Liberare la Siria senza una guerra

giovedì 5 settembre 2013


Due milioni di profughi dalla Siria mentre il mondo sta a guardare e le diplomazie annaspano sfoderando bizantinismi autolesionisti! No alla guerra in Siria, sarebbe un gioco al massacro per l’intero pianeta.

Con la guerra preventivata da Obama perderemmo tutti, ma attenzione, stiamo perdendo sempre con il perdurare del terrorismo di stampo quaidista e con il sanguinoso regime di Baššār al-Asad. Tuttavia, bisogna ricercare con grande attenzione ogni soluzione che eviti i raid americani confidando nell’arma vincente che rimane la ricerca dello spirito d’unità dell’occidente. Va bene che gli Stati Uniti possono liquidare subito un nemico, ma possono ritrovarsi con l’opinione pubblica mondiale (anche quella americana) tutt’altro che favorevole. Ed è questa la chiave di lettura per capire la richiesta del voto del Congresso da parte di Obama.

A mio parere la questione Siria rimane ancora apertissima, anzi con il passare delle ore e dei giorni diventa sempre più complessa e incerta. La posta è ben altro che le presunte armi chimiche possedute dal regime di Damasco e la sorte personale di Baššār al-Asad. La sfida non riguarda solo il regime siriano, ma il controllo di un’area cruciale per il riassetto del Medio Oriente. In gioco ci sono soprattutto il ruolo degli Stati Uniti e le stesse fondamenta della coesione di un occidente sempre più dilaniato dalle singole supremazie nazionali.

Nemmeno tanti anni fa, la pace del mondo si reggeva sull’orribile ma funzionale equilibrio del terrore: Stati Uniti e Unione Sovietica erano in grado di infliggersi a vicenda l’olocausto nucleare, e la minaccia reciproca era il deterrente che rendeva indispensabile la pace. La fine della guerra fredda ha reso evidente un profondo cambiamento delle parti. La Russia di oggi, quella di Putin, che si oppone con tutte le forze all’atto di forza americano è un nano al confronto del gigante statunitense, che può permettersi un attacco anche senza il mandato delle Nazioni Unite (che tanto unite non sono).

La Casa Bianca non ha rivali, non ha concorrenti, può proiettare sul mondo un’egemonia globale. Eppure l’America ha paura e tanta debolezza. Il dolore dell’11 settembre, mai sopito, tiene svegli i demoni più inquietanti mettendo in dubbio la propria capacità di difendersi dal terrore globale. Il voto richiesto al Congresso da Barack Obama è il segnale che la ferita di Manhattan non è rimarginata e che il solo pensiero di ritenersi un bersaglio possibile, sul proprio territorio, è il volto di tutto l’Occidente.

Forza e debolezza, dunque al tempo stesso. Spinte apparentemente divergenti, ma, in effetti, parallele, che hanno portato la Casa Bianca ad essere attendista. Il concetto sembra voler dire: liberiamoci subito dell’affare Damasco, facciamola finita prima che attentino alla vera pace mondiale. La forza consente la solitudine: ed è questo il messaggio agli alleati, se state con noi, bene, altrimenti facciamo a meno delle vostre chiacchiere e andiamo avanti per conto nostro. Ha radici in tutto questo la smania unilaterastica di Washington, almeno potenziale, della presidenza Obama? Non è solo questo.

Questa valutazione degli Stati Uniti nasce da certi dati di fatto e da certe emozioni, però non è sempre condivisibile, tant’è vero che non ha trovato per ora attuazione. Dai Paesi europei era giusto attendersi che evitassero calcoli e protagonismi e si misurassero senza miserie nazionalistiche per l’abbattimento di un regime pericoloso, spalleggiato dalla soverchia integralista degli Āyatollāh di Teheran. Ora, ritengo giusto ricercare l’attualità del pericolo del regime di Damasco senza attendere il danno, ma altrettanto giusto ritengo trovare una exit strategy per superare la crisi attraverso la democratizzazione della Siria e la formazione di un corridoio umanitario per evitare al popolo siriano ancora tante atrocità. Credo che sia dovere di tutti favorire questa soluzione. Sono e rimango convinto che occorra uscire dagli schemi e dalle posizioni di parte e contribuire con la ragione alla ricerca di un’evoluzione positiva che eviterebbe la guerra, indebolirebbe ancora di più la linea del terrore e libererebbe la Siria dalla dittatura di Baššār al-Asad.


di Beppe Cipolla