Quelle nostalgie sovietiche di Putin

mercoledì 22 maggio 2013


Vladimir Putin ha evidenti nostalgie dell’Unione Sovietica. Sarà il periodo, con le feste dell’1 maggio e del 9 maggio appena passate, sarà un certo senso di insicurezza che pervade la sua leadership ogni volta che si apre una crisi internazionale. Fatto sta che sta lanciando una vera e propria campagna contro gli “agenti stranieri” (cioè statunitensi) e, contemporaneamente, prende decisioni che suonano come una sfida internazionale contro gli Usa. Ma a pagare il prezzo di queste politiche nostalgiche sono soprattutto cittadini russi e siriani. Il bersaglio più noto di questa campagna è il Levada Centre. Per ora è aperto e continua a diffondere, anche in lingua inglese, sondaggi e studi statistici sulla società russa. È l’unico istituto di questo genere che non sia direttamente finanziato dallo Stato e indipendente dal governo. Quindi ha ricevuto un chiaro avvertimento dalla magistratura e, nei prossimi giorni, rischia di chiudere.

L’accusa è grave: è un’Organizzazione Non Governativa che rifiuta di registrarsi ufficialmente come “agente straniero”, un marchio di infamia, ereditato direttamente dall’era sovietica, che ora è tornato ad essere obbligatorio per tutte le Ong che ricevono finanziamenti dall’estero. Lev Gudkov, direttore dell’istituto, non ha voluto registrarsi perché, oltre a svantaggi legali, la definizione ufficiale di “agente straniero” può far scappare i potenziali finanziatori russi. E la quota di sponsor esteri è, per ora, minima: dall’1,5% al 3% delle entrate del Levada Centre. Le ragioni della minaccia di chiusura sono abbastanza evidenti: contrariamente ai sondaggi diffusi dai media di Stato (quelli in cui le percentuali, a volte, superano il 100) il Levada Centre ha rilevato un tasso di approvazione del presidente Putin fermo al 26%. La metà esatta del 52% diffuso dai sondaggi ufficiali. La campagna contro “agenti stranieri” non è nuova, ma si sta intensificando.

I sintomi di qualcosa di grosso in arrivo erano già abbastanza evidenti anche la settimana scorsa, quando, il 14 maggio, anche i telespettatori italiani sono rimasti affascinati da una spy story da Guerra Fredda: un agente della Cia catturato, tale signor Fogle, con tanto di parrucca bionda, torcia elettrica, occhiali scuri, cellulare anni ’90, mappa di Mosca e una lettera in cui offre cifre esorbitanti (da pagare in contanti) a chi fosse passato dalla parte dell’America. «Nessun esperto può credere che questo episodio sia reale – dice Boris Volodarskij, ex agente del Gru (il servizio segreto militare sovietico) a Radio Free Europe – Oggigiorno le operazioni di reclutamento sono condotte con metodi completamente diversi. Ci sono coperture sofisticate, accurate pianificazioni e moltissima tecnologia, non le cose primitive che sono state usate in questo caso. Questa sembra piuttosto una pessima commedia sullo spionaggio degli anni ’70. Tanto per cominciare, i reclutamenti non si fanno così e non a Mosca. Tutto avviene all’estero. Secondo: i gadget che sarebbero stati trovati addosso al signor Fogle, sono vengono più usati dalle spie da 30 o anche 50 anni». Secondo Volodarskij, si tratta di una campagna politica di propaganda: «Un’operazione che mira a sostenere le politiche di Putin e le ultime mosse del governo.

Sto parlando della legge contro gli “agenti stranieri”, il presunto finanziamento estero dell’opposizione russa, le accuse alla Georgia sul presunto foraggiamento di possibili rivoluzioni o cambi di governo in Russia». Come sempre, queste politiche muscolari, non avvengono solo all’interno dei confini della Federazione Russa, ma si ripercuotono subito anche all’estero. Proprio in questi giorni, infatti, Putin ha inviato la versione aggiornata dei missili anti-nave Yakhont al regime di Bashar al Assad. Potrebbero essere impiegati per spezzare un eventuale blocco navale. È un altro schiaffo agli Usa, dato proprio all’indomani dell’accordo russo-statunitense per una soluzione politica della guerra civile siriana. Un modo brutale per dimostrare al mondo. Più che preoccupato, il generale Dempsey, presidente degli Stati Maggiori Riuniti è sconsolato, quando commenta: «Quel che temo veramente è che Assad, con questi nuovi sistemi d’arma nelle sue mani, si senta più sicuro e possa prendere decisioni più azzardate». E l’effetto concreto dell’invio dei missili altro non è che: «un possibile prolungamento e inasprimento della guerra civile in Siria». Un conflitto che ha già provocato 70mila morti.


di Stefano Magni