Gli sviluppi della crisi in corso in Egitto

venerdì 12 luglio 2013


La comunità internazionale segue con un atteggiamento ispirato alla cautela e alla speranza quanto sta accadendo in queste ore in Egitto, dopo che il presidente Morsi è stato deposto dall’esercito, in seguito alla rivolta popolare contro il rischio della islamizzazione della società egiziana. Con la nomina di Adyl Mansour, che era a capo della corte costituzionale del Paese, a ricoprire provvisoriamente la carica di presidente dello stato, l’Egitto si prepara a formare un governo che renda possibile il ritorno al voto in tempi rapidi. Inoltre, è evidente che la carta costituzionale, pur essendo stata approvata da un referendum popolare, dovrà essere sottoposta a una radicale revisione, in modo da accogliere le istanze democratiche rivendicate nella principali piazze del Paese dai manifestanti e da quanti si sono opposti alla visione integralista della società, perseguita dai fratelli musulmani.

Il capo carismatico dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, è stato tratto in arresto. I seguaci dei Fratelli Musulmani hanno considerato illegittimo il modo con cui si è arrivati alla deposizione del presidente Morsi, che si trova agli arresti nella sede del ministero della difesa. I fratelli musulmani con il loro atteggiamento, per la prima volta nella storia, invocano il rispetto del voto degli elettori, visto che Morsi era eletto un anno fa nelle elezioni presidenziali. Le altre forze politiche, preoccupate insieme all’esercito dalle conseguenze della rivolta popolare, hanno fatto prevalere sulla legittimità democratica delle elezioni il primato della politica, perché in Egitto sia possibile aprire una nuova epoca all’insegna della pacificazione nazionale. In questo momento il Paese vive un clima di grande tensione dovuto alla contrapposizione frontale tra gli islamisti, rappresentati dai Fratelli Musulmani, e le altre forze politiche di orientamento laico e dichiaratamente liberale. Proprio per capire meglio quanto sta accadendo in Egitto e quale evoluzione potrà avere la crisi politica in questo Paese, appare necessario meditare con attenzione sulle riflessioni che un grande studioso di politologia come Dominique Moisi ha consegnato in una bella intervista, apparsa lunedì sulle colonne del Corriere delle Sera.

Per Dominique Moisi il rischio che l’Egitto possa cadere nell’abisso della guerra civile esiste, poiché nel Paese vi è una divisione tra gli islamisti e gli altri. Tuttavia questo pericolo e questo rischio possono essere scongiurati, poiché in Egitto, a differenza della Siria, vi è una grande tradizione storica che comporta il riconoscimento dei valori della tolleranza e del rispetto verso le minoranze e la diversità culturale. In occidente vi è imbarazzo per il modo in cui Morsi è stato deposto dall’esercito e dalla rivolta popolare, poiché era stato eletto democraticamente. Tuttavia, ha osservato lucidamente Dominique Moisi, per capire il senso del golpe militare avvenuto in Egitto, occorre tenere presente la distinzione tra legalità e legittimità. In base a questa distinzione, la deposizione di Morsi è legittima, anche se non può essere considerata formalmente legale. Vi è un precedente a cui lo studioso francese ha fatto riferimento. Anche la guerra nei Balcani, vent’anni fa nel territorio della Jugoslavia, dissoltasi dopo la fine del comunismo, venne combattuta per fermare i massacri dei civili, senza che vi fosse stata l’approvazione del consiglio di sicurezza, visto che l’Onu all’epoca era paralizzato dai veti incrociati.

Quella fu una guerra legittima, ha ricordato Moisi, anche se non ebbe i crismi della legalità l’intervento armato deciso dalla comunità internazionale. L’Egitto può essere considerato, visto che ha una popolazione di oltre ottanta milioni di abitanti, una sorta di impero di mezzo situato in un contesto politico e geografico assai delicato e strategico come il Medio Oriente. Non bisogna dimenticare che in Egitto assume un grande rilievo la questione religiosa, poiché nel Paese vi sono minoranze ricche di storia e cultura come i Copti cristiani, in questi giorni aggrediti con una violenza inusitata. Il fatto che il Paese abbia ereditato la civiltà dei Faraoni e abbia un’identità storica e culturale pre-islamica, aiuta l’Egitto ad affrontare le conseguenze geopolitiche legate alla crisi che in questo momento attraversa il mondo islamico.

Per Moisi, non ci potrà essere né la tanto auspicata pacificazione nazionale né la formazione di un nuovo assetto politico che dia stabilità politica e istituzionale al Paese, se la comunità internazionale non darà gli aiuti economici per migliorare la condizione di vita dei cittadini egiziani. Infatti, durante il suo anno di governo, Morsi non è riuscito ad arginare la diminuzione degli investimenti produttivi, l’aumento spaventoso della disoccupazione, e il precipitare della popolazione verso una condizione dolorosa di miseria e povertà. Il dovere che ha l’occidente verso l’Egitto, ha notato nell’intervista Dominique Moisi, si spiega con la circostanza che il Paese è disfunzionale, ma rimane pur sempre un Paese che ha una grande civiltà. Queste riflessioni del politologo francese sono utili per capire quanto sta avvenendo in Egitto in queste drammatiche giornate, nel corso delle quali cittadini innocenti animati da grandi speranze continuano a morire in violenti scontri, che si spera possano cessare al più presto.


di Giuseppe Talarico