L’illusione di un Iran moderato

giovedì 26 settembre 2013


C’era da immaginarselo. Il nuovo presidente dell’Iran, Hassan Rohani, ha strappato col passato. Ha cambiato la retorica di regime rispetto al periodo Ahmadinejad. All’Onu, all’apertura dell’Assemblea Generale, ha condannato pubblicamente l’Olocausto (dopo 68 anni…) definendolo “un crimine contro gli ebrei”. Lo aveva già detto durante un’intervista, una volta giunto a New York. Inoltre ha ribadito il concetto che l’Iran “non ha bisogno” dell’arma atomica per garantire la propria sicurezza.

Quindi, una volta lanciato questo sasso pacifista, ci si attende anche un cambio di rotta della politica estera iraniana. Quel che la comunità internazionale ha sempre chiesto ad Ahmadinejad, è un impegno chiaro: energia atomica solo civile e verificabile, quindi niente produzione di uranio arricchito adatto alla costruzione di testate. Quel che Israele spera, poi, è la fine del sostegno iraniano dato a Hezbollah e Hamas in Medio Oriente. Le parole di Rohani sono il preludio a questo cambiamento epocale? Ci sono almeno tre motivi per pensare che non lo siano. E forse non ha tutti i torti il premier israeliano Benjamin Netanyahu, quando commenta: «(quello di Rohani, ndr) È stato un intervento cinico pieno di ipocrisia.

 Non c’è nessun suggerimento pratico per fermare il programma militare nucleare dell’Iran e nessun impegno per rispettare le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. È esattamente il piano iraniano, parlare e guadagnare tempo per migliorare le capacità dell’Iran per ottenere le armi nucleari oggi il governo ha reagito alla marcia indietro sull’Olocausto dichiarandosi comunque insoddisfatto». Un primo, immediato, motivo per essere scettici è suggerito dall’ultima dichiarazione di Rohani in merito al programma atomico: «L’Occidente deve riconoscere tutti i diritti della nazione iraniana, inclusi quelli al nucleare e all'arricchimento dell’uranio sul suo territorio nel quadro delle regole internazionali».

A cosa serve l’arricchimento dell’uranio, se non al completamento del programma militare? L’obiettivo è sempre lo stesso e lo si può dedurre anche dallo sviluppo dei missili balistici che, in futuro, saranno in grado di portare anche testate atomiche. Gli ultimi razzi presentati alla parata militare dello scorso 22 settembre, possono colpire tutti gli obiettivi in Israele, avendo una gittata superiore ai 2000 km. Il nuovo presidente, benché condanni l’Olocausto quale “crimine contro gli ebrei” è stato comunque subito pronto a definire Israele, lo Stato ebraico, come “una ferita da mondare” (probabilmente, anche con i missili). Lo ha detto appena un mese e mezzo fa. Un secondo motivo per essere scettici è dato dalla “titolarità” del programma atomico.

Proprio come Ahmadinejad non andava temuto fino al panico, Rohani non può essere elogiato fino all’entusiasmo, perché il presidente dell’Iran non ha potere sulla questione atomica. L’unico che prende decisioni in merito è la Guida Suprema, l’ayatollah Alì Khamenei. Il presidente si occupa, prevalentemente, di politica interna ed economica. È la Guida Suprema, invece, che decide sulle fondamentali questioni dell’atomica e dell’appoggio a Hezbollah. È sempre la Guida Suprema ad avere il comando della Guardia Rivoluzionaria, la lunga mano del regime iraniano in patria e all’estero.

 Terzo motivo per essere scettici: la Repubblica Islamica dell’Iran, rinunciando alla sua politica anti-israeliana, perderebbe ogni ragione di essere. Fallita l’esportazione della rivoluzione sciita in un mondo islamico a maggioranza sunnita, l’unico collante che l’Iran può sperare di usare, per raccogliere attorno a sé le altre nazioni musulmane, è proprio il comune odio contro “l’entità sionista”. Persa questa giustificazione, chi terrebbe più in piedi la Repubblica Islamica?


di Stefano Magni