Kenya: i terroristi venuti dall'Occidente

mercoledì 25 settembre 2013


Le forze speciali keniote hanno completato la liberazione del centro commerciale Westgate di Nairobi, dopo quasi tre giorni di battaglia contro le milizie Shebaab (somali, legati ad Al Qaeda) che lo avevano sequestrato. La peggior brutta sorpresa in questa drammatica vicenda è l’aver trovato, fra i terroristi, quattro jihadisti occidentali. Si tratta di una donna inglese e di due o tre (i rapporti sono ancora imprecisi, in merito) giovani uomini americani. Gli altri terroristi, stando al primo rapporto dal Kenya, sono quasi tutti arabi.

Benché basati in Somalia, gli Shebaab sono raramente guerriglieri locali. Il primo problema che le democrazie occidentali devono affrontare è proprio quello dello “home grown terrorism”, il terrorismo nato in casa. In Afghanistan, nel 2001, gli americani catturarono John Walker Lindh, volontario statunitense che combatteva dalla parte dei Talebani. Sembrava un caso più unico che raro e gli americani si divisero fra chi lo voleva trattare da prigioniero di guerra e chi, invece, ne chiedeva la condanna a morte per tradimento.

Alla fine venne condannato all’ergastolo, colpevole di dieci reati, fra cui cospirazione contro gli Stati Uniti e i cittadini americani. L’ultimo caso (in ordine di tempo) di “home grown terrorism” è quello dei fratelli Tsarnaev, americani d’adozione, di origine cecena. Cresciuti ed istruiti in scuole e università americane, sono loro gli autori della strage alla Maratona di Boston.

Ma non si può dimenticare Anwar al Awlaki, l’imam americano di origine yemenita che, tornato nella terra dei suoi parenti è diventato (o si è rivelato essere già) uno dei più carismatici leader di Al Qaeda. Awlaki si è rivelato un vero flagello per gli Stati Uniti. Fu lui l’ispiratore ideologico di Nidal Hasan (altro caso di homegrown terrorism), l’ufficiale e psichiatra dell’esercito degli Stati Uniti che assassinò 13 commilitoni a Fort Hood per “vendicare” i musulmani uccisi in Afghanistan.

Fu sempre Awlaki implicato nell’organizzazione del fallito attentato del Natale 2009: un aereo civile avrebbe dovuto esplodere sui cieli di Detroit. Ucciso in un raid aereo, Awlaki è uno dei due leader terroristi statunitensi uccisi in azione dalle forze armate statunitensi. L’altro era Abu Mansur “Al Amriki” (l’americano), uno dei leader degli Shebaab somali, appunto, la stessa milizia che ha condotto l’assalto al Westgate di Nairobi. Anche la presenza di una donna di nazionalità britannica stupisce fino a un certo punto. Non stupisce il genere: benché sia il più maschilista dei totalitarismi, il fondamentalismo islamico di Al Qaeda.

Altre donne di nazionalità britannica sono state individuate in Siria, dove combattono nei ranghi di Al Nusra, l’esercito insurrezionale islamico legato alla rete qaedista. Il fenomeno è considerato abbastanza diffuso da creare, nel Regno Unito, contromisure speciali: donne poliziotto sono addestrate per individuare bombe nascoste nei vestiti o anche nel corpo di cittadine britanniche trasformate in terroriste suicide.

 I servizi britannici temono che Al Qaeda usi una donna (meno sospettabile) per un prossimo attentato, probabilmente contro un aeroporto internazionale. Non stupisce neppure che le volontarie jihadiste siano di nazionalità britannica: il Regno Unito sta diventando una delle maggiori fucine di terroristi, uno dei maggiori esportatori di terroristi e miliziani in Siria, nonché uno dei principali centri della predicazione all’odio religioso.


di Stefano Magni