Il racconto musicale di Mark Rotella

martedì 3 dicembre 2013


L’importanza della musica per gli italiani in America è sempre stata fondamentale. Da forte mezzo di attaccamento alla terra lasciata e alle sue tradizioni a canale di espressione della propria passione, da veicolo di rivincita grazie al successo dell’opera all’affermazione delle doti artistiche italiane, dal grande successo dei crooner italiani alla nuova generazione di cantanti americani di origine italiana, è grazie alla musica che l’Italia si afferma nella società e nella cultura americana, e poi nel mondo dello show business statunitense, lasciandovi una traccia indelebile. Mark Rotella ha analizzato molto a fondo questo fondamentale aspetto del rapporto tra Italia e Stati Uniti, con un libro che è la definitiva sintesi delle tante cose da raccontare a questo proposito: si chiama “AMORE: The Story of Italian American Song”.

Quando i nostri connazionali arrivarono nelle Little Italy degli Stati Uniti, rimasero attaccati alle loro radici mediante alcune tradizioni che portarono dall’Italia: la musica fu sicuramente una di queste. Continuarono ad ascoltare musica italiana, cantando vecchie canzoni, alcuni di loro iniziando a scriverne per descrivere la loro nuova esperienza. Enrico Caruso e qualche altro cantante di grande talento erano i loro eroi. Come descriverebbe l’importanza della musica per gli italioamericani nella prima metà del secolo scorso?

In quel periodo, quando gli italiani vivevano nelle Little Italy di tutto il Paese, l’opera fu per loro un grande punto di riferimento e di riunione. Prima che Enrico Caruso arrivasse, il Metropolitan Opera ospitava principalmente musica tedesca. Caruso portò una voce che non si era mai sentita prima. Quello era il momento in cui veniva inventata la tecnologia per registrare i dischi: c’era in atto una competizione tra il Victor Victrola o il cilindro di Edison. Siccome la voce di Caruso era migliore sul Victrola, fu questa la tecnologia che ebbe il sopravvento su quella del cilindro di Edison: questo serve a far capire quanto Caruso fosse importante e di successo. Caruso ha cambiato la storia della musica e, naturalmente, quando venne negli Stati Uniti all’improvviso il repertorio dei teatri musicali divenne italiano, e così gli italiani iniziarono ad andarci. Erano poveri, sul gradino più basso della scala sociale ed economica, per cui quasi tutti stavano nei posti più economici in balconata, ascoltando l’opera e sognando la terra in cui erano nati. Erano discriminati, vivevano in condizioni estremamente povere, con molti pregiudizi nei loro confronti: erano più scuri di pelle, più bassi della media, parlavano una lingua diversa dagli altri, ed erano di un’altra religione. Così la maggior parte degli americani pensavano che fossero tutti ladri e criminali: e poi arrivò il cantante più famoso e di successo in assoluto, quello che vendeva il maggior numero di dischi, un cantante italiano, proveniente proprio dalla loro terra. Questo li rese orgogliosi e li spinse ad essere fieri della loro origine: Enrico Caruso era uno di loro, e così pure altri fantastici cantanti, come ad esempio Tito Schipa. C’è qualcosa che accomuna i cantanti italiani: il fatto che le parole della lingua italiana terminano con una vocale. È un modo specifico e definito di parlare e di cantare: e il canto è parte della cultura italiana. Le canzoni erano per i primi italoamericani un modo per esprimere sé stessi: li si poteva sentire nei villaggi, quando le persone si radunavano insieme per per commemorare i loro santi, nelle varie feste e processioni. Ma si potevano ascoltare anche quando un venditore italiano andava per strada ad offrire i suoi prodotti, e lo faceva mentre cantava: persino lì si poteva trovare una certa qualità.

Il suo libro racconta come sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale artisti italoamericani come Frank Sinatra, Perry Como, Dean Martin, Tony Bennett e molti altri divennero tra i cantanti di maggior successo negli Stati Uniti. Ci dice qualcosa in più su questo periodo?

