Contro gli stereotipi sugli italoamericani

giovedì 29 agosto 2013


Tra i diversi aspetti che caratterizzano l’esperienza italoamericana, come ci hanno detto alcuni nostri precedenti ospiti, c’è (sin dall’inizio) il problema delle discriminazioni e degli stereotipi. E’ un problema che divide fortemente la comunità: perché c’è chi lo combatte con grande forza, e chi ritiene che al contrario bisognerebbe evitare di parlarne. Sono due parti mosse dal medesimo desiderio di fare ciò che ritengono meglio per la comunità italoamericana, ma con due concezioni opposte. Il casus belli di questa nuova ondata è stato Jersey Shore, una pessima trasmissione che ha portato lo stereotipo anti-italoamericano su un nuovo livello: se prima era fiction, oggi è “reality”; se prima erano colpiti gli adulti, oggi sono i ragazzi.

Il nostro ospite di oggi è il capofila di chi ritiene che queste situazioni vadano combattute. Lo fa con una passione davvero molto grande, e con forti capacità comunicative: lo fa anche, da buon cittadino di origine italiana del New Jersey, parlando sempre molto chiaramente, senza paura. Oggi Andrè DiMino dirige UNICO, un’organizzazione che vanta un network di 140 “chapters” in 22 stati. Al di là di quello che si pensi di lui e della sua battaglia, vale la pena considerare che non la fa a difesa degli italoamericani, ma dell’italianità, non solo quella che sta in America. Noi qui in Italia nemmeno sappiamo quanto e se ce ne sia bisogno, ma c’è qualcuno che si danna anche a difesa del nostro onore, oltre che di quello della comunità di cui è orgoglioso di fare parte.  

Mr. DiMino, lei è stato recentemente nominato Direttore Esecutivo di UNICO. Ci dice qualcosa a proposito di questa importante associazione?

UNICO è la più grande organizzazione italoamericana ad occuparsi di beneficenza e assistenza. Fu fondata nel 1922 a Waterbury nel Connecticut da Anthony Vastola, un illustre chirurgo. All’inizio Vastola desiderava associarsi ad un’altra organizzazione con gli stessi scopi, ma gli fu impedito perché era italoamericano: così creò UNICO, per contrastare i sentimenti negativi contro gli italoamericani facendo beneficenza e azioni di aiuto alla comunità. In quell’epoca c’erano molte società e organizzazioni italoamericane, ma nessuna si occupava specificamente di beneficenza ed assistenza: è per questo che fu scelto il nome UNICO. E ancora oggi questa è la nostra mission, insieme con il conservare e difendere la nostra grande eredità culturale italiana.

Quindi UNICO ha già combattuto in passato gli stereotipi riguardo gli italoamericani, come ha fatto la Italian American ONE VOICE Coalition?

Esatto. La Italian American ONE VOICE Coalition è nata proprio da UNICO qualche anno fa. UNICO ha un apposito comitato dedicato a questo, e sin dall’inizio ha sempre agito contro le discriminazioni. Io ero Presidente di UNICO quando uscì Jersey Shore, e presi subito una decisa posizione contro quel programma: e quando il mio mandato terminò – tutti I mandate di Presidente durano un anno – ho continuato questa battaglia come Presidente di ONE VOICE Coalition. E il nostro sforzo non finisce qui.

Gli Italiani sono stati molto discriminati in passato.Ci può descrivere queste discriminazioni?

Si possono determinare tre fasi nell’evoluzione delle discriminazioni contro gli Italiani e gli Italoamericani. La prima fase inizia con la grande emigrazione, tra la fine dell’800 e I primi anni del ‘900: più di 4 milioni di Italiani vennero qui, la gran parte deal sud dell’Italia. Ci fu una forte reazione negativa contro quegli emigrati: furono anni di discriminazione pesante e diretta che riguardarono le condizioni di vita e di lavoro. Si può vedere bene dalla letteratura e dai film dell’epoca, gli Italiani sono sempre descritti negativamente, passando il proprio tempo a commettere crimini: gente molto pericolosa e cattiva. Questa discriminazione va avanti anche dopo la prima Guerra mondiale, e poi fra le due guerre: non così pesantemente come in passato, ma il pregiudizio c’è ancora persino dopo la seconda guerra mondiale.

