Quello che Taiwan può insegnare all'Italia

venerdì 31 maggio 2013


L’Italia sembra da un considerevole numero di anni affetta da una grave sindrome psicologica, una sorta di complesso di inferiorità che tenta di riscattare con comportamenti che la facciano sentire “faro dell’umanità”, dando enfasi moralistica a masochistici atteggiamenti che invece la relegano sempre più nel ruolo di “cenerentola”, senza eufemismi, di “pezza da piedi dell’umanità”. Abbiamo rinunziato all’energia nucleare, che anche il Giappone, superata la manipolata psicosi di Fukushima, si appresta a rilanciare, con il risultato che da noi l’energia elettrica ora costa troppo, quindi le nostre aziende non sono più competitive e vanno fuori mercato, con la conseguenza che sono costrette a chiudere o a delocalizzarsi; è la da taluni la tanto agognata decrescita, purtroppo tutt’altro che felice come da costoro sbandierata.

Una lezione su come si difenda e si affermi il proprio ruolo e prestigio sul piano internazionale ci viene ora data da Taiwan. la cui denominazione ufficiale è Repubblica di Cina. Pur essendo un’isola grande una volta e mezza la Sicilia ed intensamente popolata, con in suoi 23 milioni di abitanti ha saputo imporsi come una potenza regionale, trattando alla pari con la Cina continentale che la rivendica come parte integrante della Repubblica Popolare Cinese, in quanto la considera una Provincia ribelle, e con il Giappone, potenza occupante per circa un secolo, da cui si è affrancata con il Trattato di Pace conclusivo della Seconda Guerra Mondiale. In un precedente articolo abbiamo parlato della vicenda a tre contendenti per le Isole Diaoyutai, nell’ottica cinese, Senkaku, nell’ottica giapponese. Grazie alla sua realistica fermezza, Taiwan è riuscita a trovare una pragmatica intesa con il Giappone, che ha spiazzato e perora lasciato fuori dal gioco la intransigente Cina continentale. Quale lezione, a cui facevamo cenno, viene ora indirettamente data da Taiwan all’Italia? Lo scorso 9 maggio un pattugliatore filippino apriva il fuoco, in una zona in cui le acque di interesse esclusivo delle due parti ampiamente si sovrappongono, contro un peschereccio taiwanese, uccidendo il pescatore Hung Shih-cheng.

L’evento richiama, a parti invertite, la vicenda che vede contrapposta l’Italia a l’India per la vicenda dei due fucilieri di Marina che hanno dissuaso una imbarcazione pirata ad attaccare il mercantile su cui erano imbarcati con tale funzione, poi catturati con l’inganno e il dispiegamento della forza militare dallo Stato federato del Kerala che li ha incriminati per l’uccisione, avvenuta, come riteniamo in molti, in circostanze diverse e in luogo e orario non coincidenti, di due indiani imbarcati su un natante impegnato in presunte attività di pesca. Nonostante le scuse prontamente avanzate tramite canali diplomatici dal Presidente filippino Benigno Aquino III, il Governo di Taipei non ha ritenuto chiuso l’incidente, pretendendo un adeguato risarcimento per i familiari del pescatore ucciso ed aprendo un contenzioso internazionale, con risalto mediatico in una pagina web dedicata con cui aggiorna in tempo reale sugli sviluppi del caso. I vari uffici di rappresentanza di Taiwan all’Estero si sono attivati nel sensibilizzare sul caso la stampa internazionale, quale il Consigliere Osman Huey Chia, Direttore Divisione Stampa della Rappresentanza della Repubblica di Cina in Italia in relazione alla nostra testata.

Non sta a noi entrare nel merito della questione, ma ai competenti organismi internazionali preposti a dirimere questo genere di contenziosi. Per sommi capi riassumiamo le contrapposte posizioni. Il Presidente di Taiwan Ma Ying-jeou ha affermato che, essendo stato portato l’attacco da una imbarcazione governativa filippina, che ha utilizzato armi automatiche per mitragliare un peschereccio disarmato e innocuo “Non si stava in alcun modo eseguendo un compito ufficiale, ma si è trattato di omicidio a sangue freddo”.Il Governo filippino ha ribattuto che è stato il peschereccio taiwanese a provocare l’incidente, speronando la loro imbarcazione. Replica il Governo di Taipei che l’ispezione sul “Guang Da Xing 28”, il natante mitragliato, non ha rilevato alcuna prova a sostegno della tesi dello speronamento, peraltro poco credibile per un natante di 15 tonnellate contro una imbarcazione militare sei volte più grande. Ritorniamo, alla luce di questa vicenda, al comportamento dei Governi italiani nella questione dei due fucilieri di Marina ostaggio degli indiani dallo scorso 19 febbraio 2012. La posizione italiana è stata succube e pavida, di fatto acquiescente alle prevaricazioni indiane, sia sul piano del Diritto internazionale che su quelle della formale istruttoria processuale.

Di fatto si è accettata le giurisdizione indiana, estradando persino in contrasto con il Dettato della Costituzione, due cittadini accusati di un reato che in quel “civilissimo” Paese prevede la pena di morte, tralasciando del tutto, come previsto in casi del genere, di entrare nel merito dell’istruttoria, che in base ai dati tecnici disponibili appare condotta sullo stile dei medioevali processi alle streghe. Gli ultimi aggiornamenti dell’analisi tecnica di Luigi Di Stefano hanno dimostrato non solo l’incompatibilità balistica, ma persino quella delle reciproche posizioni tra il natante su cui hanno trovato la morte i due indiani impegnati in presunte attività di pesca e l’Enrica Lexie, il mercantile italiano che un nucleo militare proteggeva da attacchi in quelle acque infestate da pirati.

La piccola, ma orgogliosa Taiwan, nonostante non sia neppure ufficialmente riconosciuta dalla maggioranza dei Paesi Membri delle Nazioni Unite e non abbia un seggio all’Onu, sta facendo valere le sue ragioni in sede internazionale; l’Italia invece si sta umilmente e con ignominia sottomettendo a tutte le “stramberie” della controparte indiana, con comportamenti tali da parte di coloro che se ne rendono responsabili, che potrebbero fare configurare gravissimi reati quali l’Alto tradimento e/o l’Attentato alla Costituzione. In questo atteggiamento di basso profilo è carente l’informazione ufficiale, tutta protesa al compiacimento autoreferenziale. Peggio una iniziativa in sede parlamentare intraprese il 16 aprile 2012 dal Gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri” è stata oggetto di una interrogazione parlamentare ostile, funzionale all’approccio governativo consolidato. Ci chiediamo a tal punto se non sia il caso di inviare la nostra classe dirigente a seguire a Taiwan un finalizzato corso di istruzione.


di Giorgio Prinzi