Accordo atomico con Iran, c’è poco da ridere

sabato 9 novembre 2013


I negoziati sul nucleare fra l’Iran e il gruppo di contatto del 5+1 (i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu + la Germania) sono e restano segreti. Tuttavia si intravvedono alcuni segnali di cambiamento rispetto ai round precedenti. Prima di tutto, abbiamo già un comunicato congiunto fra l’agenzia atomica iraniana e quella internazionale (Aiea) in cui si sottolineano “progressi”.

Nelle precedenti 11 edizioni non era stato detto o scritto nulla di simile. In cosa potrebbe consistere un accordo sul nucleare iraniano? In primo luogo, è la comunità internazionale ad aver abbassato l’asticella delle aspettative. Infatti non si chiede più di eliminare il processo industriale di produzione di uranio arricchito, ma solo di ridurne la portata e aprire i siti nucleari a ispezioni internazionali. In cambio, l’Iran otterrebbe un alleggerimento delle sanzioni, indispensabile per la sua sopravvivenza economica dopo anni di braccio di ferro e crisi. Raggiungere un accordo avvicinerebbe il momento in cui l’Iran avrà una sua bomba atomica.

Nonostante le sanzioni, il sabotaggio informatico e la guerra segreta contro gli scienziati nucleari iraniani (alcuni dei quali sono stati assassinati negli anni scorsi), le agenzie di intelligence statunitensi e israeliane sono concordi nel sostenere che Teheran abbia fatto progressi e che un test nucleare possa essere compiuto nei prossimi anni, o addirittura nei prossimi mesi. Il think tank statunitense Isis prevede la sua realizzazione in pochissimo tempo: il regime iraniano sarebbe già nelle condizioni di arricchire abbastanza uranio da armare il suo primo ordigno, entro un mese e non di più. Ovviamente dalla produzione industriale dell’uranio arricchito alla costruzione del primo ordigno passerà altro tempo.

Tuttora non conosciamo lo stato di avanzamento dei lavori e della ricerca sulle armi atomiche in Iran. Ma l’impressione della comunità di intelligence è che ormai si sia molto vicini al momento in cui Teheran potrà dichiararsi una potenza nucleare, eseguendo un suo primo test. L’ammorbidimento delle relazioni fra l’Iran e il gruppo di contatto, dunque, si spiegherebbe non solo con il mutato atteggiamento della leadership iraniana dopo l’elezione di Hassan Rouhani, il nuovo presidente, ufficialmente moderato, apparentemente disponibile al dialogo. Ma anche con l’idea che, ormai, tutto sommato, non ci sia più molto da fare: “L’Iran è nucleare, fattene una ragione”. Se questa impressione è corretta, se quella del gruppo di contatto è una rinuncia più che una trattativa costruttiva, dobbiamo attenderci reazioni scomposte da parte di chi, sul nucleare iraniano, non può assolutamente farsene una ragione.

Di solito si pensa a Israele, che si sente ancor più minacciato. Ma non si deve dimenticare l’Arabia Saudita. Secondo l’esperto statunitense di politica mediorientale Simon Henderson (The Washington Institute), l’Arabia Saudita sta seriamente pensando di comprarsi la sua bomba atomica. Non deve neppure attendere il lungo, decennale, processo di costruzione di una filiera di produzione nucleare: Riyadh è il principale sponsor dell’arma nucleare pakistana e non dovrebbe far altro che rilevare ordigni (già costruiti e, di fatto, già pagati) dal governo del Pakistan. Un paper prodotto dal governo saudita e trapelato alla stampa rivela tre possibili sviluppi: il primo, appunto, è l’acquisizione di armi nucleari dal Pakistan; il secondo è l’alleanza dell’Arabia Saudita con una potenza nucleare (Stati Uniti, quasi certamente) che estenda il proprio ombrello atomico sul suo territorio; la terza è la costituzione di una “area non-nucleare” estesa al Medio Oriente e al Golfo.

Armi atomiche saudite darebbero il via a una nuova mini Guerra Fredda nel Golfo, fra la Repubblica Islamica e la monarchia araba e determinerebbero la fine dell’influenza statunitense nella regione. Sarebbe infatti incerta la presenza di basi convenzionali dell’aviazione e della marina degli Usa sul territorio di emirati del Golfo, o nella stessa Arabia Saudita, se Riyadh dovesse possedere un proprio arsenale autonomo e completamente fuori dal controllo di Washington. La seconda ipotesi (ombrello nucleare Usa) di fatto c’è già, ma non è formalizzato con un trattato di mutua difesa nucleare, paragonabile all’articolo 5 della Nato. Nel caso dovesse essere istituita formalmente un’alleanza di questo genere, saremmo comunque in uno scenario da grande Guerra Fredda, con il Golfo Persico quale nuova linea di faglia, gli Usa sulla riva occidentale e la Russia (protettrice dell’Iran) su quella orientale.

Con gli Stati Uniti direttamente impegnati nella protezione nucleare dell’Arabia Saudita, verrebbe isolato anche Israele, la cui legittimità non è mai stata riconosciuta da Riyadh. Il terzo, possibile, corso d’azione, quello che prevede l’istituzione di un’area denuclearizzata grande quanto tutto il Medio Oriente, diventa impossibile proprio a causa di Israele. Lo Stato ebraico, infatti, dipende, nella sua sicurezza, proprio dalla sua ambigua politica nucleare: ha la bomba, tutti lo sanno, ma non la dichiara. Con un trattato di disarmo nucleare generalizzato, questa politica entrerebbe in crisi. Se Gerusalemme ammettesse di avere la bomba, dovrebbe disfarsene e rimanere indifeso. Se non l’ammettesse, si dichiarerebbe indifeso e potrebbe essere invaso dai suoi turbolenti vicini.


di Stefano Magni