di consumarsi in Siria e precisamente nel villaggio di Kanaye. Duemila cristiani che ancora vi abitano sono stati presi in ostaggio dalle milizie jihadiste di Al Nusrah, un’organizzazione armata fra le più forti, direttamente legata ad Al Qaeda. Il villaggio di Kanaye è stato attaccato dagli jihadisti il 14 dicembre. I guerriglieri hanno prima di tutto occupato la chiesa e impedito al parroco di suonare le campane per dare l’allarme ai fedeli. Contemporaneamente hanno bloccato tutte le vie d’uscita del piccolo paese. Ed ecco creatasi la situazione peggiore: tutti gli abitanti cristiani in ostaggio. “Temiamo – ha detto monsignor Giuseppe Nazzaro, vescovo di Aleppo – che la popolazione sia costretta a fuggire in massa o a convertirsi all'Islam se non vuol essere trucidata”.

In base alle informazioni ricevute dal vescovo di Aleppo, i qaedisti avrebbero già incominciato ad imporre la loro legge, con i loro consueti metodi: “Se anche una sola donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio verrebbero passati per le armi – ha spiegato alla stampa – La gente era terrorizzata, ma purtroppo da stanotte non sono più riuscito a mettermi in contatto con loro e non ho ulteriori notizie”. Nella provincia settentrionale di Idlib, un altro villaggio cristiano, Ghassanieh, era stato occupato, l’anno scorso, da Al Nusrah. Gli jihadisti, in quell’occasione avevano costretto tutti gli abitanti cristiani ad abbandonare le loro case e fuggire. Una volta conquistata, la cittadina è stata saccheggiata, i luoghi sacri profanati e l’abitato trasformato in una roccaforte dei qaedisti.

Il rischio ancora maggiore lo corrono gli abitanti di Maaloula, la storica cittadina rupestre (patrimonio mondiale dell’umanità), una delle culle del cristianesimo, occupata e trasformata in campo di battaglia da ormai tre mesi e mezzo. Il rischio di un genocidio dei cristiani di Siria è concreto. E, di fatto, i ribelli jihadisti hanno già ottenuto il loro primo scopo: quello di scacciarli in massa. Circa un quarto dell’intera comunità cristiana (che conta più di 2 milioni di anime) ha preso la via dell’esilio. La maggior parte di quelli che sono rimasti sono rifugiati a Damasco, sotto la protezione dell’esercito regolare. Ma anche nella capitale si è combattuto duramente e si combatte tuttora. Ad Aleppo, la minoranza armena, che vi risiede fin dalle origini, è in parte fuggita nell’Armenia indipendente, in parte è rimasta e teme il peggio.

Quando, l’estate scorsa, la città avrebbe potuto cadere nelle mani degli jihadisti, gli armeni temettero il peggio e meditarono un esodo massiccio: un doloroso ricordo per i nipoti e i pro-nipoti di coloro che scamparono al genocidio ottomano del 1915. Il rischio di genocidio cristiano e il rafforzamento considerevole delle milizie jihadiste (che hanno definitivamente rotto ogni rapporto con il Consiglio Nazionale Siriano, l’organo ribelle giudicato troppo laico) sono due degli elementi che hanno indotto Gran Bretagna e Usa a interrompere gli aiuti militari. E la Turchia a innalzare una nuova e più forte barriera ai suoi confini meridionali. La politica di sostegno indiretto alla ribellione contro Bashar al Assad ha provocato questi effetti collaterali, ben prevedibili sin da subito.

Le armi fluite nei depositi delle forze ribelli “democratiche”, l’Esercito Siriano Libero che risponde al Cns, sono invece andate a rafforzare i ribelli più integralisti. Delegare gli aiuti a potenze regionali, quali Arabia Saudita e Qatar, ha fatto sì che si rafforzassero le formazioni più estremiste. Ed ora si rischia di rimpiangere la dura dittatura di Assad, per impedire ad un’altra dittatura, ancora peggiore per i siriani e per noi, di ascendere al potere.


di Stefano Magni