La seconda fase inizia nel 1972 con l’uscita del film Il Padrino. Io la chiamo la fase della fascinazione: da quel momento diventa molto forte l’idea che se sei di famiglia italiana, sei sicuramente collegato alla mafia, la criminalità, gli omicidi e tutto quello che viene descritto nel film e nelle centinaia di film che uscirono dopo Il Padrino. Ci furono persino alcuni Italoamericani che giudicarono positivamente essere ritratti in quel modo, essere temuti dagli altri: noi li chiamiamo i “mob wannabees”, che aspiravano a vivere come facevano quei personaggi nel film.

La seconda fase si completa negli anni ’90, quando lo stereotipo dell’italiano mafioso viene modernizzato: The Sopranos mostra una famiglia di mafia in un quartiere residenziale del New Jersey dei giorni d’oggi. Questa fiction è stata molto dannosa, soprattutto per chi come me viene dal New Jersey: se eri un italoamericano che viveva nel cosiddetto “Soprano’s state” dovevi per forza essere connesso con la mafia, perché questo è quello che si vedeva e del quale si parlava tutti i giorni in televisione.

La terza fase di questa discriminazione inizia con l’uscita di Jersey Shore, che crea un nuovo tipo di stereotipo - attraverso come questa gente si comporta nel programma - per il quale i giovani italoamericani sono stupidi, ignoranti, agiscono scioccamente, non rispettano le donne. Questo nuovo stereotipo colpisce tutti i giovani italoamericani, che a guardare Jersey Shore sembra siano tutti idioti. Questo ci preoccupò molto, e per questo decidemmo di agire: io sono stato personalmente discriminato in base allo stereotipo creato da Il Padrino e da The Sopranos, e l’ultima cosa che volevo era che lo stesso capitasse ai ragazzi italoamericani, che studiano e lavorano duro, sono ben educati e non sono e non meritano di essere rappresentati dai buffoni e dalle bambole scemette di Jersey Shore.

Oggi gli stereotipi negativi verso gli italoamericani e proseguono anche con altri mezzi: non più solo nel cinema e in televisione, ma anche nei videogames e nei cartoni animati per ragazzi.Ci può fare qualche esempio?

Quando si guarda a tutto ciò che succede in questo campo, ci si accorge che c’è una enorme collezione di esempi nei media, nel mondo dello spettacolo, e anche nel mondo dei videogiochi e nei programmi per bambini, che contribuisce a rafforzare gli stereotipi negative che colpiscono la comunità italoamericana. E’ incredibile: non c’è alcuna altra etnia qui in America che posa contare così tanti casi.

Solo per fare alcuni esempi e per rispondere alla domanda. Di recente è uscito un videogioco chiamato Mafia 2. Ora, naturalmente noi non vogliamo riscrivere la storia: sappiamo bene tutti che è esistita la mafia italiana negli Stati Uniti. ma chi gioca a questo videogioco incontra più di 300 personaggi criminali, e ognuno ha un nome italiano: Vito, Luigi, Giuseppe e così via. Questi personaggi uccidono altri personaggi, e le vittime hanno tutte un nome americano: Tommy, Billy, Jimmy e altri. Quindi, nella mente dei giovani giocatori di  Mafia 2, viene inculcato il messaggio per cui italoamericano significa male, gente cattiva che uccide gli altri americani. Un altro esempio che riguarda i giovani si trova nel film Shark Tale, un simpatico cartone animato ambientato nel mondo marino. Nel film, ancora una volta, gli squali cattivi che cercano di mangiare gli altri pesci hanno tutti un nome italiano. E, anche nel mondo del divertimento per ragazzi, si può andare avanti a lungo: per esempio William Shatner, protagonista una volta di Star Trek, ha prodotto un cartone animato chiamato The Gavones, che si trova anche su YouTube, e anche questo racconta e prende in giro una famiglia di italoamericani mafiosi, sempre con una formula – quella dell’animazione – che è diretta principalmente ai bambini, ai quali arriva sempre lo stesso messaggio.

