Siria, anatomia di un deliro tutto occidentale

mercoledì 3 luglio 2013


Proviamo a ricapitolare. Il 28 giugno approda su internet un video, filmato in Siria, che mostra, in diretta planetaria, la decapitazione di tre individui, apparentemente accusati di “intelligenza con il nemico”. Intorno ai malcapitati è assiepata una folla tulmultuosa e festante che inneggia alla maggiore grandezza del proprio Dio: Allah akbar. Si improvvisa un processo farsa e poi, calcolando i tempi mediatici, la scena viene lasciata a un cosiddetto “combattente” che provvede a sgozzare i condannati, segando loro il collo fino alla completa recisione della testa. Davvero un bello spettacolo. Sul web filtra la notizia che gli autori del massacro appartengono a un gruppo jihadista della insurrezione contro il regime di Bashar Hafiz Al -Asad, il macellaio di Damasco.

In effetti si tratterebbe del Fronte Jabath Al Nusra, costola siriana di Al Qaida. Secondo Radio France International che ha rilanciato la notizia, i tre assassinati sarebbero stati francescani del convento di Sant’Antonio da Padova a Ghassanieh, villaggio a maggioranza cristiana del distretto di Jisr al – Shughur, nella provincia di Idlib, Nord dellla Siria nella parte confinante con la Turchia. I frati sarebbero stati rapiti alcuni giorni prima. Sempre su internet circola voce che uno degli uccisi potrebbe essere il monaco eremita François Mourad. In un’atmosfera resa irreale dalla gravità e dall’efferatezza delle immagini arriva una prima smentita, anch’essa a suo modo surreale. E’ il custode della terra Santa, padre Pizzaballa, a rassicurare che non si tratta di monaci francescani e tanto meno di padre François, per il semplice motivo che il povero frate era già stato trucidato lo scorso 24 giugno sempre nel convento di Sant’antonio da Padova a Ghessanieh dove, a seguito di un’irruzione di Jihadisti del fronte Al Nusra, aveva tentato disperatamente di difendere dagli assalitori quattro suore e dieci fedeli cristiani presenti, in quel momento, all’interno della struttura conventuale.

Qualche organo di stampa italiano, di quelli che si innamorano talmente delle proprie tesi da smarrire il senso della realtà, tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Quella dei monaci decapitati sarebbe una “bufala”, un bel granchio preso dagli altri giornali che per due giorni sono stati “sul pezzo” convinti di trovarsi, tra le mani, il massacro di tre religiosi quando invece si tratterebbe “solo” di tre presunti collaborazionisti. Se quello che stiamo vedendo in Siria in questi ultimi mesi fosse semplicemente un film, proporrei per il titolo “anatomia di un delirio”. E il delirio è tutto nostro, di parte occidentale. Frutto dell’ incredibile superficialità delle cancellerie fautrici della “primavera araba”, ad analizzare lo scenario mediorientale per quello che in realtà è, un complicatissimo ginepraio, e non per quello che si vorrebbe che fosse. Intendiamoci, Al - Asad è un carnefice, e la condanna per il suo operato deve essere ribadita e sostenuta senza incertezza di sorta. Ma prima di imbarcarsi in un’ altra “guerra santa” per la democrazia e lo stato di diritto, ci si vuole porre seriamente il problema di chi c’è dall’altra parte della barricata? Prima di consentire, se non promuovere in prima persona, l’invio di armi ai ribelli non sarebbe opportuno valutare altre forme d’intervento, magari che evitino di spianare la strada ai nemici irriducibili dell’Occidente, crociato e cristiano, amico e sodale degli ebrei d’Israele? Come il passato dimostra, la scelta “sul campo” degli interlocutori da sostenere, la ponderata valutazione dei loro programmi di breve –medio e lungo termine, è fondamentale non soltanto per il futuro dei territori interessati dall’azione insurrezionale, ma soprattutto per la sicurezza del sistema occidentale.

D’altro canto è divenuta francamente insostenibile la “politica del non intervento”, quale condotta politico/diplomatica nei contesti a rischio, particolarmente cara all’amministrazione americana, e ai suoi alleati silenti. Pensare di “restare nell’ombra”, limitandosi a sovvenzionare gruppi insurrezionali e a fornire armi a chiunque manifesti propositi di lotta armata nei confronti di regimi protetti dai vecchi nemici dei tempi della guerra fredda, indipendentemente dalle motivazioni ideologiche e metapolitiche che li muovono, può essere ancora considerata un’accettabile strategia per tutti i quadranti dello scacchiere internazionale? Nulla insegnano le esperienze vissute, anche drammaticamente sulla pelle dei propri concittadini? Si rifanno gli stessi errori. Lo abbiamo dimenticato l’Afghanistan. Non quello dell’operazione contro il terrorismo, quello di “Enduring Freedom”. Non l’ Afghanistan di Osama Muhammad bin Laden e della guida spirituale dei talibani, mullah Mohammed Homar. Ma l’Afghanistan del sostegno alla lotta di liberazione dalla invasione sovietica del 1979.

