Indipendenza sofferta per la Catalogna

venerdì 13 dicembre 2013


La Catalogna, nazione che da almeno un secolo aspira all’indipendenza dalla Spagna, potrà indire un suo plebiscito? A quanto risulta, no. La data della consultazione popolare era stata annunciata ieri mattina: il 9 novembre 2014. Dunque ci sarebbe stato un anno di tempo per la campagna, per valutare i pro e i contro dell’indipendenza da Madrid e poi tutti al voto. Ma il governo spagnolo si sta mettendo di traverso: ieri pomeriggio è arrivata la doccia fredda, annunciata dal ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardon.

“Il referendum non si farà”, ha dichiarato laconicamente. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato nelle comunicazioni fra Barcellona e Madrid. Il presidente catalano, l’autonomista (solo recentemente convertitosi alla causa indipendentista) Artur Mas, aveva infatti annunciato il raggiungimento di un accordo finale sul referendum con il governo di Mariano Rajoy (popolare). Il Partito Popolare, tradizionalmente, è il più centralista. Se il Partito Socialista, almeno, si dimostra più permeabile sull’autonomia, anche se non sull’indipendenza, i popolari, avendo assorbito anche un pezzo di politica franchista, vogliono la monarchia spagnola una e indivisibile.

Un eventuale accordo con Rajoy, dunque, sarebbe un successo doppiamente eclatante per Artur Mas, ma è, proprio per questo motivo, una materia molto delicata. Una smentita da Madrid era assolutamente inevitabile. Il governo spagnolo dichiara un “no” per motivi interni, ma continua a lavorare su un accordo referendario? È molto probabile. Perché è la realtà a spingere in questa direzione. La Catalogna mira alla sua indipendenza da generazioni, ma il disastro economico provocato da due governi socialisti ha infiammato di colpo il desiderio secessionista.

I catalani sono i più produttivi in assoluto e sono semplicemente stanchi di trascinarsi dietro il resto di un Paese che affonda. L’11 settembre 2012, alla marcia per l’indipendenza, aveva aderito più di un milione di catalani. Nelle successive elezioni del parlamento di Barcellona, benché i media dicano tutt’ora il contrario, i partiti favorevoli al distacco dalla Spagna si sono aggiudicati i due terzi dei seggi.

Volendo, potrebbero votare e proclamare unilateralmente la nascita di una Catalogna indipendente a maggioranza qualificata, se solo superassero le loro divisioni ideologiche fra moderati (Artur Mas), radicali (Sinistra Catalana) e sinistra comunista. In un referendum l’indipendentismo vincerebbe facilmente. Se Madrid dovesse opporsi frontalmente al referendum, le prossime elezioni catalane, previste per il 2016, diverrebbero un plebiscito indipendentista.

E da lì alla guerra civile il passo è molto breve. Conviene, dunque, che Madrid ragioni e giunga a una soluzione di compromesso. Sempre che non voglia battere il record del primo governo dell’Ue che usa i carri armati contro i suoi stessi cittadini. Il problema che si profila all’orizzonte, però, è anche europeo. Bruxelles è stata chiara: se la Catalogna diverrà un nuovo Stato sarà fuori dall’Unione.

“Sai che perdita!”, verrebbe da dire a tutti gli euroscettici. Ma di sicuro l’esclusione dal club europeo è un brutto segnale e non è il solo: anche la Nato ha preannunciato l’espulsione in caso di secessione. Si tratta di due giudizi che contraddicono le posizioni prese per l’analogo caso della Scozia: la nazione autonoma britannica, infatti, svolgerà il suo regolare referendum indipendentista nel 2014 e si è già assicurata la permanenza nell’Ue e nella Nato, nel caso lo desideri. Con la Spagna l’atteggiamento è diverso, prima di tutto per motivi politici: i Popolari spagnoli sono aiutati dai Popolari europei, che non intendono abbandonare i loro affiliati.

Poi per motivi strategici: la secessione scozzese (se mai dovesse vincere) è consensuale, accettata ufficialmente dal governo di Londra e rimarrebbe una questione interna al Commonwealth britannico. La secessione catalana, non essendo accettata da Madrid (né dalla maggioranza popolare, né dall’opposizione socialista) è invece vissuta come un fatto traumatico e come un precedente pericoloso.

Se mai dovesse vincere la secessione di Barcellona, con un referendum o con una proclamazione parlamentare, tutti gli indipendentisti europei (compresi i nostri veneti) avrebbero un precedente da sventolare contro i loro governi centrali. Se, il 9 novembre 1989, la caduta del muro di Berlino segnò l’inizio dello sgretolamento del blocco europeo orientale, il 9 novembre 2014 l’indipendenza catalana potrebbe significare l’inizio del crollo di quello occidentale. Ecco perché l’Ue e la Nato si opporranno il più possibile.


di Stefano Magni