Il rebus siriano e gli incroci della storia

martedì 3 settembre 2013


A volte negli incroci della Storia, quella con la S maiuscola, accadono cose destinatea cambiare inun senso, anziché in un altro, la vita di popoli, nazioni, talvolta dell’intera umanità. In questo periodo, tutti noi abitatori di queste, e di quelle, sponde del Mediterraneo stiamo vivendogiorni destinati a incidere nel nostro futuro. Ma proprio in momenti così delicati e decisivi fare delle scoperte, che magari non hanno alcun apparente nesso con gli eventi epocali a cui ci si prepara, viene intepretato come il manifestarsi di un segno, di un messaggio, che da un altro tempo, da un’altra dimensione giunga per comunicarci qualcosa, forse per insegnarci qualcosa. Sta soltanto a noi, alla nostra attitudine a “leggere oltre” in ciò che accade, decidere se accogliere quei segnali oppure lasciarli cadere nel vuoto.

In queste ore di massima tensione per la gestione della questione siriana arriva da Gerusalemme la notizia di un importante ritrovamento archeologico. Nel corso di scavi effettuati dalla Antiquity Authority Israeliana nel quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, è stata riportata alla luce una parte di un’ imponente struttura ospedaliera di origine Crociata, attiva tra l’anno 1099 e il 1291.La costruzione viene fatta risalire all’Ordine Ospitaliero dei Cavalieri di San Giovanni. Della sua esistenza si sapeva dalla documentazione storica in possesso degli studiosi. E, cosa più significativa, si conosceva la particolare qualità dei servizi che vi si erogavano, altissima considerando gli standard dell’epoca. Dunque, un ospedale grande e attrezzato per funzioni complesse, disposto su una superficie di circa 15000 metri quadri. L’abbandono della Terra Santa, da parte dei Crociati, ha determinato il progressivo decadimento della struttura, solo in parte riconvertita durante la dominazione ottomana in scuderie. Attualmente nell’ area del ritrovamento vi è un mercato ortofrutticolo. Il bene è di proprietà dell’ ente che gestisce il patrimonio regiosioso musulmano (il Waqf).

Ora, vi chiederete: cosa c’entra il ritrovamento archeologico con il bailamme che si sta scatenando in Siria? Tento di spiegarlo. In questi ultimi tempi chiunque abbia provato a “decodificare” la complicatissima situazione nella quale si sta gradatamente avviluppando l’intera regione mediorientale, ha dovuto fare i conti con un “canone ermeneutico” ricorrente: la tutela dei singoli interessi di tutte le partiin causa, nessuna esclusa.Per prima, e con una monumentale dose di ragioni per la propria sicurezza, è stata Israele a sostenere di avere i suoi interessi da tutelare rispetto all’escalation della guerra civile giunta nelle strade di Damasco.Di interessi diretti da mettere in campo per liquidare il regime di Al Assad ha parlato ilgoverno turco, pervoce del suo leader Recep Taypp Erdogan,a cui stanno a cuore le sorti dei suoi sodaliislamici che stanno combattendo in Siria non meno di quanto gli stiano a cuore le sorti di Leviathan, il mega giacimento di gas che si espande in mare proprio davanti alle coste di Israele,e in parte del Libano. Se Israele vuole sfruttare l’enormi risorse di Leviathan dovrà mettere in programma la costruzione di un gasdotto il quale sarà destinato presumibilmente a transitare per il suolo turco, riuscendo difficoltoso il collegamento diretto con la Grecia. Ne consegue che la Turchia devegarantirsi una stabilità nell’area per potere implementare le proprie partnership commerciali. Inoltre, le aree di confine turche con la Siria si stanno rapidamente popolando di sfollati che fuggono dalla guerra cercando riparo in suolo turco. In particolare, ciò che maggiormente preoccupa il governo di Ankara è l’assembramento che si sta addensando sui due versanti, quello siriano e quello turco, della regione del Kurdistan.

E’ toccato poialle dinastie del petrolio dell’Arabia Saudita e del Qatar, oggi di nuovo alleate per evidenti ragioni di convenienza, dichiarare i propri interessi nella partita. I sauditi, in particolare, stanno puntando a tirare nel conflitto, in funzione pro-sunnita e anti -sciita, l’antico sodale americano oggi piuttosto riottoso a giungere a una definitiva rottura con le autorità di Teheran. Ma i sauditi non intendono mollare perché giudicano la vicenda siriana una tappa decisiva del confronto- scontro a distanza con l’altra potenza regionale dell’area del Golfo Persico: l’Iran. Parli del diavolo…, l’Iran appunto. Tra tutti i players è quello che coltiva il maggior interesse a consolidare una posizione di leadership regionale, ancora prima di salire di livello qualificandosi come potenza nucleare. L’Iran sta mettendo a dura prova gli avversari nella dichiarata speranza di vedere riconosciuta la propria posizione di interlocutore privilegiato nella ridefizione degli equilibri nell’area, agitando la minaccia dell’allargamento del conflitto al nemico di sempre: Israele.C’è la Giordaniache, come interesse principale, deve garantire a se stessa l’impermeabilità rispetto alla valanga di conseguenze che le potrebbero derivare dal peggioramento dello stato di crisi siriano. Per questo motivo il governo giordano sta rafforzando gli apparati di difesa al confine con la Siria.

