Egitto, il giorno dell’ultimatum

mercoledì 3 luglio 2013


Giornata di tensioni e di ultimatum quella di ieri, in Egitto. Forse ci si sta avvicinando a una resa dei conti finale. Il movimento “ribelle” (Tamarod) aveva posto un ultimatum al presidente Morsi, entro le 17 di ieri. Se il presidente non avesse rassegnato le dimissioni entro quell’ora, Tamarod avrebbe avviato una campagna di disobbedienza civile. Piazza Tahrir era colma di manifestanti che cantavano, preventivamente, slogan quali “Abbiamo spodestato il regime”. Continua, piuttosto, l’emorragia di dimissioni nel governo: attualmente sono sei i titolari di ministeri che hanno rinunciato al loro incarico in segno di protesta, per ultimo quello (molto importante) degli Esteri, Kamel Amr.

Ha chiamato anche Obama: telefonando a Morsi lo ha pregato di compiere “passi verso il popolo”. Il presidente americano è il secondo ad aver chiamato, dopo l’alto commissario per i diritti umani dell’Onu che lo ha invitato ad “avviare un serio dialogo politico” con l’opposizione. Finora, salvo cambiamenti repentini, Morsi è ancora al suo posto, dopo aver respinto l’ultimatum della piazza. L’ultimatum che più lo preoccupa, invece, è quello posto dall’esercito. Lunedì il vertice delle forze armate si è espresso in questi termini: “Risolvete la vostra disputa politica entro 48 ore”. Le 48 ore scadono oggi. Non è chiaro cosa possa succedere d’ora in avanti. L’esercito, che è rimasto pressoché lo stesso dei tempi di Mubarak, finora ha svolto un ruolo politico molto importante, dettando la linea di politica estera e mantenendo un contatto costante con gli Usa, i maggiori fornitori di armi oltre che di aiuti economici. Politicamente neutrale, l’anno scorso il vertice delle forze armate aveva cercato di ridurre il potere del presidente Morsi, con una mossa ai confini del golpe.

Ma il presidente, forte della maggioranza nel potere legislativo, è riuscito a compensare la sua parziale perdita di potere avocando a sé molti più poteri anche in campo giudiziario. E a far approvare una costituzione ispirata ai valori islamici. L’ultimatum dell’esercito sembra indicare l’inizio di un secondo braccio di ferro. Il presidente ha già contestato le dichiarazioni dei generali, affermando che “creano confusione”. I membri di Tamarod sono ottimisti. Ritengono che l’esercito, certamente, “si è schierato dalla parte del popolo”. Sperano che, come ai tempi della rivoluzione di Mubarak, la neutralità dell’esercito prima e il sostanziale appoggio dato alla piazza nei giorni finali, aiuti a rovesciare anche il nuovo presidente islamico.


di Giorgio Bastiani