Poi, soprattutto dopo il successo di Jersey Shore, ci sono dozzine di programmi cosiddetti “reality show” che rafforzano e portano avanti il messaggio degli italoamericani che sono criminali o buffoni e sciocche ragazzette. E’ una costante e insistente ripetizione ancora e poi ancora dello stesso stereotipo.

Lei da tempo combatte queste discriminazioni: se ogni battaglia necessita di una persona che la rappresenti, questa battaglia ha il suo volto.Quali azioni avete intrapreso, e quali successi avete ottenuto?

 Si, in effetti ho una forte dedizione a questa battaglia. Circa le azioni che abbiamo messo in atto: prima di tutto, devi usare le stesse armi che usano contro di te. Quindi abbiamo usato i media, facendo del nostro meglio per fare arrivare forte e chiaro il nostro messaggio, andando in televisione e in radio ovunque sia stato possibile, rilasciando comunicati stampa, usando internet: tutto per cercare di controbilanciare la negatività delle informazioni che dobbiamo combattere. Ma per attirare l’attenzione dei produttori di quei programmi, abbiamo dovuto fare di più. Abbiamo cercato in ogni modo per entrare in contatto con MTV ed I produttori di Jersey Shore: ma ci hanno dato ascolto solo dopo che abbiamo concentrato il nostro sforzo contattando le aziende che investivano in pubblicità nel programma. Io ho personalmente scritto ai Presidenti di ognuna delle 37 aziende: e sono fiero di poter dire che, anche grazie alle email e alle telefonate di tanti altri, siamo riusciti a fare in modo che 11 di esse promettessero di non fare più pubblicità durante Jersey Shore e di prestare più attenzione in seguito per evitare di fare pubblicità durante altri programmi che dovessero discriminare la nostra comunità. Questo fu un grandissimo successo, e qualche settimana dopo il Presidente di MTV accettò di incontrarmi e ascoltò quello che avevamo da dire: dalla seconda stagione di Jersey Shore fu eliminato ogni riferimento alla parola “guido” e fu tolta anche la bandiera italiana, che nella prima stagione fu addirittura messa sul letto su cui alcuni protagonisti facevano sesso, mancando totalmente di rispetto all’Italia e agli italiani. Quindi, non fummo in grado di fermare il programma, ma almeno riuscimmo ad eliminare le cose peggiori: ma l’unico modo per farlo fu di agire sui soldi. Molti dicono che avremmo dovuto minacciare un boicottaggio verso i prodotti delle aziende che facevano pubblicità: ma onestamente, a meno che tu non abbia milioni di persone pronte a farlo, la tua minaccia non risulta credibile. Ma la chiave sta nel rendere pubblico il fatto che queste aziende avrebbero continuato a investire in un programma che offendeva gli italoamericani: perchè le aziende non vogliono questa pubblicità negative.    

Boardwalk Empire, The Sopranos, Jersey Shore, The Real Housewives of New Jersey… lo stesso bersaglio, in tempi e con modi differenti: gli Italiani del New Jersey. Persino il Governatore Chris Christie, che è di origine italiana da parte di madre, è a volte ritratto con il medesimo stereotipo negativo. Lei vive in New Jersey dalle scuole elementari: ci dice qualcosa in più su questo stato, e sulla comunità italiana che ci vive?

