L’Iran “nucleare”, una cambiale in bianco

martedì 26 novembre 2013


L’accordo sul nucleare iraniano raggiunto a Ginevra segna una svolta storica: il primo “sì” di Teheran dopo otto anni di rifiuti. Obama ha la sua vittoria diplomatica in tasca: era quello che voleva. Ma l’accordo è uno di quegli eventi per cui il 90% del mondo festeggia e il 10% inizia a contare gli ultimi giorni prima dell’apocalisse. Un po’ come il Patto di Monaco, che nel 1938 sembrava una cosa tanto bella e l’anno dopo portò dritto alla guerra mondiale. La posta in gioco, qui è (almeno apparentemente) meno rischiosa, perché non si tratta di cedere territori, ma di permettere all’Iran un po’ più di respiro. Giusto per ricordare i termini fondamentali: l’uranio in sé è un minerale non pericoloso.

Se viene raffinato (o “arricchito”) al 5% diventa carburante utile per alimentare centrali nucleari civili. Se arricchito al 20% può anche essere considerato materiale fissile per una bomba atomica, ma ne occorrerebbe una grande quantità. Se arricchito al 90% è perfetto per una bomba atomica. Il difficile, in un programma industriale, è ottenere l’arricchimento fino al 20%. Poi, una volta raggiunta quella soglia, arricchire l’uranio fino al 90% diventa un “gioco da ragazzi”, fattibile in tre settimane o poco più.

L’Iran preoccupa perché sta producendo una gran quantità di uranio arricchito al 20%, dunque ridondante per un programma nucleare civile e a un passo da quanto sarebbe necessario per un programma militare di costruzione di bombe atomiche. Se finora la comunità internazionale chiedeva all’Iran di rinunciare alla parte più pericolosa del suo programma nucleare (il ciclo dell’arricchimento dell’uranio), adesso ha chiesto un qualcosa di meno vincolante: sospendere per 6 mesi il processo di arricchimento dell’uranio oltre il 5%, consegnare tutto quello arricchito al 20% a un Paese terzo, ottenendo in cambio una temporanea sospensione di prova (sempre di 6 mesi) delle sanzioni economiche.

Quali sono gli interessi in gioco? Gli interlocutori statunitensi, in particolar modo, hanno voluto dare maggior fiducia al nuovo presidente Rouhani. E soprattutto, se è vero che le sanzioni occidentali del 2011, 2012 e 2013 (contro il sistema finanziario e l’industria petrolifera dell’Iran) hanno piegato l’economia di Teheran, è anche vero che i partner europei non ne potevano più di perdere un mercato promettente come quello iraniano. Agli interessi economici europei si è aggiunto l’interesse politico di Barack Obama, che vuole un successo diplomatico eclatante subito dopo aver varato la sua riforma della sanità (che è già costata uno “shutdown”) con risultati a dir poco imbarazzanti.

Ma è una scelta saggia? Con la sospensione delle sanzioni, l’Iran può prendere fiato per 6 mesi. E questo lasso di tempo basta e avanza, secondo le stime del think tank Isis, a costruire più di un ordigno nucleare, stando alla tecnologia che l’Iran ha già raggiunto. Anche se non lo dovesse fare, avrebbe comunque tempo di riprendere fiato, sistemare i conti, riprendere contatti commerciali e prepararsi ad una ripresa del programma nucleare e a un prossimo confronto duro, fra sei mesi, da una posizione più forte. Inoltre, stando ai termini dell’accordo, non è affatto detto che l’Iran consegni tutto l’uranio arricchito finora prodotto. Sarebbe quasi impossibile verificarlo.

E siamo sicuri che gli impianti finora individuati e registrati dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) siano proprio tutti? Arak e Natanz, come abbiamo visto, sono stati scoperti solo grazie a una soffiata di dissidenti. Anche l’impianto di Fordow, scavato dentro a una montagna, è stato scoperto dall’intelligence solo nel 2009, quando ormai era già quasi completo. Ce ne sono altri che non sono stati dichiarati e che, magari, stanno già producendo tonnellate di uranio arricchito? Non si sa e questo accordo non prevede sufficienti garanzie per poterlo sapere. Non c’è che sperare nella buona volontà degli iraniani, che finora hanno preso tempo con i negoziati per fare passi da gigante nel loro programma nucleare segreto.

E non c’è che contare sul buon senso di Israele e Arabia Saudita (per la prima volta dalla stessa parte della barricata) affinché non lancino una loro guerra preventiva contro quella che vedono come la loro più grande minaccia esistenziale. “Oggi il mondo è più pericoloso”, ha affermato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Ora siamo tutti più sicuri”, ha dichiarato il presidente statunitense Barack Obama. Solo il tempo giudicherà chi dei due abbia ragione.


di Stefano Magni