Medda, il design amato negli Usa

mercoledì 20 novembre 2013


Uno dei principali settori di eccellenza del Made in Italy è il design. Siamo storicamente leader in questo campo: noi italiani abbiamo nel nostro dna la miscela necessaria per essere i migliori nel disegnare le cose, e nel realizzarle come si deve. L’America, a sua volta, ha nel suo dna ciò che è necessario per realizzare le idee, i sogni e le idee imprenditoriali: per questo i designer italiani hanno avuto un successo così grande negli Stati Uniti. Ne parliamo con una giovane italiana di talento e di successo, che è una cittadina del mondo ma molto orgogliosa delle sue radici italiane, una stella nascente nel sistema globale del design: Ambra Medda.

Ambra, nonostante la tua giovane età tu sei tra le persone di maggior successo al mondo nel campo del design d’interni. Uno dei motivi del tuo successo è quello che viene chiamato il “Global Forum del design”: Design Miami/. Ci dici qualcosa in più su questo importante evento?

Ero molto giovane quando ho dato vita a Design Miami/. Il desiderio di fare qualcosa del genere venne dalla sensazione che il design da collezione non aveva un appuntamento in cui la comunità mondiale di esperti di questo settore potesse riunirsi, per confrontarsi ed innovare il mercato. Il design del quale mi occupo io è in primo luogo da collezione, pezzi importanti che sono sia storici che contemporanei, siano provenienti da designer emergenti come pure da quelli già affermati: e mi sembrava che questo settore fosse relegato in una nicchia. C’erano molte fiere in quel momento che si occupavano di design in modo molto versatile, che è qualcosa che io adoro: amo i mercati, amo le combinazioni inaspettate di cose. Ma questa situazione non faceva davvero giustizia all’importanza di questi pezzi da collezione. Così nel 2004 ho visitato Art Basel, accorgendomi che c’erano molte sovrapposizioni con il mondo dell'arte: mercanti d’arte che raccoglievano design, diversi media che si occupavano sia di arte che di design, e molte gallerie di design che dimostravano interesse per oggetti d’arte. Questo mi ha portato a credere che fosse il momento giusto per creare una piattaforma per permettere alle persone di condividere questi concetti. Non è davvero iniziata come una fiera, all’inizio pensavo di affittare uno spazio e organizzare una mostra con oggetti importanti di design di metà del secolo, testimonianze di designer italiani come Franco Albini e Giò Ponti... e poi mescolarli con pezzi contemporanei. Appena ho iniziato a discuterne con altri ho raccolto subito molto interesse, e così ho capito che c’era così tanto da fare che avremmo potuto creare qualcosa in più di una mostra: ho fatto una lista delle più importanti gallerie di design in tutto il mondo e li ho chiamati dicendo che mi sarebbe piaciuto mettere insieme una piccola fiera dedicata al design, e tutti hanno risposto di sì con entusiasmo, e così è cominciato. Poi abbiamo deciso di premiare ogni anno un designer, e proposte circa presentazioni o eventi occasioni satellite sono saltate fuori spontaneamente ... ed è stato un enorme successo: era il 2005. Art Basel, con cui stavo lavorando in quel momento, mi ha proposto di portare la fiera a Basilea, perché Art Basel si tiene a Miami a dicembre e a Basilea in giugno: e così abbiamo portato la fiera anche in Svizzera, e di nuovo è stato un grande successo. Anno dopo anno, l’evento è cresciuto ed è diventato questo importante appuntamento per i galleristi , direttori di musei, curatori, giornalisti, designer ... e non appena si mettono insieme tutte queste persone, succede qualcosa di magico: nuove relazioni nascono, c’è uno scambio di merce e di pensieri, una conversazione in continuo divenire. La sensazione finale è che un vuoto sia stato riempito, e la gente è entusiasta di partecipare. Io ho diretto Design Miami/ per sei anni, ed è stato affascinante: un viaggio incredibile, facevo base a Miami e viaggiavo molto, e quando ho capito che la fiera aveva raggiunto quello che volevo che diventasse, ho iniziato a pensare a cosa avrei voluto fare successivamente. Ora c’è un nuovo direttore, che abbiamo nominato prima di lasciare: la fiera continua a crescere e a fare molto bene.