In ogni cantante col quale ho parlato o del quale ho letto qualcosa, da Tony Bennett a Connie Francis a Dion dei “Dion and The Belmonts”, c’era sempre un artista la cui influenza era palese e chiara: Enrico Caruso. C’è qualcosa di tipicamente italiano, che rende apparentemente semplice e senza sforzi cantare anche cose difficili, un modo di fare musica chiamato “sprezzatura”. Passando da Enrico Caruso a Nick Lucas, da Rodolfo Valentino a Russ Columbo, è qualcosa che tutti i cantanti italiani di successo in America hanno sempre avuto. Columbo è stato chiamato “il Valentino delle onde radio”: aveva capelli scuri, era un italiano giovane e bello, nato nel New Jersey ma cresciuto in California. Le donne lo amavano, e fu protagonista della famosa cosiddetta “battaglia dei baritoni” nelle radio che chiedevano agli ascoltatori chi fosse il loro preferito tra lui al Brooklyn Paramount e Bing Crosby al New York Paramount. Anche Russ Columbo fece gli italiani orgogliosi della loro eredità, non con l'opera, ma con la musica pop: è stato uno dei più grandi cantanti del mondo. E questo è successo altre volte con altri cantanti tra gli anni Trenta e Quaranta, quando altri grandi artisti di talento divennero famosi, come Louis Prima, Frank Sinatra, Perry Como, Dean Martin, Tony Bennett, Vic Damone e altri. Tutti questi cantanti arrivarono al successo proprio quando le seconde generazioni di italiani negli Stati Uniti crescevano e raggiungevano l’età in cui si ha la possibilità di comprare i primi dischi, soprattutto nelle città. Si poteva accendere la radio trovare le voci dei cantanti italaomericani, ovunque: prima della seconda guerra mondiale, ma soprattutto dopo la fine di essa. Anche durante gli anni ‘50, nell’epoca della rivoluzione del rock and roll, c’erano italoamericani come Dion and The Belmonts, Bobby Darin e Connie Francis tra i cantanti ai vertici delle classifiche. Negli anni ‘60 qualcosa cambia: gli standard del pop cambiano, la gente comincia ad ascoltare altri tipi di musica, come quella portata dai Beatles.

Può condividere con i nostri lettori un paio di aneddoti interessanti ma non ancora ben noti presso il grande pubblico, emersi durante la sua ricerca per il libro?

Una volta intervistai un cantante chiamato Jerry Vale, che era molto popolare qui negli anni ’50. Cantava canzoni pop con una sorta di fervore napoletano, sia in italiano che in inglese: Martin Scorsese ha usato la sua musica in molti dei suoi film. Gli chiesi che effetto facesse a quei tempi per lui, proveniente da una famiglia di operai, stare sul palco con migliaia di fan che urlavano il suo nome ... e lui mi sorprese dicendomi “sai, per me era solo un lavoro, proprio come mio padre che costruiva le strade della città: solo che io cantavo. Era solo un lavoro, per portare il cibo in tavola per la mia famiglia”. E molti altri cantanti italoamericani hanno espresso pensieri simili: erano ovviamente dotati di grande talento, erano molto felici di cantare, ma l’approccio che avevano era sempre quello dell’etica del lavoro tipicamente italiana, esattamente la stessa di quelli che vennero qui per primi e accettando umili e totalmente diversi tipi di lavoro. Frank Sinatra si aspettava che i suoi musicisti fossero sempre puntuali e professionali, e molti altri cantanti italiani erano esemplari professionisti. Un’altra cosa che mi piace ricordare riguarda Frankie Laine. Lui era di Chicago, uno dei primi cantanti a cantare con uno stile “black”. Ascoltandolo, sembra un po’ di sentire Elvis Presley: sappiamo che Elvis è cresciuto ascoltando l’opera alla radio, e che il suo eroe era Dean Martin, in onore del quale Elvis si tinse i capelli di nero. Quando si ascolta Elvis, si può chiaramente sentire che le sue ultime sono molto in stile operistico: a quel tempo il suo idolo era Mario Lanza, un grande e molto popolare cantante lirico italiano di Philadelphia. Così, i cantanti italiani ebbero una grande influenza su Elvis: uno dei suoi più grandi successi è stato “It’s now or never”, che era la versione inglese di “O Sole mio”. Beh, Frankie Laine è molto simile ad Elvis Presley, ma i suoi dischi uscirono un decennio prima. Quando ho intervistato Frankie Laine nella sua casa di San Diego aveva 92 anni, e mi ha detto: "Mark, prima di Elvis Presley, sono stato io il primo cantante a cantare con uno stile “black”. Ed è vero, è stato davvero il primo di molti, che si rifacevano all’opera da un lato, e alla musica nera dall'altro.

