Ue contro Israele, la "verità" europea

martedì 6 agosto 2013


“Orientamenti sull'ammissibilità delle entità israeliane e relative attività nei territori occupati da Israele da giugno 1967 alle sovvenzioni, ai premi e agli strumenti finanziari dell'UE a partire dal 2014”. È così che si chiama il documento 2013/C 205/05 della Commissione Europea, pubblicato il 19 luglio scorso, che fa strame di cinquant’anni di tentativi di conciliazione tra paesi arabi e Stato d’Israele. Oggetto della decisione europea è la riforma del meccanismo di assegnazione degli aiuti finanziari al Paese mediorientale. Un documento asciutto, in perfetto linguaggio “burocratichese”, interviene a stabilire una “verità” che nessuno in questi lunghi anni, segnati da durissime guerre e da rare giornate senza sangue, è stato in grado di determinare in via definitiva. E quale sarebbe questa “verità”? I contributi vengono destinati a coloro, persone o enti che operano esclusivamente nell’ambito dei confini dello Stato d’Israele.

 Ma, occupando Israele dal 1967, secondo le autorità comunitarie europee in modo illegittimo, territori appartenenti ad altri Stati, la UE non ne riconosce la sovranità. E per dimostrare che si fa sul serio la Commissione decide di vietare l’accesso ai contributi stanziati dai fondi comunitari di sostegno alle entità israeliane e relative attività insediate nei territori occupati da Israele da giugno 1967. A partire dall’annualità di progettazione 2014. Il documento enumera quelli che intende come territori occupati. Si tratta delle Alture del Golan, della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza. Territori un tempo appartenuti non all’entità palestinese ma, rispettivamente alla Siria, alla Giordania e all’Egitto. Sarebbero, dunque, questi i paesi a cui, in teoria, dovrebbero essere restituiti. Bruxelles, invece, va oltre. Si applica sua sponte a ridisegnare i confini e a riscrivere la storia.

Il documento fa espresso riferimento ai palestinesi quali cittadini di un’entità autonoma e sovrana insediata all’interno dei cosiddetti territori occupati. Per costoro non è previsto alcun divieto. Sono, inoltre, esclusi dalla restrizione gli accordi conclusi con l’autorità palestinese e con l’OLP (l’Organizzazione per la liberazione della Palestina). Tutto chiaro, allora. La UE dà seguito a una presa di posizione, politica, che è quella di non accettare gli esiti scaturiti dalla “Guerra dei sei giorni” e intima, la burocrazia di Bruxelles, a Israele di rientrare nei confini fissati dall’armistizio del 1949. La simbolica linea verde di demarcazione. In questo modo la Commissione Europea ha ignorato deliberatamente che quelli non erano autentici confini ma una linea armistiziale subìta in seguito alla guerra panaraba il cui obiettivo era l’ eliminazione di Israele dalla carta geografica della regione. La linea verde, venne ribattezzata sarcasticamente da Abba Eban gli “Auschwitz borders” a indicare che, nelle intenzioni degli arabi, quel territorio a ovest del fiume Giordano sarebbe stato un nuovo universo concentrazionario in cui tenere dentro gli ebrei.

Quindi, chiaro un bel niente! Si tratta di una spudorata manovra di doppiopesismo politico, concepita per svantaggiare l’uno e favorire gli altri, che segna una svolta significativa nella politica europea circa la tenuta delle relazioni internazionali nell’area strategica del medioriente. Con un gesto, apparentemente neutro (del resto cosa ci può essere di più “neutro” di un atto amministrativo?), la UE risolve in punto di diritto la questione cardine dell’intera vicenda dei rapporti arabo- israeliani, giudicando in via definitiva la presenza israeliana nei territori occupati non un fatto legittimato da ragioni di sicurezza ma una chiara espressione di una presunta volontà imperialista dello Stato d’Israele di sottomissione di popoli e territori sottratti ai loro “legittimi” governi. Se la politica estera europea contasse davvero qualcosa, questa decisione avrebbe un effetto pari all’esplosione di un ordigno nucleare sugli equilibri di quella regione. Per fortuna degli israeliani la volontà europea conta come il due di briscola, per cui la decisione non è destinata a fare gran danno, se non per la parte finanziaria che andrà inevitabilmente in sofferenza, venendo sottratta risorsa soprattutto alle iniziative di ricerca e di innovazione che gli Israeliani producono, avvalendosi dei fondi comunitari, con rimarchevoli risultati.