Sono curioso di sapere chi è questa ragazza italiana che è stata in grado di realizzare tutto questo. Qual è la tua storia?

Io vengo dalla Sardegna, mia madre è della provincia di Cagliari. Mio padre è austriaco, sono nata in Grecia e ci siamo trasferiti a Londra poco dopo la mia nascita: poi dopo dieci anni siamo andati a Milano. Dopo alcuni anni lì sono tornata a Londra per finire la scuola e poi a studiare la lingua e la cultura cinese, che è stata una esperienza fantastica che mi ha portato a Pechino. Mia madre è nel commercio di oggetti di design, così io sono cresciuta in mezzo ai designer: anche lei presentava sempre alcune opere storiche di alcuni tra i più importanti designer e architetti italiani degli anni ‘40 e gli anni ‘50, mescolandole con il design contemporaneo. Ho pensato che la mia carriera sarebbe stata quella del mercante d’arte, ma poi sono arrivata a New York e ho sentito che l’ambiente arte era un po’ troppo aggressivo e commerciale, mentre ho scoperto che mi piaceva molto e mi appassionava il rapporto con designer e artisti di questo tipo: così ho deciso di tornare al design.

Perché Miami è un punto di riferimento per il mondo del design?

Miami è una città giovane che si sta evolvendo, con una voglia incredibile di attrarre e sostenere la cultura. Penso che questo sia uno dei motivi. Per quanto mi riguarda, trasferirmi a Miami mi attraeva perché la percepivo come un luogo fresco e innovativo dove operare, che ti permette di essere parte della città, della sua crescita, dell'evoluzione del suo paesaggio: ed è stato davvero emozionante. New York è meravigliosa ma è molto strutturata, come se tutto fosse già stato, tutto è sovraffollato; mentre Miami ha quella freschezza, quel desiderio di definire la sua crescita, in cui l'arte e il design giocano un ruolo importante. Inoltre, a Miami ci sono molte persone ricche, che vivono nelle loro seconde o terze case solo pochi mesi all’anno, e sono grandi sostenitori dell’arte. Infine, c’è davvero tanto spazio per l’architettura con diversi nuovi progetti nel settore immobiliare. A mio parere questo è il motivo per cui Miami attrae molte nuove idee e scambi commerciali. Non direi che Miami è storicamente una capitale del design: moltissimo è acceduto e accade a Londra, Parigi e in altre città che hanno una lunga tradizione con il design. Ma Miami gioca il suo ruolo e fa un ottimo lavoro.

L'Italia è da sempre universalmente riconosciuta come uno dei paesi più fertili per la creatività e l'innovazione, che sono parte fondamentale del mondo del design d’interni. Secondo te, qual è il motivo? Se ti chiediamo un nome che incarna questo concetto, chi ti viene in mente?

La storia del design italiano è incredibilmente ricca e stimolante. Molte sono le cose che gli italiani hanno creato e progettato andando incontro al modo di vivere quotidiano delle persone. Il design riguarda la gente e le sue abitudini, e quindi deve essere usato ed apprezzato sempre, sia che si tratti di un oggetto molto funzionale come pure di uno molto bello. Ci sono stati molti designer italiani che hanno avuto un incredibile talento nell’abbinare la loro visione con la sensibilità verso i bisogni e piaceri umani, e credo che l’Italia resti molto brava nel farlo, siamo molto in contatto con la vita di tutti i giorni. Per esempio, Giò Ponti è stato un maestro a 360 gradi: poteva progettare una chiesa come pure un cucchiaio, un tavolo come pure l’interno di un edificio per uffici; ha dato vita a Domus Magazine, una delle più importanti riviste dedicate al design, quindi era davvero un pensatore universale, un uomo che aveva grande gusto e anche grande sensibilità. Aveva anche un fantastico senso dell’umorismo, non si prendeva mai troppo sul serio, sebbene fosse un uomo di accademia e anche molto esperto: ma sempre molto vivace; in un certo senso, molto italiano. Quindi penso che Giò Ponti abbia segnato il mondo del design a livello internazionale: e poi ci sono molte aziende italiane che mostrano grande leadership e continuano ad attrarre designer internazionali per venire a produrre le cose in Italia, perché in Italia capiamo come devono essere fatte le cose, capiamo l’importanza della qualità dei materiali nelle cose che vengono progettate e poi prodotte. Ogni progettista sa che in Italia abbiamo una grande attenzione ai dettagli, e c’è eleganza coniugata con grande passione per quello che facciamo: è qualcosa che sta diventando sempre più rara.

