Usa, una legge contro i falsi affamati

sabato 21 settembre 2013


Stati Uniti, la Camera ha votato a maggioranza per eliminare i buoni alimentari. Con una votazione di 217 a 200, i Repubblicani cercano di far passare uno dei loro più simbolici cavalli di battaglia. Anche in campagna elettorale, più di un candidato (fra cui Newt Gingrich) aveva definito ironicamente la visione di Obama come “la nazione fondata sui buoni pasto”.

Contrapposta ad una visione di un’America fondata sulla libertà, sull’iniziativa individuale e sulla ricerca della felicità. L’immagine del “parassita” che non lavora, si droga, picchia la moglie e va a scroccare un pasto gratis a spese del contribuente, è l’incubo di ogni conservatore (e di ogni americano che si rispetti). Varata in un momento di timida ripresa, tuttavia, la legge votata dai conservatori viene intesa come un atto di gratuita crudeltà. E rischia di tramutarsi in un boomerang di immagine. Dopo la crisi, il 15% degli americani è arrivato alla soglia della povertà. La società statunitense, molto più libera e ricca di opportunità rispetto alle ingessate economie europee, dà sicuramente maggiori chance di prendere l’ascensore sociale e uscire di nuovo dallo stato di miseria.

 Ma molti americani, che fino a poco fa lavoravano e si potevano pagare casa, macchina e tre pasti al giorno, hanno ora bisogno di un buono alimentare per potersi permettere un minimo di sussistenza. Barack Obama ha perfettamente compreso l’impopolarità latente della proposta conservatrice e ha subito messo sul piatto tutto il suo peso presidenziale. Ha infatti annunciato che, se mai la legge dovesse passare al Senato, porrebbe il suo veto.

 I maligni pensano allora che quella repubblicana sia solo una tattica per creare caos e sovraccaricare di impegni la Casa Bianca, ritardando i lavori su altre leggi. In sintesi: una nuova manovra di ostruzionismo, indipendentemente dal contenuto (buono o brutto che sia) della legge proposta. Ma è veramente solo ostruzionismo? Stiamo parlando realmente di una legge che è solo crudeltà, votata con l’unico scopo di ritardare i lavori del Congresso? Non proprio. La revoca dei buoni alimentari ha il suo perché. Prima di tutto, in un periodo di tagli necessari, porta a un risparmio di 4 miliardi di dollari all’anno.

A parte il valore simbolico (punire una classe di americani che campa alle spalle degli altri e incentivare l’uscita dalla povertà tramite l’iniziativa individuale), la revoca dei buoni alimentari statali non si traduce in: privare i poveri del cibo. Non esiste quel “let them starve” (lasciateli morire di fame) attribuito ai conservatori dai critici progressisti. Togliere l’assistenza statale, vuol dire trasferirla agli enti locali e alle società di volontariato.

 Che negli Usa, contrariamente all’Europa, sono realtà forti, strutturate, ricche e piene di iniziative. Gli stati che compongono la federazione, una volta passata (e se dovesse passare) la nuova legge, avrebbero vincoli maggiori prima di fornire ai richiedenti i loro aiuti alimentari. Dovrebbero sottoporli ai test di droga. Dovrebbero limitare gli aiuti per gli adulti abili e in età da lavoro e senza persone a carico, che possono benissimo mantenersi da soli: essi non verrebbero del tutto privati degli aiuti, ma li riceverebbero solo per il tempo necessario a trovarsi un altro impiego.

O a trovare, comunque, una possibilità, di tornare a pagarsi i pasti da soli. Quindi, al di là della retorica progressista, i conservatori non vogliono affamare nessuno. Vogliono solo evitare che troppa gente vada a scrocco. Nella patria dei falsi invalidi, quale è la nostra, potremmo anche prendere esempio. Invece preferiamo aumentare l’Iva pur di mantenere un numero indefinito di scrocconi.


di Stefano Magni