Si, in effetti io sono nato a Brooklyn ma  quando avevo sei anni la mia famiglia si è spostata nel New Jersey, quindi ho passato quasi tutta la mia vita qui. E’ uno stato meraviglioso: abbiamo spiagge, molti terreni agricoli, fantastici giardini -  per questo veniamo definiti il “Garden State” – e ancora molte altre bellissime attrazioni e località. E’ anche uno stato dalle tante opportunità: un ottimo posto per gli affari. C’è una grande percentuale di cittadini di origine italiana nel New Jersey: in alcune città è la maggioranza delle persone. Molti di loro arrivarono qui per lavorare nelle molte industrie che nacquero e che sono ancora in quest’area, molti altri si trasferirono qui per poi fare i pendolari e andare a lavorare a New York. Arrivarono soprattutto a Jersey City e a Newark, ma poi molti di loro si spostarono in località più residenziali: oggi il posto con la maggior percentuale di italiani nella popolazione complessiva è Hammonton, una piccola cittadina. E’ vero che la gente del New Jersey ha in generale l’abitudine ad essere molto diretta e schietta, ma certamente questo non riguarda solo gli italoamericani: questo approccio sincero e schietto ha anche molti lati positivi, ma ora con tutti questi programmi lo stesso approccio per noi italoamericani del New Jersey è diventato uno stereotipo, dipingendoci come rozzi, aggressivi e grezzi. Invece gli italoamericani del New Jersey sono gente di successo, orgogliosi cittadini americani, donne e uomini che lavorano duramente, ragazzi intelligenti e brillanti: ma questa storia non si vede mai in televisione. Probabilmente, questo è il motivo per cui alcuni di loro non si interessano molto a questi stereotipi: perché è gente di successo nel lavoro e nella vita, vogliono solo che la cosa passi sotto silenzio e non sollevare problemi.

Io sono stato oggetto di pregiudizi negativi a causa di questi stereotipi. Viaggio spesso nel Paese, sono un ingegnere che sviluppa e produce apparati medicali: quando si va fuori dall’area di New York e del New Jersey, o anche ci si allontana dalla costa est, spesso la gente pensa che ciò che ha visto in televisione sia quello che si deve aspettare incontrando un italoamericano del New Jersey. Una volta ero ad una riunione di medici – quindi persone con una istruzione di alto livello – e dopo la mia presentazione mi fu chiesto se io avessi connessioni con la mafia: uno di loro addirittura mi chiese se avessi con me una pistola!

Noi non sappiamo molto del mondo dello spettacolo, ma se l’obiettivo è quello di aumentare l’audience, le chiediamo: i telespettatori non si dovrebbero stancare di vedere questi reality show, che sono più o meno tutti identici?  Non dovrebbe essere più interessante qualcosa di nuovo come ad esempio un programma dove, una volta tanto e diversamente dal solito, gli italoamericani (o almeno uno di loro) vengono ritratti come persone brillanti e di successo, come effettivamente sono nella vita reale?

Per quello che ne so, ci sono due risposte a questa domanda. In primo luogo, nel mondo della televisione niente funziona come il successo già dimostrato: per cui, siccome Jersey Shore ha avuto successo, facciamo altri programmi che siano altre versioni di Jersey Shore, e poi ancora, e ancora. E in effetti sembrano fatti con la carta carbone.

Inoltre, noi abbiamo provato a suggerire di parlare dei grandi esempi esistenti nella storia della comunità italoamericana, o almeno del favoloso contributo che l’Italia ha dato in termini di cose, luoghi, e persone. Ma sembra che siano interessati solo alle cose negative, la gente che litiga, le situazioni controverse … per cui non so, io non sono un produttore televisivo, penso che sarebbe una grande opportunità ma sta di fatto che al momento non c’è niente del genere.

C’è mai stato nel mondo dello spettacolo americano, per quanto lei sappia, un eroe italoamericano, o almeno un personaggio positivo?