Siamo ancora leader nel settore del design, o abbiamo perso questo primato?

Pochi giorni fa ero qui a New York con Piero Gandini, che è a capo di una società chiamata Floss: fanno oggetti di illuminazione, e sono davvero al top in questo settore. Piero è un uomo che ha una grande sensibilità, guida una società di grande successo ma si confronta ancora con i progettisti, con i quali si incontra per discutere il loro stile e quale sia la sua idea del prodotto, lavorando insieme a loro: è cosa molto rara. Abbiamo ancora grandi aziende di successo ma ancora guidate da persone che non si sono trasformate nel modello di strutturata compagnia senza un’anima. Questo è un enorme vantaggio, e io ammiro molto questi leader: il tipo di design mi occupo non è esattamente quello industriale, ma a me piace e tra le migliori aziende di design c’è molta Italia. Detto questo, oggi vedo una crisi di creatività in Italia. Di solito la ragione di una crisi risiede nelle radici: penso che la scuola e l’istruzione siano fondamentalmente ciò che crea il terreno per il design, l’arte, la letteratura, l’animazione. Mi sembra che ora le scuole stiano preparando i designer per andare dritti verso l’industria: quando guardo il loro portfolio, molti giovani designer italiani ora tendono a fare cose abbastanza commerciali. Non che ci sia nulla di male, questo è meraviglioso, ma non sono incentivati a sperimentare. Forse è solo un momento in cui l’Italia non è al top della sua creatività, ma oggi io vedo raramente qualcuno che sia ispirato a lasciare un segno o a ripensare le cose in modo nuovo. So che si tratta di una grande generalizzazione, ma è una tendenza che sento: se devo fare una lista dei dieci giovani designer più promettenti al mondo, in questo momento tra di essi non c’è un italiano a mio avviso. Mi chiedo perché: penso che siamo molto bravi in tanti modi, incredibilmente creativi e abituati ad innovare e a fare le cose diversamente. Probabilmente oggi ognuno è spinto a cercare qualche certezza in più rispetto a prima, e ad osare di meno.

Certo, se sei un giovane e appassionato innovatore nell’Italia di questi tempi, sei molto probabilmente un outsider, o almeno è così che il sistema ti fa sentire.

Sì sono d’accordo: non si ha il supporto, si incontra un ambiente ostile, purtroppo, è per questo che siamo un po’ paralizzati. Ma sono molto fiduciosa che l’Italia verrà fuori da tutto ciò, e forse a volte le cose devono andare davvero male prima di arrivare ad andare davvero bene: e poi l’andamento degli eventi è ciclico, non è costante.

Il tuo nuovo progetto si chiama L'ArcoBaleno, in breve divenuto uno dei principali portali web internazionali, tra quelli dedicati al design. Di cosa si tratta?

L’ArcoBaleno è insieme un magazine e un marketplace per il design. È un progetto molto indirizzato verso l’editoria, quindi ci sono articoli che raccontano tendenze, designer, eventi: tutto ciò che riguarda il design. Io ho un blog dove descrivo cose interessanti che vedo e persone interessanti che incontro. Quindi è molto dedicato alla comunità internazionale del mondo del design: che cosa stanno facendo, ciò che viene discusso, i materiali che stanno usando. All’interno degli articoli si può cliccare e comprare pezzi descritti nelle storie che si stanno leggendo. È molto eclettico, abbiamo appena iniziato e ho sentito che era necessario farlo perché non c’era una piattaforma on-line per supportare in questo modo buoni contenuti relativi al design, e spero che diventeremo un punto di riferimento per i progettisti e per tutti coloro che vogliono conoscere il mondo del design. È semplice e intuitivo, così tutti possono scoprire e navigare in questo mondo e, auspicabilmente, imparare qualcosa circa la cultura del design. Mettiamo molto impegno nella scelta circa cosa scrivere, come selezionare i nostri argomenti. I pezzi che vendiamo sono piuttosto costosi, perché sono rari. Il comune denominatore di tutti questi pezzi, che si tratti di un cestino o di occhiali da sole o di un tavolo, è che queste cose sono speciali. Raccontiamo il processo di ideazione e di realizzazione o la persona che ne è protagonista, o il momento storico che definisce quest’opera, e mettiamo tutto nel contesto adatto a spiegare perché è importante l’oggetto di cui parliamo.