Anche in quella circostanza non si andò per il sottile, sostenendo tutti indiscriminatamente gli insorgenti. Tanto i mujaheddin dell’Alleanza del Nord, quanto i talibani. Ma i talibani avevano altri propositi, di cui gli americani per primi non avevano ben valutato la portata in termini di pericolosità. Una volta ottenuta la vittoria sui sovietici, grazie al sostegno occidentale, e dopo una sanguinosa guerra civile contro gli alleati di un tempo, i talibani si sono dedicati, con il sostegno della potente etnia Pashtun, alla “pulizia interna” facendo dello Stato Afghano la patria degli Ulema, i dotti nella conoscenza di Dio, la naturale giurisdizione della Shari’ah, la “Legge”, e il luogo ideale per coltivare i propositi della Guerra Santa dell’Islam. L’opinione pubblica ricorda la data dell’11 settembre 2001, per ciò che essa ha significato di drammatico e di collassante nelle nostre vite. Pochi però ricordano quello che accadde il 9 settembre 2001, due giorni prima delle torri gemelle. A Takhar, in un attentato suicida, veniva ucciso Ahmad Shah Massoud, il leggendario “leone del Panjshir”, capo indiscusso dei mujaheddin afghani, e inflessibile oppositore dei talibani.

Con un’accorta regia, Al Qaida, decapitando il vertice della fazione avversaria interna, preparava “in casa” il terreno per gestire al meglio il contraccolpo agli attentati dell’11 settembre, in vista di un conflitto pensato e cercato su più vasta scala. Soltanto la tempestività della reazione, e la potenza di fuoco, con le quali Bush decise di rispondere a Bin Laden, hanno evitato il peggio alla nostra civiltà. Ora, invece, siamo di nuovo ad armare i nostri nemici giurati, nella certezza che, presto o tardi, sapranno ripagarci della loro moneta. E’ ciò che sta avvenendo in Libia, con l’assassinio dell’ambasciatore americano Chris Stevens, con il fallito attentato al console italiano Guido De Sanctis e con l’autobomba alla sede diplomatica francese a Tripoli. E’ ciò che potrebbe avvenire in Egitto, dove i fuochi della rivolta non si sono mai spenti ed è recente l’uccisione di un cittadino americano ad Alessandria, nel corso degli scontri tra sotenitori e oppositori di Morsi. E’ ciò che dobbiamo fortemente augurarci non accada in Tunisia dove il leader di Ennahda, il partito di maggioranza di ispirazione democratica sebbene islamista, Rashid Ghannouci, combatte una battaglia dagli incerti esiti affinché la Tunisia abbia entro l’anno una nuova Carta Costituzionale la quale, in uno stato plurale in cui sia riconosciuta la diversità di idee, assicuri a tutti i cittadini parità di diritti. L’intensificarsi dei focolai di guerra lungo la fascia nord africana - mediorientale, ci restiuisce un quadro assai poco rassicurante. Per questa ragione, non volendo cedere alla tentazione di analisi semplicistiche, appare quanto mai urgente auspicare che le cancellerie occidentali, e in primo luogo l’amministrazione americana, decidano una buona volta che strada imboccare per la stabilizzazione dell’intera area, e la percorrano fino in fondo.

Ormai è chiaro a tutti che la tattica dell”anatra zoppa”nei nostri quadranti strategici non funziona. Se scegli la via del negoziato tutte le controparti devono essere convinte che dalla tua hai una legittimazione internazionale così forte da non lasciare scampo a nessuno degli interlocutori. Se, invece, la tua opzione è di carattere bellico, allora dispiega sul terreno il tuo potenziale di fuoco e chiudi la partita al più presto. Una cosa soltanto non può e non deve essere ammessa, che per non intaccare i rapporti di forza con le altre super potenze, non intervieni in prima persona ma paghi sottobanco perché siano i più facinorosi, e i più inaffidabili, quelli che hanno scritto nei loro statuti la distruzione in radice del nostro sistema basato sull’equilibrio democratico tra poteri dello Stato e società civile, a fare il lavoro sporco al tuo posto. E’ già accaduto. Nessuna meraviglia se poi ci ritroviamo a fare i conti con assassini e fanatici integralisti pronti a farsi saltare in aria portandosi dietro tutto quello in cui crediamo, che ci appartiene ed è la nostra stessa vita: la civiltà dell’Occidente.


di Cristofaro Sola