Russia o Ue? per Kiev è l'ora delle scelte

sabato 14 dicembre 2013


Segnali di fumo dalla crisi ucraina: Catherine Ashton, a nome dell’Unione Europea, annuncia che un accordo è possibile e a portata di mano e i tribunali ucraini hanno liberato i manifestati arrestati nei giorni scorsi. Intanto, in Piazza dell’Indipendenza a Kiev, i manifestanti, lungi dall’essersi arresi, rimettono in piedi le barricate. Inizia a profilarsi una vittoria occidentale, tutt’altro che scontata, ma considerata remota fino a poco tempo fa. Prima di tutto i progressi si notano sul fronte dei negoziati, sia interni che internazionali.

Sul piano europeo, Catherine Ashton, dopo aver parlato con il presidente Yanukovich ha riferito dell’intenzione di quest’ultimo a firmare comunque l’accordo di associazione con l’Ue. La notizia non stupisce più di tanto, perché il presidente post-sovietico non ha mai del tutto chiuso la porta in faccia al resto dell’Europa. Ha bisogno solo di una rassicurazione: ottenere ingenti aiuti finanziari, quantificati in circa 20 miliardi di euro per portare a compimento una piena modernizzazione delle infrastrutture. L’accordo di libero scambio con la Russia è più facile rispetto a uno con l’Ue, perché Mosca non chiede né riforme né modernizzazioni. Tuttavia l’accesso al mercato europeo è più allettante, per tutte le aziende ucraine, oltre che per una popolazione che non desidera altro che una maggior libertà di movimento in Occidente, per studio e per lavoro. Yanukovich deve dunque soppesare costi e opportunità di questa scelta fondamentale.

La pressione russa, in questo senso, è molto forte. Il Cremlino ha iniziato ad adottare misure di boicottaggio: la prima vittima è il cioccolato ucraino, bandito dai mercati russi. Quel che si teme è la chiusura del rubinetto del gas russo, da cui l’Ucraina dipende. Ieri, il presidente Dmitri Medvedev ha parlato ancora pubblicamente di “grezza ingerenza” europea, constatando la presenza di politici dell’Ue assieme ai manifestanti. L’opinione pubblica di Kiev, d’altra parte, è però ben consapevole delle pesanti ingerenze russe nella politica del governo post-sovietico e difficilmente cascherà nella retorica anti-europea di Mosca.

A gettare il suo pesante nome sulla bilancia di queste due opzioni (Ue o Russia) è anche uno dei più ricchi e influenti oligarchi locali: Rinat Akhmetov, ieri, si è detto contrario alla repressione delle manifestazioni di Kiev e ha parteggiato per una soluzione negoziale. È un punto in più per la scelta pro-europea. I negoziati fra gli oppositori e il presidente sono invece ancora in stallo. La tavola rotonda si è riunita come previsto, i colloqui sono incominciati, ma ieri uno dei leader dell’opposizione, il nazionalista ed ex pugile Vitaly Klitchko ha dichiarato che poco o nulla è stato raggiunto. Il governo non ha accettato alcuno dei punti proposti dai democratici. E allora le barricate e i presidi continuano. Anzi, si rafforzano. Piazza dell’Indipendenza, a giudicare dalle foto, è diventata un vero campo trincerato, con barriere in legno e cemento e sacchetti di sabbia.

Dopo un primo, infruttuoso, tentativo della polizia di far sgomberare la piazza, centinaia di migliaia di manifestanti sono ancora lì. La vera buona notizia (dal punto di vista degli oppositori) è la liberazione di nove manifestanti arrestati. I processi nei loro confronti continueranno, ma sono comunque stati scarcerati su ordine della magistratura. È un segnale che lo Stato (per lo meno: in alcune delle sue componenti) non vuole la repressione. La parola torna ai negoziati e, almeno per ora, una soluzione di forza appare più lontana. Fino alla prossima sorpresa.


di Stefano Magni