 Della cosa però dovrebbero essere soddisfatti i palestinesi. Mica tanto. Dietro i commenti trionfalistici di circostanza trapela una notevole preoccupazione per le ricadute che la decisione UE è destinata a produrre, a sua volta, sulle relazioni economiche esistenti tra Israele e Autorità Palestinese. Già, perché quei geni assoluti della Unione Europea hanno forse dimenticato quanto la politica estera sia condizionata dagli effetti delle reazioni a catena: se togli da una parte, per compensazione, si determinerà una perdita da un’altra parte. Elementare. Resta però il fatto, tutto negativo, di una forzatura dei già precari equilibri che con la decisione UE trova concretezza. Ancor più grave se si considera che la Commissione Euopea abbia volutamente tenuto fuori la parte palestinese che non ha meno responsabilità di Israele nel fallimento di tutti i piani di pace finora concepiti, e subito abortiti. Sarebbe stato opportuno ad esempio, per alzare di qualche tono l’autorevolezza della voce europea, condizionare l’erogazione dei finanziamenti, ai cittadini e agli enti palestinesi, a una presa di posizione formale di tutte le componenti politiche dell’autorità di Palestina in ordine all’ esplicita adesione al diritto sovrano d’Israele alla sua stessa esistenza e alla sicurezza dei suoi confini. Invece neanche una parola.

 Vergogna, assoluta vergogna! Sappiano i miei frastornati ( dal caldo africano) concittadini che con i soldi italiani (già, checché se ne dica, l’Italia è un contributore netto al bilancio dell’Unione) si avrà la possibilità di finanziare progetti, ad esempio, nella striscia di Gaza presentati da entità gestite dai terroristi di Hamas, però ci sentiremo tutti sollevati perché non ci sara più il pericolo di contribuire a sostenere il lavoro di scenziati e menti di prim’ordine che operano sotto la stella di Davide. E poi andiamo blaterando che l’antisemitismo in Europa lo praticano solo quattro imbecilli con le teste rasate. D’altro canto, che alcune cancellerie europee non fossero state mai troppo benevole con Israele è cosa nota. Non dimentichiamo che per le grandi realtà produttive del vecchio continente il mondo arabo rappresenta un partner necessario e ineliminabile e, in molti casi, un socio ampiamente capitalizzato. E come si sa, i soci vanno assecondati nei loro “desiderata”. E se i ricchi padroni arabi ci comandano di strisciare, noi strisciamo. In queste vicende sarebbe di grande conforto ascoltare la voce dei nostri governanti. In particolare della ministra Bonino che un tempo, era il 2007 forse l’ha dimenticato, dalle colonne dell’autorevole rivista “Aspenia”, sotto le mentite spoglie di una fine provocazione vagheggiava del perché Israele dovesse entrare nell’Unione Europea.

Si ricorda, ministra Bonino, la sua tesi prioritaria? Bisogna fare di Israele il partner privilegiato della UE in quell’area, quale passo intermedio verso la piena adesione dello stato ebraico all’Unione Europea. Una partnership costruita sul modello dello "Spazio Economico Europeo" con caratteristiche aggiuntive: una sorta di SEE plus. Le caratteristiche aggiuntive avrebbero dovuto riguardare gli aspetti inerenti la sicurezza interna ed internazionale di Israele, quindi una dimensione più squisitamente politica, e non limitatamente economica. Sono parole sue, signora Ministra. Sebbene lei apparisse minuta nel fisico, in quell’occasione il suo respiro assumeva grandezza gigantesca nel delineare per l’Europa uno sviluppo portato fino sulle rive del Giordano. Mi creda, quella era davvero una bella idea per cui combattere. Oggi, si fa difficoltà a udire la sua voce. Possibile che anche noi abbiamo accettato passivamente la meschina manovra di Bruxelles per pugnalare alle spalle Israele? Non abbiamo proprio nulla da obiettare in proposito o forse tra le condizioni di resa dell’Italia, attestate dalla lettera della BCE dell’agosto 2011, vi era anche un’esplicita, sebbene non dichiarata, rinuncia ad avere una propria voce in questioni di politica estera? Vi è stato un tempo nel quale l’Italia era convitamente sostenitrice dei legittimi diritti dello Stato sovrano d’Israele, al governo c’era il mai abbastanza” vituperato” Berlusconi.

E bisogna riconoscere che quella linea di politica estera appariva chiara e senza ambiguità. Noi tutti sapevamo da che parte fosse schierata l’Italia. Cosa che non è accaduta con il governo del “commissario” Monti. Lo abbiamo dimenticato? Il 29 novembre dello scorso anno, allorquando in sede ONU la rappresentanza italiana, ribaltando radicalmente i precedenti orientamenti, ha votato a favore dell’ammissione dell’Autorità Palestinese come Stato osservatore, non membro, alle Nazioni Unite. Allora mi sorge un sospetto: non è che la sentenza di annientamento giudiziario del Cavaliere, servisse, tra gli altri scopi, anche a rassicurare i capi di Bruxelles, e quelli dell’asse Berlino-Parigi, della materiale impossibilità del ritorno suo e della sua politica, disturbatrice degli affari dei manovratori europei? Se qualcuno conosce la risposta, cortesemente la fornisca. Sarà utile.


di Cristofaro Sola