Corea del Nord, l’inferno dei gulag

venerdì 20 settembre 2013


Un’altra scoperta dell’acqua calda da parte dell’Onu: in Corea del Nord c’è ancora un arcipelago di gulag, come nell’Urss ai tempi di Stalin. Stupisce il fatto che la Corea del Nord li abbia … dai tempi di Stalin. Perché fu il dittatore sovietico a creare nella Corea occupata dalla sue truppe, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, un regime fotocopia del suo, governato da un agente coreano del Nkvd (antenata del Kgb), Kim Il Sung, con gli stessi identici metodi repressivi e di sterminio contro i “nemici di classe”.

 I gulag nordcoreani sono un problema che risale al 1945. Sono passati in consegna al regime locale nel 1948. E si scoprono solo adesso? L’Onu, su iniziativa della Commissione per i Diritti Umani, ha istituito una Commissione di inchiesta nel marzo scorso (2013) ed ha iniziato a raccogliere testimonianze terribili, degne dei racconti degli internati scampati ai lager nazisti. «Hanno subito atrocità – si legge nel primo rapporto della Commissione - che a volte non possiamo neanche descrivere. Alcuni di loro, a causa della “trasmissione di colpevolezza” predicata da Pyongyang, hanno sofferto fame e violenza sin dalla nascita». I figli degli internati, non sempre riescono a vivere più di un giorno nei campi di concentramento e sterminio.

Una delle testimoni ha raccontato di come è stata costretta ad affogare il figlio, neonato, di una compagna di campo che aveva appena partorito. Un altro uomo, nato nel gulag, ha dovuto assistere alla fucilazione di madre e fratello. Questi orrori sono già noti, a chi li vuole leggere. In passato, altri internati, una volta liberati, sono riusciti a fuggire in Corea del Sud, dove hanno scritto memorie sulla loro prigionia (come nel caso di Kang Chol Hwan, autore de “L’ultimo gulag”) o comunque hanno potuto raccontare ai giornalisti quel che avevano vissuto. Lascia esterrefatti il gran numero di prigionieri cresciuti, o anche nati in cattività.

La legge nordcoreana, copiata anche qui da quella dell’Urss staliniana, prevede la punizione dei parenti del colpevole, fino al terzo grado. Già la “colpa” è un qualcosa di vago, arbitrario, deciso dalle autorità del Partito unico al potere in Corea del Nord. Una parola sbagliata, anche se pronunciata entro le mura domestiche (in tanti sono controllati con le microspie) può portare a una condanna all’inferno del gulag. Non solo per il colpevole, ma anche per i suoi genitori, figli, zii, nipoti, cugini. Fino al terzo grado. “Esagerazioni” si pensa leggendo questi racconti. Eppure questa narrativa è comune a tutti gli scampati. C’è chi, anche in Italia, crede o teme di essere rapito dagli alieni.

In Corea del Nord e nei Paesi vicini è possibile: gli “alieni” giungono sotto forma di uomini-rana delle forze speciali nordcoreane, rapiscono civili, li portano nel loro regime per “riprogrammarli”. Uno di questi sfortunati, un sessantenne sudcoreano, pescatore, era stato prelevato quarant’anni fa. Non si sa cosa gli abbiano fatto in questo mezzo secolo di vita perduta. Le autorità sudcoreane lo hanno preso in consegna: temono che sia stato “riprogrammato” per diventare un terrorista o una spia, come il regime di Pyongyang ha fatto in altri casi.

 I malcapitati, colpevoli di una colpa decisa dal regime, parenti dei colpevoli, o rapiti dagli “alieni” nordcoreani, passano una vita di inferno. Nel gulag, il lavoro nei boschi, nei tunnel, nelle miniere, dura anche 18 ore al giorno. Le pause sono usate per la rieducazione politica, momenti in cui gli internati sono spinti all’autocritica o ad accusarsi a vicenda. Il cibo è talmente scarso che i prigionieri devono arrangiarsi a mangiare tutti gli animali o vegetali che trovano nel corso dei loro lunghissimi turni di lavoro forzato. La maggioranza non ce la fa. Gli “ancora meno fortunati”, come rivelano alcune testimonianze (anche di aguzzini che hanno disertato) devono sottoporsi a esperimenti medici e scientifici. I “Mengele” nordcoreani testano su di loro veleni e armi chimiche.

Eppure l’esistenza di questo inferno in terra non fa notizia, non interessa, non è al centro dell’agenda politica delle grandi potenze, che si svegliano sul caso Corea solo quando il dittatore di turno (Kim Il Sung prima, poi Kim Jong-il e adesso Kim Jong-un) sventola la minaccia delle armi atomiche. Che non lancia e difficilmente lancerà in futuro, perché nessun dittatore estremista, almeno finora, si è dimostrato un suicida. La Commissione Onu ha prodotto questo rapporto.

 Almeno da noi, dove c’è libertà di stampa, si parlerà per un po’ dei gulag nordcoreani. Non si andrà oltre. Ispettori delle Nazioni Unite non potranno mai entrare in Corea del Nord. Il regime di Pyongyang ha già dichiarato che le testimonianze raccolte sono frutto di “bugie pronunciate da spazzatura umana”. È già un’ammissione di colpa: un regime che considera i suoi dissidenti “spazzatura umana” li tratta di conseguenza. Gettandoli nella discarica dei suoi gulag.


di Stefano Magni