Spionaggio del 1983, l'incidente del K324

sabato 26 ottobre 2013


Tempo di spionaggio e sfiducia? Non lamentiamoci. In tempi recenti abbiamo vissuto episodi di guerra segreta molto più pericolosi. Esattamente trent’anni fa iniziava nell’Atlantico centrale una crisi sottomarina che pare uscire dalla trama di un romanzo di Tom Clancy.

Ma che ha la spiacevole caratteristica di essere reale. Il sottomarino sovietico protagonista di questa vicenda non è il gigantesco e fantascientifico (per allora) Ottobre Rosso, ma il più piccolo e veloce K 324, un sommergibile nucleare d’attacco, con compiti di caccia e scorta atlantica. Come tutte le unità subacquee in servizio nella flotta sovietica, era armato e pronto all’azione, con siluri e missili sia a testata convenzionale che nucleare. Nell’autunno del 1983, il K 324 era appena stato trasferito dalla Flotta del Pacifico alla Flotta del Nord.

Aveva compiuto migliaia di km sotto i ghiacci polari, cercando di eludere (senza riuscirci del tutto) i centri di ascolto e le unità anti-sommergibili statunitensi, che gli davano la caccia. Non perché avessero il K 324 particolarmente a cuore, ma perché era loro compito seguire e tenere sotto tiro ogni unità sovietica che fosse uscita in mare. Nell’ottobre del 1983, il K 324 ebbe l’ordine dal comando della Flotta del Nord di andare a tallonare un nuovo sottomarino lanciamissili statunitense, lo Uss Florida, terzo battello della potente classe Ohio (che tuttora costituisce la base del deterrente nucleare navale degli Stati Uniti).

I sovietici volevano raccogliere più informazioni possibili sul sottomarino nemico e l’unico modo per farlo era seguirlo con un altro sottomarino, per registrarne la traccia elettronica e, possibilmente, fotografarlo (attraverso il periscopio immerso). Per poterlo tallonare, la tattica migliore era quella di precederne l’uscita in mare, posizionandosi a poche decine di miglia dalla base navale statunitense di Jacksonville. Mentre in superficie era tempesta, cento metri sotto il K 324 giunse alla sua posizione di caccia, mettendosi in ascolto e attendendo ordini.

Quando il capitano Vadim Teryohin ricevette le coordinate e il giorno previsto di uscita del sottomarino nemico, ordinò un cambio di rotta. I sonar passivi della sua nave segnalavano nient’altro che pescherecci in superficie. Nessuno, lì sotto, si aspettava che gli americani fossero a poche centinaia di metri da loro e li stessero tenendo sott’orecchio con un sonar trainato di nuovissima generazione. Quando il K 324 virò, incrociò per errore la rotta della fregata statunitense Mc Cloy e tranciò di netto il cavo del suo nuovo sonar.

Come racconta 30 anni dopo Teryohin, l’urto colse tutti di sorpresa e ci vollero ore prima di capire che cosa fosse successo. Dovette arrivare a quota periscopio per capire che c’era un cavo attorcigliato alla coda e all’elica. In una seconda immersione, il K 324 rischiò di andare a fondo con tutto l’equipaggio. Solo a 140 metri di profondità, ai limiti della resistenza del suo scafo, il capitano riuscì miracolosamente a stabilizzarlo e a riemergere. Dovette ritornare alla superficie. In balia delle onde. E soprattutto degli americani, che non ci misero molto a individuare il battello nemico così vicino alle loro coste.

In un periodo di massima tensione come quello, un sottomarino sovietico a 40 miglia da un porto americano non era affatto una cosa da nulla. Il 1 settembre 1983 i sovietici avevano abbattuto un aereo civile sudcoreano, il Kal 007, che aveva commesso l’errore di violare lo spazio aereo dell’Urss. Da lì in avanti la tensione non aveva fatto altro che crescere. Usa e Urss, a metà settembre, avevano interrotto le trattative sullo schieramento degli euromissili. I sovietici richiamarono tutti i loro studenti all’estero, per “proteggere la loro incolumità”. Il 5 ottobre, quando fu annunciata l’assegnazione del Nobel per la Pace a Lech Walesa, i sovietici lo presero come un atto di guerra.