Già mesi orsono circolavano voci insistenti circa la concessione a Israele, da parte giordana, dell’autorizzazione a sorvolare i propri spazi aerei per svolgere attività di osservazione e intervento su obiettivi sensibili individuati dall’ IDF (Israel Defense Forces). Inoltre sono in ballo gli interessi dello sventutato popolo libanese, la cui stabilità interna è tenuta insieme con lo scotch. Giacché il Libano riflette specularmente al proprio interno la situazione di divisione e di conflittualità in cui oggi versa il suo alleato maggiore, è ipotizzabile che all’ esplodere in mille frammenti della Siria, la situazione di collasso, investirebbe a cascata il paese deicedri. Ci sono poi gli interessi delicatissimi del già fragile governo egiziano che percepirebbe come un colpo devastante la vittoria, sul campo siriano, delle ramificazioni jihadiste dell’islamismo politico dopo che le cellule presenti nel proprio territorio sono state individuate ed è in corso un’azione pressante delle forze di sicurezza interna per neutralizzarle. Non va trascurato che vi è un’intera regione di dimensioni transnazionali che è in stato di allerta. Si tratta del Kurdistan. Già il versante iracheno ha aperto le porte ai propri fratelli curdi- siriani in fuga dai massacri, mentre il regime siriano guarda con interessata simpatia le azioni terrorististiche del movimwento clandestino Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, contro le istituzioniturche, quale forma lata di compensazione per la disponibilità offerta dal governo di Ankara alle milizie ribelli anti Assad.

Se dalla crisi siriana sorgesse un’enclave curda a ridosso della frontiera turca, per Erdogan sarebbero problemi molto seri nella già complicata gestione dei rapporti con la propria frazione etnica turco-curda, in perenne contrasto con le autorità centrali di Ankara.Poi ci sono gli interessi delle potenze globali, la Russia e gli Stati Uniti che sulla vicenda siriana si stanno incartando in un pericoloso, quanto inutile, braccio di ferro. Di fronte al sempre maggiore pesoche gli Stati dell’area vanno acquisendo anche grazie alla forza finanziaria, e di lobbying, che posseggono, i due giganti, come i duellanti di Conrad, non ce la fanno a rinuciare a sfidarsi, come se la guerra fredda in fondo non fosse mai finita. Cambiano solo i luoghi e le modalità del duello. Per entrambi, formalmente, è questione di tutela degli interessi dei propri Paesi. Lo ha spiegato bene il Segretario di Stato americano, J. Kerry, nella sua ultima conferenza stampa tenuta a Washington. Ci sono poi gli interessi delle nuove e vecchie potenze che non intendono perdere lo strapuntino che i contendentihanno loro riservato.

La Cina, che nell’area sta facendo convergere fiumi di investimenti, è destinata, secondo le stime del World Energy Outlook pubblicati dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, ad essere un attore principale nello scacchiere energetico della regione. La Francia e l’Inghilterra, che non hanno smesso i panni di imperi coloniali, non intendono farlo oggi che gli interessi economici in gioco sono di dimensioni stratosferiche. La Francia in particolare che, secondo l’intervista rilasciata da Jean Pierre Darnis, responsabile dell’Istituto Affari Internazionali, alla rivista Formiche. Net, avrebbe deciso di intervenire in Siria perché “l’interventismo fa parte del DNA della Francia e della sua tradizione storica. Dalla Rivoluzione francese e forse anche prima”. Non dimentichiamo gli interessi dell’Unione Europea che, in natura, non esisterebbero, vista l’incosistenza della sua identità unitaria su scala globale, se non fosse che l’etichetta UE funge da copertura agli interessi dei suoi membri più forti, Germania in testa. In proposito si raccomanda la verifica della contabilità dell’embargo commerciale decretato in sede UE contro la Siria per scoprire chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso dalla interruzione degli scambi. Domanda: secondo voi l’Italia ci ha perso o ci ha guadagnato? A voi la risposta.