Questa è esattamente la domanda che faccio al mio pubblico quando intervengo ad un evento: e nessuno è in grado di rispondermi. L’unico personaggio di primo piano, positivo e italoamericano che io abbia trovato negli ultimi 10 anni nella televisione in prima serata, è il personaggio di Joe Mantegna nella fiction “Joan of Arcadia”: un capo della polizia di origine italiana, padre di Joan. Ma a parte quello, nient’altro. Altre etnie ne hanno almeno dieci per ogni stagione televisiva, ma a noi non capita affatto: non può essere un caso. Persino quando l’attore protagonista del personaggio principale è italoamericano, come Gary Sinise in CSI New York … il personaggio che interpreta è di origine irlandese!

Alcuni italoamericani e alcuni dei nuovi italiani emigrati in America sono fra coloro che non vorrebbero che si alzasse la voce e si combattesse intorno all’argomento degli stereotipi. Alcuni fanno riferimento alla libertà di espressione, anche riguardo a ciò che viene detto sugli italoamericani. Insomma, come lei ha già detto, non tutti sono d’accordo su questa battaglia. Lei ha presieduto un’associazione che si è voluta chiamare proprio Italian American ONE VOICE Coalition: è possibile riunirsi e parlare su questo argomento con una sola voce, nella comunità italoamericana? Forse riuscendo a trovare un compromesso tra le due posizioni?

So che molti italoamericani vorrebbero che noi non facessimo nulla. Io penso che se loro conoscessero tutto il lungo elenco di situazioni e programmi nei quali tutti noi veniamo denigrati, aprirebbero gli occhi circa quanto esteso e dannoso sia questo fenomeno. Sappiamo che molti non conoscono in pieno questa situazione, ed è per questo che cerchiamo di descriverla nella sua dolorosa completezza: rimangono tutti sorpresi quando se ne rendono conto fino in fondo. Loro possono anche non essere direttamente discriminati nella loro vita quotidiana, certo: ma non possono credere che una così forte e negativa e continuativa campagna non influenzi quanto meno quello che qualcun altro pensa di loro, anche se non se ne accorgono di persona. E’ vero, quando alziamo la voce alcuni ci dicono “hey non fatelo, non è così brutto e grave com’è stato per gli afroamericani”. Ma la cosa divertente è che fra i nostri più grandi sostenitori ci sono proprio alcuni afroamericani e ispanoamericani, che condividono la nostra posizione, perché ci sono passati anche loro e conoscono quanto male possa fare.

Quindi, io mi fermerò quando gli italoamericani saranno trattati come gli altri: purtroppo al momento ancora non ci siamo affatto. Non c’è alcun politicamente corretto, quando si parla di italoamericani. Io credo assolutamente nella libertà d’espressione, credo in tutti i diritti che ci vengono garantiti dalla nostra Costituzione: è per questo che invoco il mio diritto a parlare contro questa ingiustizia. Per ogni altra etnia in America non si possono pronunciare alcune parole, non puoi dire cose negative di un certo tipo, non è possibile perpetrare gli stereotipi: e allora perché è lecito farlo con gli italoamericani? Perché c’è gente che regolarmente usa termini dispregiativi come “guido”, “greaseball”, “wop”, “guinea”? Li si sente ogni giorno in televisione, nei notiziari, alla radio. E’ offensivo, deve finire. E non lo dico solo per gli italoamericani, ma credo di dirlo anche per gli Italiani che vivono in Italia. Noi non siamo italiani, siamo cittadini americani orgogliosi della nostra origine italiana, con la quale sentiamo un forte e diretto legame. Ma anche se non siamo italiani, ci sentiamo parte del patrimonio culturale del grande popolo italiano. Sarei felice se questa intervista servisse a dare questo messaggio agli Italiani, perché noi sappiamo di essere parte della loro famiglia.


di Umberto Mucci