Qual è, storicamente, il rapporto tra la nostra produzione in questo settore e gli Stati Uniti? È corretto sostenere che anche il design abbia aiutato gli americani ad apprezzare l’Italia e gli italiani?

Sicuramente sì. Siamo leader nel mondo del design, e chiaramente per gli italiani il mercato americano è stato ed è di vitale importanza e, naturalmente, molto redditizio. C’è molto lavoro da fare, e quindi molte aziende italiane hanno sede qui, negli Stati Uniti: i principali studi di interior design, società di design industriale che vendono mobili e illuminazione, ed altri. Quindi nel mondo del design c’è un dialogo molto positivo e molto forte tra Italia e Stati Uniti: il design è un potente ponte che favorisce fortemente lo scambio di merci e di cultura tra i due paesi. Quando gli italiani emigrarono negli Stati Uniti erano in cerca di fortuna, e questo continua ancora oggi, anche se si viaggia in modi e con condizioni differenti. L’America è ancora la terra delle opportunità, dove le idee diventano realtà: la mia storia ne è la conferma, in Italia non avrei potuto certo immaginare di dare vita a 23 anni ad una fiera così importante come design Miami/. Quei pionieri che sono venuti qui con niente portarono con sé qualcosa di immateriale: la loro abitudine al duro lavoro, un grande talento verso la manualità, la loro passione e la loro esperienza nel rendere incredibilmente produttivo il lavoro delle proprie mani e delle proprie braccia. Questo li aiutò quando arrivarono, e dopo alcuni anni gli americani iniziarono a riconoscere che da quelle mani non veniva e non sarebbe potuto venire solo l’umile lavoro urbano e poco retribuito, ma anche la produzione di oggetti innovativi, belli e funzionali: questo riconoscimento ha permesso agli americani di apprezzare e meglio considerare le successive generazioni di italiani negli Stati Uniti. Ad esempio, gli architetti italiani hanno avuto un ruolo importante in tutto ciò: hanno progettato molto arredamento, spesso interi ambienti appositamente richiesti dai clienti, a volte interi edifici. Lo stile e la qualità trasmessi dalla loro arte era molto attraente per gli americani ed è diventato un simbolo positivo del modo italiano di fare le cose. L’America ha iniziato ad importare oggetti dall’Italia, gli americani volevano possedere cose fatte in Italia per cercare di replicare lo stile di vita italiano. Facoltosi americani volevano i migliori architetti per costruire e decorare le loro case: e i migliori erano italiani. L’America si innamorò della fantasia e della giocosa allegria italiana, che è una cosa che in genere gli americani non hanno più di tanto. Un buon esempio di questa creatività italiana è stato Ettore Sottsass e il Gruppo Memphis: negli anni ‘80 sono venuti alla ribalta con queste idee selvagge e colorate, con opere forti e inaspettate che non erano funzionali ma hanno rappresentato un “joie de vivre” che non si poteva non volere nelle proprie case. Questo è quello che ci manca oggi, per me: in questo momento i giovani designer italiani non hanno quella spontaneità, quella forza, quella esuberanza per lasciare un segno e fare le cose diversamente.

Per finire, ti chiediamo di svelarci qualche futura eccellenza italiana che a tuo avviso costituirà, nel tuo settore di esperienza, motivo di orgoglio per il nostro Paese.

I nostri più importanti designer sono ormai non più giovani, ma sì, ci sono talentuosi nuovi designer italiani. Martino Gamper è il primo che mi viene in mente: vive e lavora a Londra, è molto promettente. Massimiliano Adami è un altro nome che può diventare molto importante. Poi c’è una ragazza che sta lavorando insieme a me, Carolina Melis: lei viene dalla Sardegna, e fa bellissimi tappeti con un grande senso di immaginazione e lavorando con tessitrici di grande talento, donne che usano tradizionali modi di tessitura che si sono tramandati per generazioni.


di Umberto Mucci