Ucraina, una disperata rivoluzione

sabato 23 novembre 2013


C’è chi si dispera perché appartiene all’Unione Europea e chi, al contrario, si dispera perché ne è escluso. Quest’ultimo è il caso dell’Ucraina, il cui Parlamento, dominato dalla maggioranza dei post-sovietici del Partito delle Regioni, ha votato per dilazionare l’accordo di associazione con l’Ue, provocando una grande protesta di piazza. L’economia c’entra fino a un certo punto. Il motivo ufficiale del “no” di Kiev è la necessità di riprendere fiato.

I conti non sono in ordine e, per concedere un prestito, il Fondo Monetario Internazionale chiede all’Ucraina un sacrificio che al momento non si può permettere: aumentare il prezzo al consumo del gas e tagliare stipendi e pensioni. Dunque serve tempo per riprendere fiato e poi si potrà riaprire il capito europeo. Questa scelta è paradossale, perché l’accordo con l’Ue avrebbe proprio ridato fiato al commercio ucraino, rimuovendo praticamente tutti i dazi sui prodotti d’esportazione. Ma la motivazione economica, appunto, ha senso solo sul piano ufficiale. Su quello ufficioso troviamo la vera ragione: per firmare l’accordo, l’Ue chiedeva la scarcerazione di Yulia Tymoshenko e il suo ricovero (è gravemente malata da anni) in una struttura sanitaria all’estero.

La Rada (il parlamento di Kiev) ha bocciato tutte e 6 le proposte di legge che avrebbero consentito la liberazione dell’ex leader della Rivoluzione Arancione e da qui al “no” all’accordo con l’Ue il passo è stato molto breve. Dunque non si tratta di una scelta economica: sono i diritti umani al centro dell’attenzione. E questo spiega la reazione furiosa dell’opposizione ucraina. Il leader dell’opposizione parlamentare, Arseniy Yatsenyuk, chiede l’impeachment per il presidente Viktor Yanukovich. Nella Rada, il premier Mykola Azarov non è neppure riuscito a portare a termine il discorso sulla decisione di sospendere l’accordo con l’Ue: è stato sommerso dai fischi, dai lanci di oggetti e dalle contestazioni e la seduta parlamentare è stata chiusa in tutta fretta.

Ma il meglio (o il peggio) doveva ancora arrivare: migliaia di contestatori hanno risposto all’appello dal carcere di Yulia Tymoshenko, che ha chiesto al popolo di reagire al “golpe” governativo. Non solo a Kiev, ma anche in altre città, soprattutto quelle dell’Ucraina occidentale, l’opposizione inizia a sfidare il governo e annuncia che rimarrà accampata in piazza. La magistratura di Kiev, dal canto suo, risponde diramando il divieto di accampamento e le autorità dispiegano le forze dell’ordine, pronte a caricare. Nella tensione di piazza riemerge Vitali Klitschko, campione di pugilato e padre del nuovo partito nazionalista ucraino: arringa la folla, si presenta come il leader della nuova insurrezione.

Gli schieramenti sono analoghi a quelli della Rivoluzione del 2004: da una parte la Tymoshenko (ora in carcere) alla testa dei filo-europei, dall’altra Yanukovich (ora al potere) alla guida del blocco post-sovietico. Sono tuttavia cambiati i rapporti di forza. Gli Usa, che svolsero un ruolo da protagonista nel 2004, sostenendo attivamente gli Arancioni, oggi sono ripiegati nel loro neo-isolazionismo. Difficilmente andrebbero a sfidare il governo di Kiev, sostenuto da Mosca, dopo essere scesi a patti con Putin sulla Siria appena due mesi fa. È più debole l’Unione Europea, che ha offerto a Kiev un accordo per vederselo rimandare al mittente: ora Bruxelles non ha più validi strumenti di pressione.

Dall’altro lato della barricata, il protettore di Yanukovich, Vladimir Putin, sta vivendo un momento di grazia, tanto che qualcuno lo considera “l’uomo più potente del mondo” e le nuove destre europee (anche in Italia) lo vedono come la loro guida politica e spirituale. Il fatto che l’Ucraina abbia rotto con l’Ue permette alla Russia di entrare nella questione a gamba tesa, fornendo a Kiev le sue condizioni e imponendo la sua stabilità politica. Quei giovani scesi in piazza a migliaia, a Kiev e nelle città dell’Ucraina occidentale, possono anche essere degli eroi, sfidare il gelo e la paura della repressione, ma la bilancia del potere pende decisamente dalla parte dei loro nemici.


di Stefano Magni