La tensione era già altissima il 25 ottobre, quando gli Usa, senza alcun preavviso, invasero l’isola di Grenada, governata da un regime filo-cubano, protetto anche dall’Urss. Proprio in quel giorno, un incidente avrebbe fatto scoppiare un putiferio. E, puntualmente, il putiferio scoppiò. Il 26 gli americani individuarono il K 324 e mobilitarono due cacciatorpediniere per intercettarlo. Non solo era un sottomarino nemico, ma aveva anche “rubato” il più moderno sonar trainato della marina degli Stati Uniti. Che doveva essere recuperato a tutti i costi.

I sovietici, che avevano mandato anch’essi due navi a salvare il loro sottomarino in difficoltà, erano molto più lontani. Gli americani arrivarono per primi. Dal 27 iniziò un braccio di ferro incredibile. Gli Usa si offrirono di rimorchiare il sottomarino. Teryohin, che se avesse accettato sarebbe stato accusato di diserzione e aveva armi nucleari a bordo, dovette rifiutare con decisione. Per tutta la settimana, i due caccia statunitensi, nonostante la tempesta che non accennava a finire, continuarono a eseguire manovre pericolose per cercare di avvicinarsi al sottomarino e riprendesi il sonar, con ganci e arpioni.

Non ce la fecero mai. Finché non decisero di passare ai metodi più duri, segnalando che avrebbero mandato una squadra di abbordaggio a bordo del K 324 per recuperare il loro prezioso apparecchio elettronico. Il 7 novembre, elicotteri americani con uomini-rana a bordo, eseguirono manovre dimostrative sopra il sottomarino, per far capire che la minaccia era concreta. In una drammatica riunione di ufficiali, Teryohin decise che non avrebbe consentito un abbordaggio. Un sottomarino è territorio nazionale sovietico. L’equipaggio avrebbe dovuto reagire con le armi. Il 7 novembre, all’insaputa degli equipaggi statunitensi e sovietici, la tensione in Europa era allo zenit.

I sovietici si erano convinti che un’esercitazione particolarmente realistica della Nato, la Able Archer 83, fosse una copertura per mascherare un attacco nucleare a sorpresa contro il Patto di Varsavia. Le forze dell’esercito e della marina sovietica erano già parzialmente mobilitate. Gli agenti infiltrati nei Paesi della Nato erano interrogati con messaggi urgenti per sapere quali fossero le reali intenzioni del nemico. Proprio in mezzo a tutta questa tensione, nel Mar dei Sargassi, sovietici e americani potevano arrivare a spararsi.

Quando una scintilla qualunque avrebbe potuto appiccare un incendio incontrollabile. Fortunatamente per noi, nessuno sparò. Gli americani non abbordarono il K 324, i sovietici non ebbero bisogno di reagire. La crisi si sgonfiò rapidamente nei giorni successivi, quando arrivarono i soccorsi sovietici. Benché i caccia statunitensi abbiano ostacolato il recupero (anche sparando sul cavo di rimorchio per ben due volte, stando alla testimonianza di Teryohin), il K 324 fu rimorchiato fino a Cuba, dove venne riparato. Della fine che fece il prezioso sonar, trafugato per errore, ci sono ancora versioni differenti e contraddittorie.

Secondo la ricostruzione statunitense, fu recuperato, anche qui inconsapevolmente, in una seconda collisione fra un sottomarino d’attacco americano con il K 324, mentre quest’ultimo veniva rimorchiato a Cuba. Secondo la versione di Teryohin, la “preda” elettronica fu smontata a Cuba e trasferita in Urss. Non è quello l’aspetto importante. Sul piano storico, l’incidente del K 324 è l’ennesima dimostrazione di quanto fosse fragile l’equilibrio fra i due blocchi e di quanto fosse facile un incidente militare di grandi dimensioni, abbastanza grave da causare un conflitto. Soprattutto se capitava nel momento sbagliato, come il tesissimo autunno del 1983. Un periodo che non possiamo rimpiangere.


di Stefano Magni