In realtà anche l’Italia, nel suo piccolo ha un proprio interesse da difendere nella partita siriana. In primo luogo ha la responsabilità di garantire la sicurezza dei suoi 1100 ragazzi della missione UNIFIL “Leonte” che sono a un tiro di schioppo dal centro del teatro operativo delle forze combattenti siriane. In secondo luogo, la nostra repubblica ha tradizionalmente conservato un discreto dialogo con la repubblica islamica degli ayatollah. Entrare risolutamente in una coalizione anti sciita provocherebbe una gravissima lesione nella tenuta dei rapporti bilaterali con conseguenze incidenti anche sui volumi di interscambio commerciale dei due Paesi. E’ bene ricordare che secondo dati dell’Istituto per il Commercio Estero, nel 2012 l’Italia è stato il primo partner europeo dell’Iran per volumi di interscambio complessivo e secondo fornitore dietro la Germania, nonostante i durissimi vincoli all’import/export imposti dalle sanzioni volute dalla UE e dagli USA. In terzo luogo c’è la Russia con la quale avere buone relazioni si è dimostrato essere, per l’economia italiana, estremamente salutare. Siamo tanto desiderosi di farci del male rompendo con gli amici del Cremlino per compiacere gli interessi di qualche paese “amico” che continua puntualmente a osteggiarci e tiranneggiarci?

Come dicono gli inglesi , last but non least, ci sono gli interessi di tutte le fazioni che si stanno combattendo nel teatro siriano, dai fedeli al regime, ai laici democratici, ai fondamentalisti islamici, ai filocomunisti, ognuno con una propria idea ben precisa di trasformazione della Siria a propria immagine che, naturalmente, esclude la compresenza degli altri nella gestione della ricostruzione del Paese dopo la fine della guerra civile.

Se questo è lo scenario reale con cui ci si misura, allora la scoperta nell’area di Moristan, vicino a via David, in Gerusalemme potrebbe richiamare tutte le parti in campo alla necessità di avere, insieme alla tutela dei propri interessi egoistici ancorché legittimi, una capacità di visione più ampia che accolga e serva anche le ragioni degli altri, allo stesso modo nel quale i Crociati, sebbene combattenti per la difesa della cristianità, avvertirono l’esigenza di implementare infrastrutture che servissero l’intera comunità a prescindere dalle differenze di parte, con livelli di performance, per l’epoca, più qualitativi che altrove. Per realizzare un simile progetto essi dovettero investire “in loco” molto danaro e lo fecero nonostante l’assoluta consapevolezza che un ribaltamento di scenario avrebbe potuto, come poiavvenne, col tempo porli fuori gioco. I rovesci militari, infatti, ne determinarono l’allontanamento da quelle realtà che avevano contribuito a migliorare dispiegando, insieme alla risorsa finanziaria, anche il patrimonio di conoscenze e di tecnologia acquisito finoad allora.In effetti, i Crociati in generale, ma gli appartententi ad alcuni Ordini in particolare, come nel caso dei monaci guerrieri, i Cavalieri dell’Ordine del Tempio di Gerusalemme, a noi noti come Templari, si distinsero per un comportamento, riferito ai contesti locali, che si potrebbe definire “accrescitivo”, mentre negli odierni scenari appare che tutti, nessuno escluso, si adoperino per un agire classificabile come “detrattivo”. E non regge la facile obiezione di molti degli attori presenti di averci rimesso un mare di quattrini per foraggiare questo o quel movimento, questo o quel gruppo combattente. Il medioriente ha bisogno immediato di un plus d’investimenti in settori strategici che abbiano diretto impatto sulle popolazioni. Si tratta di modificare sensibilmente, portandola complessivamente alla soglia minima di benessere, la qualità di vita delle comunità coinvolte per togliere acqua alla corrente inarrestabile del conflitto permanente.

E’ di tutta evidenza che la pressione innescata dalla diffusione del fanatismo religioso sia la risposta politica di grandi masse di individuialla questione sociale che in Medioriente assume dimensioni preoccupanti. Bisognerebbe avere il fegato di rispolverare quella vecchia idea, concepita da Berlusconi, di riscrivere un Piano Marshall ad hoc per le popolazioni di quell’area. Si renderebbe allora nececessario sottrarre risorsa all’approvvigionamento di armamenti per destinarla a investimenti nelle infrastrutture civili e nelle politiche di coesione sociale, secondo un programma coordinato di piano, esteso all’intera regione. La cooperazione economica e il sostegno allo sviluppo verrebbero rigorosamente vigilati, se necessario, anche manu militari dagli stakeholders.

Ma, alla fine della fiera, siamo del tutto sicuri che la si voglia davvero una soluzione definitivadi pace per quella martoriata terra? Comincio a dubitarne fortemente. Per ora riprendiamo fiato sfruttando il momento di pausa che Obama, obtorto collo, è stato costretto a concedersi vista la piega che gli eventi stavano prendendo, non proprio favorevole alle sue bellicose intenzioni. Speriamo che duri il tempo necessario per riavviare la strada del negoziato, unica via d’uscita sensata alla crisi in atto. Abbiamo proprio bisogno di riflettere. Tutti, nessuno escluso.


di Cristofaro Sola