Che possiamo dire, invece, della musica scritta e prodotta in Italia? Gli americani amavano i cantanti provenienti dall’Italia? E ora?

L’unico cantante che mi viene in mente è Domenico Modugno: “Volare” (Nel blu dipinto di blu) è stato un successo enorme qui. Ho visto foto di lui con i tipici baffi italiani, che scende da un aereo al JFK: era pieno di vita, e con “Volare” rimase ai vertici delle classifiche americane per mesi. Molti cantanti italoamericani hanno poi inserito Volare nel loro repertorio. Quindi Modugno è stato un gigante: ma a parte lui, non ci sono stati altri nomi di grande successo, né in quegli anni, né ora. Voglio dire, ogni tanto arriva occasionalmente e ha successo un canzone italiana, ma non moltissimo. Sono sempre stato un grande fan di Paolo Conte, un meraviglioso cantante, ma il suo successo non è stato molto grande qui in America. Ora ci sono i tre ragazzi italiani de “Il Volo” che stanno avendo un buon successo: sono bravi, certo, ma non si avvicinano nemmeno vicino al successo di Domenico Modugno, o addirittura a quello di Madonna e Lady Gaga. Ma non c’è dubbio che abbiano una buona popolarità presso gli italoamericani di una certa età, perché cantano musica che non riguarda le generazioni più giovani.

Dopo il periodo d’oro, gli autori italoamericani continuarono a scrivere musica e a vendere molti dischi, sia in vinile che in cd; e continuano a farlo ora, nell'era mp3 (mp3 che tra l'altro è stato inventato da un italiano). Da Bruce Springsteen a Madonna, da Jon Bon Jovi a Lady Gaga, che impatto hanno avuto sulla nuova società americana?

Quando gli Stati Uniti alzarono nuovamente la quota di immigrazione italiana legalmente accettata, a metà degli anni ‘60, gli italiani iniziarono nuovamente a venire negli Stati Uniti, e ciò portò sicuramente nuovi geni italiani in America. Anche gli italoamericani erano in quel momento in una posizione sociale diversa rispetto alle generazioni precedenti: erano persone di successo, si sposavano anche fuori dalla comunità italoamericana, erano divenuti americani di origine italiana. E tuttavia, anche allora c’erano diversi cantanti che mostravano lo stesso senso di “sprezzatura” mostrato dalla prima generazione di cantanti italiani negli Stati Uniti; nuovi autori che in qualche modo sono cresciuti conoscendo e ascoltando un po’ anche la lirica e la musica tradizionale italiana: Jim Croce, The Rascals nei tardi anni ‘60 e ‘70, e poi Bruce Springsteen, Madonna, Cindy Lauper, anche Lady Gaga (il cui padre è un musicista) hanno spesso citato alcuni cantanti italoamericani come loro idoli. L’introduzione alla musica e l’incoraggiamento a imparare a suonare e ad esibirsi che hanno avuto da parte dei loro genitori si sono basati sulla musica italiana, proprio come era accaduto prima a Frank Sinatra, Connie Francis, Louis Prima. Ma, contrariamente a un tempo, ora è cool – anche se non si ha un cognome che termina con una vocale – affermare si è di origine italiana e che la musica e i cantanti italoamericani sono parte del proprio patrimonio e della propria formazione. Inoltre, se si guarda alle performance di Madonna e di Lady Gaga, c'è un grandissimo senso di coreografia nelle loro apparizioni – nel loro look, nei loro spettacoli, nei loro video – in modo quasi operistico: qualcosa di simile a quello che Liberace, un altro brillante interprete di origini italiane, ha fatto per molto tempo prima di loro.


di Umberto Mucci